A 10 anni dall’esordio con “Dettato”, Sergio Peter torna con una storia che indaga il rapporto tra l’uomo e la natura, tra il famigliare e il selvatico. E in cui i lupi sono i custodi, ma anche il simbolo, di un’esistenza vissuta in armonia – Un capitolo dal romanzo “Altavìa”

A più di dieci anni dall’esordio, con Dettato (Tunué, 2014), Sergio Peter torna con un romanzo capace di indagare il profondo legame tra l’uomo e la natura, tra il familiare e l’ignoto.

Altavìa, pubblicato da Il Saggiatore, è un’esplorazione, una gita in montagna alla ricerca dell’essenza della vita stessa. Lo scrittore nato a Como nel 1986, libraio a Milano, sceglie di seguire le vicende di tre amici che, spinti dall’enigmatico Guido Caviezel, si avventurano tra le Alpi: Filo, visionario gigante buono, il Bosceta, giovane mistico amante del jazz, e Sergio, superstite di un passato oscuro, sono tre uomini diversi ma che in quella natura sono pronti a riconnettersi con il mondo, a perdersi per ritrovare loro stessi.

Come già nel suo primo romanzo, anche in Altavìa la natura è protagonista, e questa volta i lupi ne sono custodi ma anche il simbolo di un’esistenza vissuta in armonia. Una presenza costante e inquietante che segna il viaggio dei protagonisti tra i sentieri immersi nella nebbia, i bivacchi sperduti e una comunità profondamente legata all’ambiente nel quale vive.

La montagna, che tanti autori e autrici ha saputo ispirare anche negli ultimi anni, diventa così lo stimolo, anche per i lettori e le lettrici, per riflettere sul rapporto tra l’essere umano e il creato, e su quell’attrazione, forse innata, per i luoghi selvatici nei quali regna una libertà che i protagonisti cercano di comprendere, ma che non potranno mai possedere fino in fondo.

 

Altavìa, Sergio Peter

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Quella sera mi aveva chiamato un mio amico di Montemezzo per avvisarmi di una carcassa a Montalto. È una storia lunga e bellissima. C’erano già state delle segnalazioni a Pome, un cervo predato e non consumato. Mi aveva mandato una foto del corpo morto, disteso nella neve tra il sangue ancora fresco. Di lui restavano due zampe, la testa e la colonna vertebrale. Sono andato lì la mattina presto. Sopra il rifugio-colonia, non distante dal sentiero.

Vi basti sapere che quella notte i lupi sono tornati e hanno completato la cena. Spostando l’animale sotto un agrifoglio nel bosco in una valle scoscesa. Ho ragione di credere fossero due, o probabilmente tre. Ho rivisto i fantasmi di Pale ed Ermete, era come se fossero ancora lì accanto a me. Forse c’era anche Conso con loro. Non avevo paura, no.

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La Valle di San Vincenzo è già frequentata da qualche tempo. Una traccia sospetta a Graglio su un trattoio di cinghiale. Una fatta dalla puzza intensa su un sentiero appena sopra l’alpe Prato. Ultimamente, una cerva, predata sulla Via dei Monti Lariani. Morso retromandibolare da manuale. Vertebre cervicali spezzate. Il rumine è stato estratto e separato, con una tecnica insolita rispetto all’ordinario: asportazione netta dalla spalla; quasi una firma. È immangiabile, se si rompe inquina le parti nobili: cuore, polmoni, molto proteici. Più fatte, più segnali di presenza tra Pollone, Palin, Zocca. Così tanti da non poterveli elencare. Tutti raccolti da me.

Latitudine 46.1899, longitudine 9.3977, la carcassa era qui. Questo inverno. Immaginatevi, se si venisse a sapere, un branco di lupi che si aggira nei dintorni di un rifugio-colonia. A seicento metri, non di più. C’era un’atmosfera carica di spiriti selvaggi, che solo poche ore prima erano lì, distesi uno accanto all’altro sulla palta innevata, sdraiati come fanno i cani, a finire di sfamarsi, sotto una pioggia battente, protetti dal grande agrifoglio, nel buio assoluto. Neve abbondante, in parte disciolta dal piovischio notturno, ma ferma lì, rossa e bianca e piena di fango, a testimoniare l’accaduto.

Modalità di predazione: inseguimento condotto da almeno due individui e successiva cattura e uccisione, con spostamento della vittima in quattro punti diversi nel raggio di circa settanta metri, in due notti differenti. La carcassa è stata trasferita sotto la copertura forestale, risalendo un declivio vallivo per circa quaranta passi con una pendenza del 20 per cento. Ho sentito il peso della tragicità del momento, l’istinto di sopravvivenza, un evento prestabilito da regole universali a cui nessuno può sfuggire.

Mi sono accucciato anch’io accanto ai resti di quella carcassa divorata, ho capito di essere come in una bolla. L’aria aveva un peso diverso. C’era ancora odore di selvatico, il pelo che sa di fango e plasma, mi è parso di sentire tracce di saliva, urina gialla su un pezzo di neve non ancora del tutto sciolto. Ho inalato il lezzo del loro piscio ancora tiepido. Uno si dev’essere grattato a pancia in su, sazio, come un cagnone. La neve mi ha aiutato a ricostruire tutta la storia dei loro movimenti, ho rinvenuto diverse impronte, peli impigliati tra le foglie, tracce di feci.

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Ho immaginato Ermete leccare Pale per complimentarsi dell’ottimo colpo inferto al cucciolo di cervo, sul lato divorato della pancia. Ho visto la femmina ringhiare al compagno per manifestare la propria superiorità e comparire, sottomesso, alla fine del pasto, anche il terzo esemplare. Non li ho sentiti articolare parole. La Muta non parla. Ecco Conso che si fa largo a mangiare le parti meno buone della preda, così come vuole la gerarchia. Poi Ermete si mette in mezzo e alza la coda, che resta ferma in alto, arricciando le labbra e mostrando tutta la potenza al fratello.

Per un attimo sono stato lì con loro, a lato di questa scena di spettri, e mi è parso di avvertire un esemplare adulto di ungulato che osservava da lontano scappare. Per quanto questo evento non abbia, in apparenza, alcun rapporto con la nostra vita, purtuttavia è vero il contrario: mi sono sentito investire dalla rude energia dell’aperta natura vivente, ho toccato con mano le leggi fondamentali della conservazione della specie. Sono stato in quel momento anche io, per la prima volta, veramente uomo.

(continua in libreria…)

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