Il passato remoto e il suo trapassato si usano solo (o quasi) in testi letterari o aulici, e servono a descrivere azioni avvenute molto tempo fa: è davvero così o si tratta di un falso mito? E in che modo possiamo evitare che scompaiano dall’uso quotidiano? Una guida per informarci sulla loro reale funzione e tornare a servircene nei contesti giusti

Anche se il modo indicativo, in italiano, conta ben otto tempi verbali diversi, almeno due di questi sembra che vengano usati sempre meno tanto allo scritto quanto all’orale: parliamo del passato remoto e del trapassato remoto, una coppia di tempi (semplice il primo, composto il secondo) che servono a descrivere… che cosa?

Opinione diffusa è che si utilizzino per parlare di eventi accaduti molto tempo fa, in un momento per l’appunto remoto, lontano da quello in cui si parla. Così come è altrettanto condivisa l’idea che ricorrere all’uno o all’altro sia una tendenza per lo più letteraria, e sempre meno comune nel parlato.

In realtà, si tratta di falsi miti che si possono sfatare consultando una buona grammatica (aggiornata, naturalmente), o visitando portali online quali Treccani o Accademia della Crusca, in cui è possibile reperire spiegazioni puntuali e accredidate sulla loro reale funzione linguistica.

La scelta del passato prossimo e del passato remoto non dipende dalla distanza temporale degli avvenimenti“, si legge per esempio sul sito della Crusca. “Usiamo il passato prossimo per esprimere un’azione compiuta o un accadimento che ‘lasciano tracce‘ […] nel presente. Usiamo il passato remoto per manifestare il distacco, e quindi la lontananza, di tali avvenimenti dal momento in cui ne parliamo. Dobbiamo perciò intendere remoto nel suo significato etimologico di ‘separato‘, ‘staccato‘, ‘rimosso‘; e prossimo come indicante vicinanza o attualità psicologica“.

Se, quindi, stiamo parlando di Alessandro Manzoni (1785-1873) e menzioniamo un dettaglio della sua vita che non ha avuto alcuna incidenza sulla nostra, è corretto esprimerci al passato remoto (“Dal 1801 al 1805, l’autore visse con l’anziano padre don Pietro”); ma se, invece, la nostra lettura de I promessi sposi risalente a trent’anni fa ha lasciato in noi una traccia ancora fresca, è più indicato ricorrere al passato prossimo (“Quando ho finito di leggere il suo capolavoro, il mio rapporto con i romanzi storici è radicalmente cambiato”).

Grammatica italiana

Ne consegue che il passato remoto e il trapassato remoto non sono tempi verbali da usare soltanto in un testo accademico o caratterizzato da uno stile aulico, anche se resta un dato di fatto, come anticipavamo, che la loro presenza nella lingua quotidiana si stia riducendo a vista d’occhio. Ma per quali motivi?

Una prima ragione, senza dubbio, è legata alla loro difficoltà: la coniugazione del passato remoto è infatti molto irregolare, come sa soprattutto chi va a scuola o chi impara l’italiano come seconda lingua, e non sempre è facile da intuire conoscendo altre forme dello stesso verbo (vd. “cadere”: “io cado”, “io sono caduto”, ma “io caddi”).

A ciò si aggiunge la complessità di inserire correttamente il trapassato remoto in una frase il cui tempo della reggente è il passato remoto e in cui figurano delle azioni svolte in un momento diverso dalla principale, con il risultato che spesso si preferisce fare ricorso al passato prossimo come tempo della narrazione, e al trapassato prossimo per le relative proposizioni temporali.

Più immediato, in altre parole, dire “Sono andato in libreria dopo che eravamo usciti dal ristorante” anziché “Andai in libreria dopo che fummo usciti dal ristorante“, quantomeno nella percezione collettiva.

Come se non bastasse, l’italiano nei decenni ha perso la tendenza alla subordinazione sintattica, per via di un naturale processo di semplificazione linguistica che porta il parlante medio a preferire frasi brevi e coordinate, o affidate a segni di punteggiatura come la virgola, i due punti e più raramente il punto e virgola.

Non c’è da stupirsi, dunque, se ci si imbatte con minore frequenza nel passato remoto e nel suo trapassato, specialmente nelle regioni del Nord la cui influenza dialettale spinge a sua volta all’utilizzo del passato prossimo (al contrario del Sud e delle isole maggiori, nelle cui parlate locali è preponderante il passato remoto).

Per evitare che scompaiano questi tempi verbali, pertanto, va incoraggiata la funzione educatrice e chiarificatrice della scuola, nella quale si formano i parlanti di domani, e va mantenuta una costante informazione sul tema, con l’obiettivo di servirci del verbo giusto nel contesto giusto e di persuadere pian piano chi ci circonda a fare altrettanto.

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