Nel suo esordio letterario, “La casa mangia le parole”, Leonardo G. Luccone affronta con profondità alcuni aspetti fondamentali dell’oggi, a partire dall’identità personale e politica sempre più in crisi

Leonardo G. Luccone, romano, è una figura conosciuta nell’ambiente dell’editoria. È quindi inevitabile l’attesa per il suo debutto nel romanzo: La casa mangia le parole, proposto da Ponte alle Grazie. Lo confermano le parole di Sandro Veronesi: “Quando traduci e curi molto bene i romanzi degli altri, e lo fai per vent’anni, dentro di te dev’esserci per forza un bravo romanziere. Leonardo G. Luccone lo ha trovato, e lo ha tirato fuori”.

Già autore (per Laterza) del saggio Questione di virgole (premio Giancarlo Dosi per la divulgazione scientifica), Luccone, che ha tradotto e curato volumi di scrittori angloamericani come John Cheever e F. Scott Fitzgerald, esordisce con un libro in cui trovano spazio temi diversi: il disagio privato, la decadenza di un’intera classe. Sullo sfondo, una Natura che pare ribellarsi.

La casa mangia le parole

La trama ci riporta nel 2011: è l’ultima notte dell’anno, una notte all’insegna dei non detti. I protagonisti, l’ingegner De Stefano e sua moglie, sono infatti sì considerati una coppia ideale (belli, benestanti, di successo), ma in realtà stanno per rompere, anche se fanno fatica a confessarlo ai genitori di lei, con cui come sempre passano San Silvestro.

La coppia ha un figlio, Emanuele, che non ha fratelli e sorelle e che sembra finalmente aver superato la dislessia.

De Stefano è molto legato all’amico Moses, geniale ecologista italoamericano. Ma in realtà il protagonista è preso soprattutto dall’agognata promozione da parte dell’azienda specializzata in energie rinnovabili per cui lavora.

Certo, la notte di Capodanno i personaggi centrali del romanzo di Luccone non sanno ancora che l’anno che sta per arrivare sconvolgerà le loro esistenze…

Con una scrittura precisa, e utilizzando una struttura narrativa temporale che sfida la linearità riproducendo la complessità della vita, della memoria e dell’esperienza, Luccone intesse un romanzo che mescola abilmente stili e registri, restituendo un universo sfaccettato.

In un esordio maturo, l’autore affronta con profondità alcuni aspetti fondamentali dell’oggi: la crisi della nostra struttura sociale e famigliare, la difficoltà di dire le cose con il loro nome, il rapporto sempre più problematico, in particolare dell’Occidente, con il Pianeta, l’identità personale e politica sempre più in crisi, fra evidenti spinte al conformismo e sotterranee utopie di rivoluzione.

Lo fa attraverso personaggi e luoghi che rimangono impressi, filtrati da uno sguardo personale, ma con l’ambizione a un grande narrazione del presente.

Lo fa nella consapevolezza che le parole, quelle omesse e quelle mancate, quelle ricercate come quelle agognate, quelle sospese e quelle perdute, possono essere davvero importanti, perfino vitali.

E a conferma della forza del debutto di Luccone, arriva il parere di un altro scrittore, Percival Everett, che parla di un libro “che scoppia di energia”: “La tristezza della discordia coniugale sulla faccia del figlio dislessico è lacerante, vivida. L’amicizia tra De Stefano e Moses è tratteggiata in modo meraviglioso. Sono i dialoghi magistrali a portare avanti il romanzo, un romanzo notevole”.

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