Dopo l’acclamato “La più recondita memoria degli uomini”, Mohamed Mbougar Sarr, vincitore del premio Goncourt nel 2021, firma “Il silenzio del coro”: un romanzo a più voci, sull’incontro tra culture diverse, il dolore dell’emigrazione e l’intreccio di infinite storie; in un microcosmo grande come il mondo, percorso dal potere insopprimibile del racconto…

“Sei la fine di un racconto e il principio di quello che viene dopo, l’epilogo dell’uno e il prologo dell’altro. Tocca a te parlare, io ti ho tramesso tutto“. Con le parole di una voce misteriosa comincia Il silenzio del coro di Mohamed Mbougar Sarr, edito da e/o e tradotto da Alberto Bracci Testasecca. E da lì in poi si snoda una vicenda di altre storie che si intrecciano, sovrapponendosi e scontrandosi nella rincorsa cieca delle proprie speranze, mescolando l’amore e la disperazione, l’odio e il desiderio. 

L’evento centrale del romanzo è l’arrivo di un gruppo di migranti africani nell’immaginario paesino siciliano di Altino. Uomini provati dalle sofferenze di un viaggio lungo e pericoloso, che fuggono dalla miseria inseguendo il miraggio dell’Europa, terra promessa dove poter raggiungere la serenità o perché no, anche ricchezza. Ognuno porta con sé il proprio carico di sogni o rancori, e nessuno sa cosa troveranno davvero. Soprattutto, non possono immaginare l’incontro con il microcosmo della città, con gli altri uomini e donne che li accoglieranno o rifiuteranno, che li temono, li detestano o li considerano fratelli da aiutare.

Mohamed Sarr sceglie di moltiplicare i punti di vista senza nessun orpello ideologico. È difficile trovare buoni o cattivi, o meglio separare le luci e le ombre di ognuna delle esistenze che prendono parola nel corso di una narrazione che si ingrossa e ogni volta lascia intravedere il carico di passato e l’ansia di futuro che ciascuno ha dentro.

Mohamed Mbougar Sarr il silenzio del coro

Non ci sono protagonisti: i tanti attori di questo dramma si muovono nell’incertezza di un incontro tra culture e esistenze così lontane, unite forse proprio dalla stessa necessità impellente di trovare un posto nel mondo, di vivere la propria storia. Sono diversi tra loro i migranti, o ragazzi, come li chiamano tutti in paese, divisi tra aspettative ingenue, umanissimi desideri e anche una rabbia sorda per l’attesa che li lascia languire nelle pastoie burocratiche, lasciando loro come unico appiglio l’accoglienza dell’associazione Santa Marta. E anche i membri dell’associazione non sono tutti uguali. Il medico Pessoto affronta tutto con una disillusione che spesso sfocia nel cinismo, Suor Maria, Sabrina e Carla si dedicano anima e corpo a una missione di cui vedono le asperità, e Jogoy, mediatore culturale, sembra a metà strada tra due mondi, stretto in una morsa quasi soffocante.

Molti altri fili si annodano intorno alle settimane che i migranti passano in paese aspettando la riunione di una commissione che dovrà decidere il loro destino. Il sindaco è all’apparenza benintenzionato, ma nasconde un’ambizione da arrivista, mentre il suo rivale politico Maurizio Mangialepre ha deciso di sobillare gli animi dei concittadini per cacciare gli odiati stranieri ad ogni costo, anche con i metodi più violenti, dando sfogo a un risentimento che pare avere radici lontane e personali. E in mezzo a questa confusione di destini si muovono due figure enigmatiche: un grande poeta, che però da tempo ha smesso di scrivere, e il suo miglior amico, un prete “più uomo che uomo di chiesa”, animato dal fuoco vivo della passione tanto spirituale quanto terrena.

Mentre i giorni passano gli eventi precipitano, nella valanga di odio e incomprensione che rischia di travolgere ogni cosa, e tutto pare correre verso un epilogo terribile. Tutti i legami che quella convivenza inaspettata è stata in grado di creare potrebbero spezzarsi, inghiottiti nella spirale del razzismo e dell’inimicizia. E al tempo stesso si può ancora festeggiare, gioire per qualcosa di futile e profondo come una partita di calcio, sognare la festa, la danza e gli abbracci. Il romanzo di Sarr vuole mettere in rilievo ogni aspetto della vita, quelli più dolci quanto i più crudeli, senza sconti a nessuno. Utilizza registri e linguaggi differenti, anche il diario o gli articoli di giornale, per cercare di restituire la complessità sfaccettata degli uomini che incontrano altri uomini, bellezza e rovina della Storia.

 

Tutte le vite sono coinvolte in un gorgo tragico e grandioso in cui si impastano crudeltà e tenerezza. E in cui bisogna percorrere una via senza sapere se sia davvero quella giusta, si devono prendere decisioni anche quando non si è più certi di niente. Allora, cosa resta? Due cose, forse. L’amore che sopravvive a tutte le meschinità e le sofferenze, l’ultima forza residua anche nel mezzo della catastrofe. E ancora dopo, la parola. “Il poema li accoglieva, dimostrazione che era una grande opera d’arte in cui si poteva entrare e vivere”. Il racconto è ciò che permette di dare testimonianza di quanto è stato, aprire una strada che vada oltre e prosegua. La voce che continua a parlare anche quando il coro di uomini e donne tace.

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