Nel suo nuovo libro, il saggio “L’arte di sbagliare alla grande”, Enrico Galiano ha deciso di sfatare il mito della perfezione e svelare tutti i suoi errori e le scelte azzardate – Su ilLibraio.it un estratto, in cui l’autore si appella a ragazze e ragazzi alla luce della sua esperienza personale

Enrico Galiano, nato a Pordenone nel 1977, insegnante in una scuola di periferia, è uno dei prof più noti sui social, oltre che uno scrittore di successo (per Garzanti ha già pubblicato Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio, Dormi stanotte sul mio cuore e Basta un attimo per tornare bambini).

Ora Galiano, assiduo collaboratore de ilLibraio.it, torna in libreria con il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande (Garzanti), un libro in cui racconta come i nostri errori ci arricchiscono e rendono bella la vita.

 "L’arte di sbagliare alla grande", il primo saggio di Enrico Galiano

Una volta Freud ha detto che non commettiamo tanti errori nella nostra vita ma sempre lo stesso, ripetuto infinite volte. Perché i nostri sbagli raccontano di noi molto più di quanto non crediamo: della nostra storia, di come eravamo, di cosa siamo diventati. Eppure, soprattutto quando si è ragazzi – a scuola, in casa, persino con gli amici – sbagliare è diventato un tabù.

Galiano con coraggio, ha deciso di sfatare il mito della perfezione e svelare tutti i suoi errori e le scelte azzardate. In questo libro racconta così di quando ha preferito una partita di calcio in tv a un appuntamento romantico con la ragazza dei suoi sogni, dei brutti voti dati e ricevuti a scuola, di quella notte in cui per poco non ha rischiato di essere arrestato, e di come tutto questo l’abbia reso l’uomo che è oggi. Perché non c’è dubbio: sbagliare può causare ferite che impiegano anni a rimarginarsi e può lasciare segni indelebili nella nostra anima. Ma è necessario per capire chi siamo, per vivere una vita piena, per esprimere tutte le nostre speranze…

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Rassegnazione è una parola strana: viene da re-ad-signare e significa “ritornare al segno”, inteso come segno altrui. Chi si rassegna è chi si dispone al segno altrui, chi mette la propria volontà in mano alla volontà degli altri, abdicando alla propria. Quindi: chi rinuncia all’idea di avere il potere di influenzare il proprio destino.

Ecco perché Kierkegaard a un certo punto di un suo famoso libro dice quella frase oscura: «L’ansia è la vertigine della libertà».

Secondo Kierkegaard l’ansia (anche se viene spesso tradotto come “angoscia”, il termine danese angest si può intendere in entrambi i modi) è il sentimento proprio degli uomini liberi. Il motivo è semplice: l’ansia nasce dal non sapere quale sarà l’esito di un certo evento e da come le nostre scelte lo condizioneranno. Solo gli uomini liberi hanno di fronte più scelte, più possibilità, mentre chi non è libero si deve rassegnare al volere altrui e, facendo così, a un finale già prestabilito.

Mentre la tranquillità è il sentimento dei rassegnati, l’ansia è l’emozione delle persone libere.

L’ansia non è buona solo perché è sintomo di libertà: è buona anche perché è prodotta dalla naturale attivazione di meccanismi del nostro corpo e della nostra mente, è una macchina perfezionata da millenni di evoluzione che serve a dare forza ai nostri muscoli, energia alle nostre idee. Per cui, anche se era un sollievo per me rifuggirla attraverso la rassegnazione, anche se può essere piacevole accoccolarci sorridenti sulle liane come Simba mentre Nala lo pungola, ho capito solo poco tempo fa che era un errore, e che l’ansia è uno dei modi che ha la vita per dirti una cosa importante: “Ricordati che sei ancora vivo!”.

Per cui caro ragazzo e cara ragazza che stai leggendo.

Perché ti ho raccontato tutta questa storia? Perché ti ho preso per mano e ti ho fatto vedere tutti gli errori più stupidi che ho fatto in vita mia, soprattutto questo che è stato l’errore più grande?

Perché verranno anche da te. Se non sono già venuti. Molto probabilmente sarà un adulto, forse un insegnante, o magari un genitore, un parente, un amico. Qualcuno verrà da te e ti dirà queste semplici parole: «Lascia perdere». Oppure: «È troppo difficile per te». Oppure ancora: «Non sei abbastanza bravo per questo, non sei abbastanza intelligente». A quel punto, quando succederà, mi dovrai fare un favore, un grande favore: non fare il mio stesso errore. Non dargli ragione, non rassegnarti alla volontà di qualcun altro. Non fare come me, che ci ho messo anni a capirlo.

(continua in libreria…)

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