Quasi un grido di protesta avverso gli stereotipi della cultura patriarcale – che le donne non indossano le ghette – il romanzo “Saltblood. Sangue salmastro” (in uscita per Ne/On, il nuovo marchio di e/o). L’autrice, Francesca De Tores, accompagna a esplorare una delle epopee criminali fra le più misteriose e raccontate di sempre, la pirateria dei Caraibi nella sua Età dell’Oro (fra il 1640 e il 1720). E lo fa con un approccio femminista. Perché il vero tesoro cui ogni pirata aspira è proprio la libertà di essere sé stessi, contro ogni regola e convenzione…

Bucanierə, all’arrembaggio!

Quasi un grido di protesta avverso gli stereotipi della cultura patriarcale – che le donne non indossano le ghette – Saltblood – Sangue salmastro di Francesca De Tores (in uscita per Ne/On, nuovo marchio di e/o, nella traduzione di Chiara Puntil), un libro che ci accompagna a esplorare una delle epopee criminali fra le più misteriose eppure raccontate di sempre, ovverosia la pirateria dei Caraibi nella sua Età dell’Oro (fra il 1640 e il 1720).

Saltblood di Francesca De Tores

E lo fa con un approccio di carattere femminista; discostandosi ventimila leghe dal cliché letterario cui ci siamo vieppiù abituati – quello del Capitan Uncino, tanto per intenderci -, il romanzo storico/lgbtq+ si sofferma invece sul personaggio di Mary Read, un’avventuriera inglese – realmente esistita – che tra l’altro incarna tutti i trope più amati dalle nuove generazioni (e, in particolare, quelli della falsa identità e del triangolo amoroso).

Già, perché concepita in adulterio e costretta a fingersi il fratellino morto pur di garantirsi la protezione da parte dei nonni paterni, la/il giovane M – che oggi si definirebbe una persona queer cresce quindi come “femmina che è diventata un maschio” e, dopo un periodo da domestica al servizio della nobildonna Turnbull, accede alla Royal Navy quale mozzo da polveriera, quivi apprendendo ogni informazione utile riguardo al mare e alla sua navigazione.

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Sono gli anni della guerra di successione spagnola – quella che vede il Regno d’Inghilterra schierarsi nella Grande Alleanza contro le pretese della Francia dei Borbone – e mentre l’adolescente Mark (che è puranco Mary) viene affidato/a allo squadrone di terra, un commilitone dell’esercito – Dan Jennings, che ne ha intuito il segreto – se ne innamora perdutamente, convincendola ad abbandonare la fanteria per quindi trasferirsi a Breda, ove l’uomo ha in gestione una locanda.

Ora moglie, presto madre, M proverà per sé una calma piatta che da principio sembra gradita alla donna; ma quando un triste evento ne sconvolgerà di tutto punto i piani (“sono un campo allagato, dove le cose si putrefanno e non crescono) lei stessa non esiterà un attimo prima di consacrarsi al Vessillo di Re morte, puntando alle acque alte neanche fosse un Barbanera d’altri tempi.

Eccola dunque arruolarsi nella ciurma di Calico Jack, il capitano più ricercato della costa; e nel mentre si impratichisce delle regole di Nassau – il covo caraibico dove avvengono i commerci – Mary solidarizza altresì con Anne Bonny, l’audace piratessa che con lei spartirà un po’ di tutto (dai bottini alla passione).

Sono questi i passaggi di maggiore impatto narrativo; fuorilegge per gli editti del governatore Rogers e alla prese coi problemi che imperversano ogni giorno (dal rischio di epidemie ai continui abbordaggi dei nemici), l’equipaggio della Camila ci regalerà pagine di autentica suspense, peraltro intervallate da richiami fantasy se non anche soprannaturali (vedi la presenza del corvo Crow, che sembra presiedere ogni cosa al pari di una divinità ex machina).

Di quanto poi le relazioni (poliamorose?) di M incideranno sullo sviluppo della trama, questo è tutto da scoprire; quel che invece emerge sin dal prologo è l’assoluta competenza dell’autrice nell’approfondire le tematiche più sensibili, specie quelle relative all’identità di genere e all’orientamento affettivo, ma con la stessa semplicità/fluidità che appartiene alle questioni di Natura.

E a chi le chiede se, nella contemporaneità attuale, ritrovi un parallelo alla figura di M, Francesca De Tores risponde così: “Viste le specificità della vita di Mary, non può esservi oggi un suo esatto termine di paragone; ciò nonostante, esistono ancora numerosi individui che continuano ad abbattere confini e a lottare con coraggio.

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Quanto a quello dimostrato da marinai, credo che Mary ammirerebbe Carola Rackete, la comandante che ha affrontato una moltitudine di processi per aver soccorso i migranti in mare. E rispetto alla tematica gender, riscontro paralleli fra lei e le persone trans e queer che vivono nella propria autenticità nonostante le crescenti ostilità e pregiudizi nei loro confronti”.

Chissà che, in finale di trattazione, non sia poi questo il vero tesoro cui ogni pirata e piratessa aspira: la libertà di essere sempre sé stessi, sia che maschi, femmine, neutri o qualsiasi identità non binaria. Oppure di sangue salmastro, perché no.

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