“Il talento del cappellano” di Cristina Cassar Scalia, al quinto romanzo sul vicequestore Giovanna “Vanina” Guarrasi, è un giallo con dentro i sapori della Sicilia. L’autrice rende viva la storia anche giocando con le “catanesate”, sempre comprensibili e spiritose

“Del resto, il metodo Guarrasi era sempre quello: scavare nel passato delle vittime per capirne il presente. Ogni volta finivano appresso a piste vecchie di decenni”.

Il vicequestore Giovanna “Vanina” Guarrasi della Mobile etnea non ha solo grande capacità, e colpi di lucida intuizione che le fanno risolvere i casi più intricati: è testarda e cocciuta e quando si mette in testa di venire a capo di un’indagine lo fa sacrificando qualunque cosa, affetti, famiglia, tempo per sé. Anche quando tutto sembra una fissaria, come la chiamata che riceve nel mezzo delle vacanze di Natale. Nel cantiere del Grand Hotel della Montagna, in ristrutturazione, un guardiano ha visto il cadavere di una donna. Ma il cadavere non si trova più, e il testimone ha fama di essere uno strammato, un tipo bislacco, con l’ossessione degli extraterrestri.

Vanina lascia Palermo, la sua stanza nella casa materna, i festeggiamenti in famiglia, e torna a Catania, in pieno spolvero natalizio, per dare un’occhiata. E fa bene, perché poco dopo il cadavere riappare, nel cimitero di Santo Stefano, proprio dietro casa sua, e non è solo: quella che sembrava solo immaginazione di un mezzo matto si rivela un’indagine inturciniata come poche, peggio di un cruciverba senza schemi. È una buona cosa per Vanina, che mentre lavora riesce a cacciare i fantasmi che le affollano la mente, e vanno indietro agli episodi della sua infanzia, alle sue paure e solitudini.

Copertina del libro Il talento del cappellano

“Vero che Catania non era la sua città, e mai lo sarebbe stata, ma in compenso in un paio d’ore riusciva a tirarla fuori dal guado dei pensieri che Palermo le caricava addosso ogni volta che ci tornava”.

La sua è una vita piena di questioni irrisolte, e di tormenti, non ultimo il tiramolla sentimentale con Paolo, magistrato a Palermo. Paolo è “l’odore del mare d’inverno”, che attira con la promessa di un futuro insieme, verso il quale Vanina è bloccata dai muri di autodifesa che si è costruita.

In una Sicilia fredda e innevata, in mezzo alla bufera, Il talento del cappellano (Einaudi Stile Libero) ritrova insieme a Vanina, la sua squadra formidabile, un carosello di personaggi vitali. Ci sono i due estremi che collaborano insieme, in uffici pieni di scartoffie e parole: il giovane Lo Faro, tutto preso dal suo ruolo, scalpitante e ansioso di farsi notare, che corre in scivolata da una stanza all’altra, e aspira a chiamare un giorno Vanina “capo” e Biagio Patanè, commissario in pensione, che si presenta ogni giorno, vestito di tutto punto, e mette a disposizione la sua esperienza, capace di ragionare all’unisono con Vanina. E dove il capo Tito Macchia ingombrante anche fisicamente vola a terra scassando le sedie, e l’ispettore Spanò sfrutta il suo database familiare, per raccogliere contatti e informazioni dalla ferratissima rete di parenti, Vanina procede nella sua indagine attorniata da un calore indaffarato e divertente.

C’è l’essenza della sua terra, nei romanzi di Cristina Cassar Scalia: queste storie di crimini, con tutto il loro teatro di indizi, analisi della scientifica, intercettazioni e tabulati, ruotano attorno ai morti ammazzati, ma raccontano i vivi. È l’umanità a emergere, sana e godibile, fatta di amicizie, di legami, di complicità vera: persone che lavorano, giorno e notte, non si risparmiano, e sanno ridere, si prendono in giro, si aiutano, si fermano per godere un buon pranzo, una coppa di olive a dare il via ai piaceri più veri, quelli della tavola.

Lontano dai luoghi comuni e dai clichè, in una Catania moderna e trafficata, Il talento del cappellano è un giallo con dentro i sapori della Sicilia: il cibo è uno dei grandi protagonisti, con le polpette e la caponata di Nino, la raviola di ricotta di Alfio, le torte della vicina Bettina che fanno fare pace con la giornata, e accolgono il ritorno a casa di Vanina con un sorriso. Il cibo come compensazione della stanchezza ma anche come pausa di socialità e di condivisione, è calore e ospitalità che avvolge e fa star bene. Anche nell’ufficio affummazziato dalle sigarette, dove il cartoccio del bar Santo Stefano porta la sua ventata di verità e il profumo della crema.

È in questa profonda, rumorosa e godereccia umanità che risiede la nota più felice de Il talento del cappellano, che accompagna su una strada che sembra condurre al probabile, e poi approda a una soluzione che più scunchiurata non si potrebbe, e che solo Vanina, che insieme a Patanè sa guardare oltre l’evidenza, poteva immaginare.

“La crepa –. Fissò la poliziotta. – Se una persona viene assassinata, intendo una persona normale, non un criminale, al novantanove per cento il movente si trova lí: nel punto opaco, quello che nessuno conosce. Che si tratti di soldi o di sentimenti, là bisogna ricercarlo, nella crepa”.

Cristina Cassar Scalia è al quinto romanzo sul vicequestore Guarrasi: con Sabbia nera,
La logica della lampara, La Salita dei Saponari
e L’uomo del porto, il personaggio di Vanina  si è definito nelle sue complessità e nelle sue debolezze: rigida e altera, quando in servizio, Vanina ha tutta la grinta delle donne siciliane, ma torna bambina e indifesa dentro casa sua, avvolta in una coperta a guardare vecchi film mangiando latte e biscotti, scorrendo i messaggi di Paolo sul telefono, incapace di aprire il suo cuore.

L’autrice rende viva la storia anche giocando con le catanesate, sempre comprensibili e spiritose, costruisce con efficacia sull’ambivalenza delle due città, fa pulsare di realismo l’ambientazione e scommette con maestria sulla personalità di una protagonista risoluta e affascinante, una camurriusa sempre affamata, e con il cuore pieno di nostalgia e tormento.

«Non si scappa mai dai problemi, nica mia. Ricordatelo». L’unico insegnamento di suo padre che Vanina aveva disatteso.

 

 

 

 

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