“Il secondo libro” di Massimiliano Governi è una storia autobiografica, la testimonianza comica e appassionata di un’esperienza totale. Un romanzo di scrittura e di scrittori, con un taglio metaletterario che si muove sul filo fra realtà e finzione, mentre descrive il blocco da pagina vuota di un autore romano degli anni Novanta – Su ilLibraio.it un estratto

Roma, metà anni Novanta: uno scrittore sui trent’anni vive un personalissimo esilio volontario per provare a scrivere il suo secondo romanzo, già contrattualizzato da un’importante casa editrice. Ma dopo quasi un anno, nei vari file aperti sul suo computer (che ha chiamato con parolacce e bestemmie), non compare nemmeno una parola.

Si apre così Il secondo libro (Edizioni e/o) di Massimiliano Governi, il cui protagonista è un giovane che passa il tempo a sfuggire lo sguardo della sua dirimpettaia, o a ritagliare quotidianamente articoli di giornale e a separarli per argomenti, convinto com’è che gli serviranno per scrivere il prossimo libro.

Segue morbosamente le vicende dei vari maniaci seriali (Jack Taglierino, Rocky Mannaia, Nick Martello, Bill Punteruolo), non si perde una puntata di trasmissioni come Chiedi al sindaco e Amministratori e cittadini e chiama in diretta per segnalare problemi della città e disagi personali.

Come se non bastasse, trascorre interi pomeriggi a sterminare con l’insetticida gli acari che hanno invaso il suo appartamento e gli provocano irritazione alla zona perineale, mentre registra segretamente tutte le conversazioni telefoniche con i suoi colleghi scrittori e litiga intanto con la sua fidanzata doppiatrice che lo accusa di essere “rabbioso” e di pensare solo ai serial killer e alle buche killer.

Se esce, è soltanto per fare visita al suo amico Giovanni e maltrattarlo sadicamente e per andare in una chiesetta di Trastevere, alla messa vespertina delle sei e mezza, dove prega il Signore che lo faccia riprendere a scrivere.

Il secondo libro è una storia autobiografica, la testimonianza comica e appassionata di un’esperienza totale, che l’autore (anche lui di Roma) racconta dopo aver pubblicato diversi libri per case editrici come Baldini e Castoldi, e/o, Einaudi Stile Libero, Bompiani e Atlantide edizioni, e dopo la sua esperienza di editor in prima persona. Un libro di scrittura e di scrittori, in altre parole, con un taglio metaletterario che si muove sul filo fra realtà e finzione.

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:

Circa sei anni fa, alla fine del ’90, la mia mente aveva cominciato a DISINTEGRARSI, e allora mi sono trasferito per un po’ a casa dei miei, sulla Cassia.

Avevo passato un anno a digitare al Videotel tutti i pomeriggi e tutte le notti.

(Ero diventato bravissimo nelle conversazioni simultanee, nelle quali ero lesbica, sacerdote, latitante, parrucchiera del Tiburtino, ministro degli Affari esteri, serial killer, scrittore affermato. Il difficile era tenere separate le contemporanee identità, e a volte mi capitava di perdere il filo e sbagliarmi a rispondere, allora da un certo punto in poi mi sono aiutato con un quadernetto sul quale annotavo le balle raccontate a ognuno dei videotellisti.)

Mi ero preso una di quelle malattie che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il Dsm-3, chiamerebbe sindrome del VAD, che sta per Videotel Addiction Disorder – ovvero disturbo da astinenza da Videotel.

Un’assuefazione tale e continua da scambiare la realtà virtuale con quella reale.

Ora ero a casa dei miei e trafficavo tutto il giorno tra il salotto e la camera da letto. Il dottore di base mi aveva spedito da uno psichiatra del San Camillo, un tappetto col pizzetto che mi riempiva di teorie sulle mie fantasie aggressive e mi imbottiva di Anafranil.

(Ogni due minuti mi vedevo nell’atto di spaccare la testa a mio padre e mia madre con un candelabro. Con una moviola mentale però bloccavo il fotogramma e mi fermavo prima, con la mano a mezz’aria…)

Nella nebbia degli antidepressivi, l’unica cosa che mi riusciva di fare era: guardare vecchi film di Jerry Lewis sul Betamax di mio padre, e seguire alla CNN la guerra del Golfo.

Ricordo: il bambino inglese ostaggio a Baghdad che parla con Saddam Hussein. Jerry Lewis che casca in un laghetto, avvitandosi su se stesso.

La piattaforma di lancio della portaerei Enterprise. Jerry Lewis che dirige un’orchestra.

Le tende mimetizzate con i colori del deserto per sfuggire a eventuali attacchi dell’aviazione. Jerry Lewis alle prese con un toro meccanico.

(continua in libreria…)

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