Autrice prolifica di articoli, romanzi, racconti, poesie e libretti d’opera, Paola Masino (1908-1989) viene principalmente ricordata come compagna del più anziano Massimo Bontempelli. Per originalità, potenza espressiva e scenari perturbanti, parliamo di una figura imprescindibile e formidabile, che ha sempre trovato difficile coniugare il doppio ruolo di moglie e scrittrice

C’è un nome, nel panorama letterario italiano – quello dei grandi autori – ignorato da molti. Dietro questo nome e le sue sorti, c’è una duplice censura: da una parte quella storica per definizione, di cui sono stati vittima numerosi intellettuali attivi in Italia nel decennio che va dal 1920 al 1930, e legata al regime fascista; dall’altra quella più implicita, sottile, finanche più dannosa che spesso spetta, loro malgrado, a quelle scrittrici colpevoli di aver scelto di accompagnarsi nella vita ad altri scrittori.

Paola Masino rientra in entrambe le categorie: autrice prolifica di articoli, romanzi, racconti, poesie, libretti d’opera, viene principalmente ricordata come compagna del più anziano Massimo Bontempelli, di cui condivise buona (con l’inserimento tra le firme della rivista 900 da lui diretta) e cattiva sorte (l’allontanamento da Roma impostogli dal Partito).

Nata a Pisa il 20 maggio ma in una famiglia altolocata, emblema di emancipazione femminile grazie alla sua formazione intellettuale da autodidatta, al precoce talento per la scrittura (a soli 16 anni scrisse il primo dramma Le tre Marie) e alla ferrea volontà che oppose alla famiglia contraria alla sua relazione, amica di artisti illustri dell’epoca quali De Chirico, Pirandello, Anna Maria Ortese, Natalia Ginzburg, Masino è una di quelle personalità la cui caduta nell’oblio risulta oggi più che mai incomprensibile. Soprattutto se si considera la carica innovatrice della sua scrittura, che Rina edizioni – in piena coerenza con il proprio progetto editoriale di riscoperta di figure femminili dimenticate –restituisce ai lettori ripubblicando dopo ottanta anni la raccolta Racconto grosso e altri, apparsa per la prima volta il 12 novembre del 1941 per Bompiani e ora arricchita con le annotazioni apportate su una copia dall’autrice stessa.

Dieci racconti scritti nel corso di un decennio che vede Masino alle prese con una grave crisi creativa e che, nel loro insieme, si fanno riflesso tangibile di sentimenti angosciosi che mai arrivano però a sopraffare la raffinata ricerca linguistica.

Già con Terremoto, che apre il volume, ci si rende conto di avere a che fare con qualcosa di straordinario: nelle immagini, nella forza con cui le si esprime e, soprattutto, nell’onirica e surreale concezione del mondo che ne è alla base.

L’insospettabile (o forse no?) avvento del cataclisma coglie un paese nelle sue turbe più profonde: una madre separata dai figli, due fanciulli, un’amante scoperta – tutto in balia della terrifica ribellione della natura. Sotto questa trama dall’apparenza esile, si manifestano alcuni dei temi più cari a Masino. In primis, il complesso rapporto con la morte:

“Alla morte non si pensa o si pensa come a una soluzione miracolosa o di stabilità. Si pensa alla pazzia di una vita continua e così convulsa, alla terribilità delle passioni scoperte, alla verità. Forse ogni altro elemento sempre è altrettanto convulso come una terra scrollata, ma le cose e gli uomini stanno fermi sulle loro convulsioni, si nascondono per difesa.
Un minuto in cui gli uomini avevano imparato che cosa vuol dire essere ucciso, dunque avevano imparato il vero significato della vita. Ma molti non erano più a tempo a usarne, e gli altri subito lo avevano buttato via”.

La stessa tematica serpeggia, in Viaggio con panorami, tra gli splendidi paesaggi della strada che congiunge Firenze a Roma, che l’antropomorfa auto Andromeda percorre trasportando quattro amici strambi e distanti tra loro quanto uniti dall’anelito verso qualcosa di superiore, che si mostra in barlumi senza mai farsi davvero cogliere:

“Lei voleva, lei supplicava da tutto il paesaggio, un riposo. Là là là: ogni punto dell’orizzonte le stava davanti come una porta che avrebbe potuto aprirsi e mostrare la meccanica della vita. Ma nulla si moveva. Sentivo che o lei o il cielo stavano per crollare se restavano ancora di fronte”.

Il volume prosegue con tre racconti i cui titoli – Latte, Figlio, Famiglia – tracciano già la cornice di un quadro umano che, se volessimo davvero tradurre in pittura, avrebbe senza dubbio i colori dominanti del sangue – lo stesso che sancisce la conclusione dolorosa di Latte e che viene costantemente evocato nella descrizione dell’aborto e delle sue conseguenze in Figlio. Perché sì: Figlio parla di un aborto senza mai utilizzare esplicitamente la parola, in un’epoca storica in cui di aborto, infatti, non si poteva parlare. O almeno, non senza imbattersi in quella censura che Paola Masino affronta a testa alta, senza mai arrendersi se non con qualche inevitabile concessione a Bompiani che taglia dalla raccolta, contrariamente alla sua volontà, il racconto Fame.

E non è un caso che di tanto in tanto, in queste pagine intrise di temi esistenziali, di vita e di morte, compaiano brevi periodi, talmente ben contestualizzati da non destare il minimo sospetto in lettori frettolosi alla ricerca della parola bandita, che sembrano però fare appello in maniera neanche celata alla coscienza politica:

“Perché ci sia ordine al mondo, bisogna che ci siano ritornelli fissi, controllati, approvati, e che entrino, volere o no, in tutte le teste, senza tener conto delle conformazioni e delle dimensioni, altrimenti addio governo. Un ritornello per la fede, uno per l’amore, uno per l’odio”.
[Commissione urgente]

“O albero, qual è la nostra sorte terrena se noi stessi non ci sentiamo miracolo, ma anzi ci pare giusto sottostare a leggi altrettanto arbitrarie quanto sarebbe la volontà mia di una capovolta natura?”.
[Racconto grosso]

Anche in questo Masino, morta a Roma il 27 luglio 1989, si rivela autrice eccezionale, scrittrice capace di depistare gli abusi del controllo semplicemente con la delicatezza della sua costruzione narrativa.

Gli ultimi racconti della raccolta, tra cui quello che le dà il titolo, acquisiscono prospettive ai confini del metafisico in cui la lettura si trasforma in un viaggio spazio-temporale alla ricerca delle ragioni profonde di ogni cosa, dell’esistenza stessa.

Eppure nelle Allegorie è impossibile non cogliere un immaginario che attinge a piene mani dall’amore profondo e complesso tra Paola e Massimo Bontempelli, nelle luci e nelle ombre di una relazione in cui lei, innamoratissima, ha sempre trovato difficile coniugare il doppio ruolo di moglie e scrittrice.

“Ma ora all’improvviso si accorgeva che tutto quanto aveva taciuto era la parte vera di sé stessa e la parte nemica ad Albo. […] Solo ai margini potevano fondersi e incontrarsi, solo quando l’uno cessava di vivere davanti all’altro si sentiva compiuto; insieme non sapevano rifulgere, stretti non nasceva da loro che un miscuglio di sentimenti pallidi, d’ombre fuggitive”.
[Allegoria prima]

“C’è dunque un’altra fine? Eppure vivemmo insieme tutto il nostro male”.
[Allegoria seconda]

Racconto grosso esce lo stesso anno (1941) di Nascita e morte della massaia, il romanzo che ha reso Paola Masino celebre anche all’estero. Forse questo gemello dal titolo più accattivante e dal successo immediato ha contribuito a oscurare i più timidi racconti. Ma, in fondo, l’ispirazione che anima le due opere è la stessa; ed è così che l’autrice/voce narrante di Viaggio con panorami finisce per chiedere alla fedele automobile: “Andromeda, mi viene un dubbio: tu e io saremmo per caso come quelle donne che vanno sempre riempite? O è il paesaggio che va sempre riempito? Sempre riveduto?”.

Una domanda che attraversa la produzione letteraria di Masino e la sua stessa esistenza.

Racconto grosso e altri rappresenta una chiave per accedere all’universo letterario, spirituale e metafisico di un’autrice del Novecento italiano che, per originalità, potenza espressiva e scenari perturbanti merita non solo di essere riscoperta, ma di diventare imprescindibile.

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