“Final Fantasy”, l’ultima fantasia di Hironobu Sakaguchi, è un marchio giapponese il cui primo videogioco è comparso sugli schermi nel 1987. La serie ha avuto un grande successo, vendendo milioni di copie in tutto il mondo, e affermandosi come una delle migliori nel mondo videoludico. Ora vede la luce il primo remake, che rispolvera con una nuova veste grafica il VII capitolo della saga – L’approfondimento

“Non penso di essere bravo a creare giochi d’azione. Preferisco narrare storie”
(Hironobu Sakaguchi, creatore di Final Fantasy)

Tutto comincia sempre da pochi pixel, da un vuoto preciso da riempire di meraviglia, un puntatore che si muove sullo schermo, una battaglia da vincere e una corsa il cui traguardo non è solo la fine. Quando gli alieni di Space Invaders iniziarono a comparire sui televisori domestici, la rivoluzione era appena iniziata eppure, quella crisalide nascondeva in sé tutta la bellezza di un mondo nuovo.

Alessandro Baricco, nella sua mappa del Game (The Game, Einaudi), inizia da lì, da quella battaglia senza tempo che la maggior parte di noi si sono trovati a combattere contro degli alieni di dieci pixel – o poco più – in Space Invaders. Quello di cui non ci siamo accorti negli anni è che questa nuova forma di narrazione, nascosta dietro grafiche spettacolari, musiche emozionanti e combinazioni di tasti da cliccare, è diventata a pieno titolo una delle nuove forme di storytelling.

Final Fantasy, l’ultima fantasia di Hironobu Sakaguchi, è un marchio giapponese il cui primo videogioco è comparso sugli schermi nel 1987. La serie, composta ormai da più di quindici capitoli, ha avuto un grande successo, vendendo oltre 149 milioni di copie in tutto il mondo, e affermandosi come una delle migliori nel mondo videoludico. Il 10 aprile 2020 vede la luce il primo remake, che rispolvera con una nuova veste grafica il VII capitolo della saga.

Final Fantasy

Il marchio ha accompagnato ormai generazioni di fan in mondi virtuali e accalappiato nella sua trama la fervida immaginazione di tutti gli adolescenti che ci hanno giocato; ancora oggi molti di quei bambini, ormai adulti, sono pronti a immergersi in nuove avventure, nuove storie, per la sola presenza di quel nome sulla copertina.

Quando si parla di word-building, i vari capitoli di Final Fantasy non possono che essere messi tra i primi posti. Gli autori hanno nel tempo creato sport, razze, culture e religioni delineate così nettamente da essere percepite come vere, tangibili. L’arco narrativo è tipico, l’eroe intraprende il suo viaggio con gli alleati per sconfiggere la strega cattiva, il traditore, il mostro, ma è la sinfonia degli elementi che nel tempo ha reso Final Fantasy uno dei prodotti di intrattenimento videoludico più conosciuti e giocati di sempre.

Allora cos’è che lascia molti indecisi? Cosa impedisce di immergersi in queste nuove forme di racconto? Si è portati in certi casi a pensare che il videogioco in sé rappresenti una perdita di tempo, un’ostentazione visiva fine a sé stessa, dove la guerra e il sangue sono gli attori principali. Ma è proprio in questi casi che si può apprezzare l’architettura di questi prodotti, la maggior parte delle trame di Final Fantasy potrebbero essere state scritte per un romanzo di formazione. Il videogioco, in questo caso, è puro strumento in mano al narratore: il coinvolgimento nella narrazione è reale, necessario e il giocatore è parte della storia stessa.

Final Fantasy nel tempo ha portato sullo schermo personaggi capaci di rendere la letteratura uno strumento malleabile nelle nostre mani, ci ha dato la possibilità di far parte di quella vita, di prendere decisioni che evolvono in conseguenze, di conoscere i rapporti umani prima di averli vissuti con la risolutezza di un adulto. Ha accompagnato nel tempo generazioni di donne e uomini che hanno fatto loro persino concetti di moralità, ripresi da un semplice videogioco, così come è più comune fare con un romanzo, privi dei pregiudizi che ne vogliono declassata l’esperienza comunicativa. E quella porta è sempre aperta, per le nuove generazioni o per chi non aveva avuto ancora modo di varcarne la soglia.

Il nome della serie deriva dal fatto che, nel 1986, Hironobu Sakaguchi espose a Shigeru Miyamoto un’idea riguardo a un nuovo videogioco, che aveva deciso di chiamare Final Fantasy, poiché se il progetto fosse stato un fallimento quella sarebbe stata la sua ultima prova; oggi quel nome è una delle ultime fantasie più famose di sempre e si è trasformato in continuazione fino ad assumere tutte le forme della narrazione.

Nel 2001, fu rilasciato il film a marchio Final Fantasy, The Sprits Within; la pellicola fu la prima a utilizzare tecnologie per la riproduzione in CGI di umani, affrontando il tema della vita aliena sulla terra. Nel 2005 invece Final Fantasy VII: Advent Children fu il primo prodotto cinematografico che allargava la dimensione del videogioco al cinema, approfondendo personaggi e storie che erano state abbandonate dalla prima pubblicazione.

Negli ultimi anni alcuni dei titoli hanno trovato adattamenti sia in forma di romanzo sia di manga, principalmente in Giappone. Da gennaio 2017 Multiplayer edizioni ha pubblicato i due volumi: La leggenda di Final Fantasy VII e La leggenda di Final Fantasy VIII (tradotti da Paolo Martore), per celebrare due tra i capitoli più memorabili dell’intera saga, approfondendo e curando dettagliatamente il processo di world-building che ne ha fatto un prodotto dal successo mondiale. Sempre in Giappone, due giochi, Final Fantasy Tactics Advance e Final Fantasy: Unlimited, sono stati trasformati in radio-dramas, forme di racconto adattate al format radiofonico.

Stiamo parlando del passato, del presente e sicuramente del futuro, i videogames nascono e crescono con uno storytelling continuativo che non è quasi mai privo di intenti. Proprio come un romanzo i personaggi espongono le loro debolezze, si confrontano, crescono e sbocciano, cambiando persino forma. Non c’è spazio per la perdita di tempo, perché è l’intrattenimento a renderci attivi, ci catapulta in quei personaggi, anche se non abbiamo la stessa età, lo stesso sesso, se non percorriamo la stessa strada. La storia e i suoi attori si impongono nella mente proprio come la trama di un libro.

Non è un caso che le varie colonne sonore dei capitoli di Final Fantasy, composte da Nobuo Uematsu, siano considerati capolavori per l’industria musicale del videogioco, la musica è la prima corda da far vibrare per garantire l’accesso in questa esperienza amplificata. Nei primi capitoli, dove la grafica era ancora a un livello embrionale, la musica fa da padrona, fondendosi con una narrazione così potente da tenere su le basi di un’esperienza complessa.

Se oggi dovessimo trovarci davanti la rozza sagoma di Cloud Strife, il protagonista di Final Fantasy VII, la maggior parte di noi si rifiuterebbe di muovere anche un singolo passo in quel gioco. Eppure, proprio quella sagoma ci ha accompagnato per tre cd-rom, ha fatto conoscere un mondo abbozzato che al tempo era parso perfetto.

Si arriva quindi alla necessità dei remake, perché è lì che si avverte il successo di un certo tipo di narrazione, quando è lo strumento ad adeguarsi alla storia, quando non importa se il racconto sarà lo stesso, adesso che gli strumenti sono migliorati, la sinfonia diventa ancora più raffinata, perfezionandosi in un prodotto sempre più elegante.

Non è qualcosa che si vede spesso: la riscrittura di un grande classico per l’arcaicità del linguaggio, quanto consenso avrebbe dalla sua parte?

È quello che succede con il capitolo VII di Final Fantasy, uno dei più amati, che vede la luce in una nuova veste di circa 100 gb di dati, che fanno impallidire i 2 della prima edizione. È quello che da un po’ di tempo sta avvenendo nell’industria cinematografica con i live-action della Disney (che pure è caduta nella trama di Final Fantasy, portando allo sviluppo dei vari Kingdom Hearts in cui topolino e gli altri personaggi della Disney, si affiancano al giovane protagonista di turno per sconfiggere il cattivo): il nuovo spaventa, ma quella familiarità che si nasconde negli stessi nomi, negli stessi luoghi, ci tiene la mano, ci dice che anche se un po’ diversi, un po’ cresciuti, siamo sempre gli stessi e quelle storie sono sempre le nostre fiabe preferite.

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