“L’hotel del tempo perso – Non rubare” di Ilaria Gaspari fa parte di una nuova serie di racconti lunghi proposta da Rizzoli in cui i dieci comandamenti sono narrati da 10 autrici italiane. Un giallo a tinte filosofiche – di cui proponiamo un estratto – che omaggia Agatha Christie e le sue atmosfere, raccontando le conseguenze del furto più grave che un essere umano possa subire…

I dieci comandamenti raccontati da 10 scrittrici italiane: arriva in libreria per Rizzoli una nuova serie collettiva di racconti lunghi, che ruota intorno alle Tavole della legge, rilette in chiave contemporanea. Partner della casa editrice è Anele, società di produzione fondata nel 2013 da Gloria Giorgianni che gestisce i diritti audiovideo della collana.

Le prime 3 uscite sono La bambina che vola – Non avrai altro Dio all’infuori di me di Dacia Maraini, Sabbie mobili – Onora il padre e la madre di Veronica Raimo e L’hotel del tempo perso – Non rubare di Ilaria Gaspari, collaboratrice di ilLibraio.it e autrice, tra gli altri, di La reputazione (Guanda), Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno) e Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi). A seguire, spazio ad autrici come Ritanna Armeni, Camilla Baresani, Federica Bosco, Teresa Ciabatti, Viola Di Grado, Jennifer Guerra e Lidia Ravera.

Nella presentazione del progetto si legge che, “se i precetti dell’Antico Testamento sono la rappresentazione del giusto, della via del bene e a dettarli, per tradizione, è una voce maschile, la serie ‘Dieci comandamenti’ di Rizzoli racconta in modo nuovo e attuale il decalogo, partendo dal punto di vista femminile e della letteratura come strumento di interpretazione del mondo moderno e dei suoi rapporti di potere“.

Ilaria Gaspari, tra le autrici coinvolte, firma una storia in cui tutti i personaggi nascondono un segreto e nessuno può dirsi davvero innocente. L’hotel del tempo perso – Non rubare è un giallo a tinte filosofiche che omaggia Agatha Christie e le sue atmosfere, raccontando le conseguenze del furto più grave che un essere umano possa subire…

Veniamo alla trama del racconto, che porta a Tauro Pigro, ridente località termale punteggiata di palme. Un hotel dall’eleganza sfiorita – tappeti polverosi, mobilio di mogano tarlato – accoglie dieci ospiti che arrivano alla spicciolata, ognuno col proprio carico di solitudine e aspettative: c’è la socialite d’altri tempi ossessionata dall’età, la bibliotecaria con la testa fra le nuvole, lo storico dell’arte che si ostina a non andare in pensione, la coppia sposata da decenni, lo scrittore incompreso…

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E poi l’architetto seduttore seriale, il parrucchiere rapato a zero, la capa che tiranneggia la sottoposta senza pietà. Non sono tutti entusiasti di stare lì, qualcuno indossa una maschera di malumore poco adatta a quel luogo di riposo, ma senza saperlo hanno in comune qualcosa.

Poco dopo il loro arrivo, nell’hotel si manifestano piccoli inconvenienti: i corridoi sembrano non finire mai, gli orologi segnano l’ora sbagliata e la cena tarda a essere servita. Presto diventa chiaro che c’è un motivo per cui quella compagnia di viandanti si trova lì.

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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Non se ne capacitava. Era forse uno scherzo? Un’allucinazione lucida di quelle di cui gli aveva tanto parlato il suo amico Ernesto, che conosceva dal liceo e che dagli anni del liceo non aveva mai allentato la frequentazione, rilassata e autoindulgente, delle sostanze psicotrope via via più costose che si poteva permettere? (Ernesto, contrariamente a ogni aspettativa, era diventato uno chef di grido, ma era sempre più interessato alle manifestazioni lisergiche della coscienza.) Controllò l’orologio per quella che gli parve l’ennesima volta. Erano già passati cinque minuti dall’ultima: ma come, ma dove?

Dove si erano dissolti quei trecento secondi (era un suo vanto, da sempre, quello di saper fare le moltiplicazioni a mente, e questa era pure facilotta)? Premette sul quadrante dell’orologio per attivare la funzione contapassi. Il responso fu chiaro: aveva percorso un mezzo chilometro, dall’ultimo controllo. Eppure, si ritrovava di fronte quella colonna semidorica che, ci avrebbe giurato, era la stessa davanti alla quale si era fermato cinque minuti prima, trecento secondi più giovane di quanto non fosse adesso e con qualche centinaio di passi in meno nelle scarpe.

Aveva già attraversato il corridoio, quello con la moquette rossa – e superato lo specchio con la cornice di legno e il vetro appena ossidato.

Lo specchio gli rimandava l’immagine di cui non si stancava mai: non l’avrebbe confessato se non a se stesso, anche se riteneva, e persino in buona fede, che la vanità non fosse un difetto
quando era giustificata da una genetica di ferro, supportata dall’esercizio fisico e da un tenore di vita sano. Come nel suo caso. Si passò una mano fra i capelli folti e, ben attento che nessuno lo vedesse, ammiccò al suo riflesso. Il biancore dei denti lo spinse a sorridersi con compiacimento maggiore.

Finché non ricordò che esattamente cinque minuti prima si era già sorriso allo stesso modo, nello stesso specchio. Che, certo, faceva risaltare la figura proporzionata, le gambe lunghe slanciate nel vestito doppiopetto di gabardine blu che pareva fatto su misura, perché su di lui qualsiasi cosa cadeva a pennello…

Ma com’era possibile, se tutto era in ordine, se il vestito gli stava così bene, se i capelli erano a posto e i denti scintillavano, com’era possibile che si fosse perso in un pulcioso corridoio foderato di moquette nientemeno che Daniele Langoni, architetto progettista, una vita al servizio della missione di far viaggiare il maggior numero possibile di persone – si era persino inventato, geniaccio che non era altro, un piano della stazione dedicato ai baci fra innamorati, ai commiati, ai saluti! E poco importava che, poi, quel piano risuonasse tutto delle imprecazioni di
chi ci entrava, in auto o a piedi, carico di valigie e pacchetti, e non riusciva a raccapezzarsi e trovare l’uscita – spesso nemmeno la dolce metà che era arrivato fin lì per recuperare, cosicché, a essere onesti, quello spazio disegnato come un omaggio ai rituali romantici e alle pubbliche dimostrazioni d’affetto era stato testimone di pochissimi baci ma di molti litigi feroci, e addirittura di un paio di separazioni.

(continua in libreria…)

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Fotografia header: Ilaria Gaspari, foto di Chiara Stampacchia

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