Nel suo nuovo libro, intitolato “La montagna di fuoco. Etna: la madre”, il filosofo catanese Leonardo Caffo si rivolge direttamente al vulcano attraverso lettere, fotografie e dialoghi (con l’Etna stessa o con il padre vulcanologo), riflettendo sul rapporto tra l’essere umano e la natura, ma anche su ciò che tendiamo a definire vita – Su ilLibraio.it un estratto

Per chi non ti conosce sei ‘solo’ una montagna. Per noi, costretti a osservarti come davanti al Cristo di Monreale che ti guarda da ogni dove, una bestia al di là di qualsiasi classificazione metafisica. Una montagna che va ben oltre il genere, vulcano (maschile) con un nome femminile (Etna) e con la vocazione di una madre, idda, che protegge e punisce i propri figli. Il mio viaggio per incontrarti di nuovo inizia dalla casa dei miei genitori e dagli oggetti di mio padre, vulcanologo“.

Nel suo nuovo libro, intitolato La montagna di fuoco. Etna: la madre e pubblicato da Ponte alle Grazie, Leonardo Caffo, filosofo nato e cresciuto a Catania, si rivolge direttamente al vulcano sotto il quale ha passato i primi anni della sua vita – l’Etna -, cercando di osservare attraverso i suoi fenomeni, le eruzioni e i terremoti, l’inquinamento e le opere dell’umano, qualcosa che riguarda una più ampia riflessione tra noi stessi e la natura, ma anche rispetto a ciò che definiamo vita al di là delle classificazioni biologiche.

La montagna di fuoco si configura così come una serie di lettere, fotografie, dialoghi, in cui attraverso la filosofia di un vulcano scopriamo qualcosa su ciò che abbiamo fatto al nostro pianeta, ciò che ci aspetta, e che tipo di rivoluzione potrebbe essere per la nostra specie metterci semplicemente in ascolto del linguaggio non verbale delle cose del mondo naturale.

Laureato alla Statale di Milano, docente, conduttore radiofonico e collaboratore di diverse testate, Caffo va infatti al cuore della storia, del mito e dell’antropologia dell’Etna, il più alto vulcano attivo europeo e un simbolo magnifico e terribile, potente e affascinante, alla cui ombra un padre vulcanologo e un figlio filosofo si confrontano in un libro sentimentale ed ecologico.

Copertina del libro La montagna di fuoco di Leonardo Caffo

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un capitolo:

5. Nessuno

Cara Etna,

ad Acitrezza, in qualche strano modo, siamo cresciuti entrambi.

I faraglioni di Acitrezza

I faraglioni di Acitrezza (foto di Leonardo Caffo)

La mia adolescenza, tra tuffi dagli scogli più alti e giri in canoa verso l’isola Lachea, si fa spesso tutt’uno con questo luogo. Penso ai ‘cubi’ di cemento e pietra lavica, costruiti per allungare il piccolo corso che costeggia il mare, dove io e i miei amici ci nascondevamo per fumare una canna in quattro o per scrivere su qualche muretto le nostre promesse di eternità temporanea. Penso alle nuotate a perdifiato dai faraglioni al castello scolpito nella pietra, e penso alle notti d’estate in cui illuminavi il nostro far niente – il farsi compagnia, passando da una barchetta all’altra ormeggiate al porticciolo con in mano una birra low-cost, mentre diventavamo grandi senza che nessuno di noi lo sapesse. Senza che nessuno di noi lo volesse davvero.

Eterni come le nostre scritte, ci pensavamo. Eterni come te, sospesi tra il mare e la terra.

Questi che sembrano scogli, dove la leggenda vuole sia ambientata la storia del ciclope e Ulisse ‘Nessuno’, sono in realtà alcuni tra i tuoi più grandi depositi di sedimenti conseguenti una eruzione: prismi vulcanici che raccontano il tuo essere nata in mare. Il tuo, come me, aver trascorso l’adolescenza tra i tramonti e le albe leggere e tiepide tipiche del Mar Ionio. Il mare più freddo e vero della Sicilia.

Nascere in mare, cara Etna, rende la commistione tra gli elementi apparentemente contraddittori con cui i presocratici provavano a descrivere l’origine del mondo, confusamente felice.

Può interessarti anche

L’acqua ospita la terra che genera il fuoco, proprio come capita oggi a un tuo fratello minore – lo Stromboli nelle isole Eolie. E che fortuna quelle sere estive passate a osservarvi parlare insieme, due lingue di fuoco in prospettiva in quell’unico immenso poligono paesaggistico che chiamiamo cielo stellato. Molte di quelle stelle brillano di una luce antica, che il mio occhio percepisce solo adesso che sono morte… morto come lo sono io per loro, dalla stessa prospettiva girata al contrario. La meraviglia della fisica tradotta sotto la lente della poesia.

I faraglioni, sin da ragazzino, mi trasmettevano l’idea del sommerso attraverso l’emerso. Uno dei mondi più ignorati in assoluto dalla filosofia occidentale è senza dubbio quello acquatico* – bisognerebbe fare non una filosofia animale o vegetale, ma provare a capire come verrebbe letteralmente capovolta ogni metafisica se prendessimo il punto di vista dei muschi e molluschi, delle piovre, degli animali che si decapitano e si rigenerano come certe meduse, delle architetture dei fondali marini, dei pesci che cambiano colore mentre sognano, dei branchi che tracciano traiettorie degne di una variante divina, e anche appunto del capovolgimento: il faraglione emerso è per me ciò che il faraglione sommerso credo sia per uno dei tanti cefali che gli nuotano accanto. Intuisco una filosofia del sottosopra tanto più interessante di quei temi paludosi in cui mi obbligavano a restare intrappolato quando facevo il ricercatore in filosofia in università, che quasi mi vergogno di averla intuita, questa filosofia, senza mai aver avuto il coraggio di farla.

Ma forse la sto facendo proprio adesso qui con te? Tutte le volte che sono volato lontano, come ti mostro in questa foto un po’ bruttina che ti ho scattato dal finestrino di un aereo diretto all’altro lato del mondo, tutto mi è sembrato molto più unito che nelle mie tassonomie da filosofo.

Qual è la linea che distingue il mare dal cielo, la terra dalle nuvole, l’albeggiare dal gas che emerge potente dalla tua bocca? Dove si trovano le giustificazioni concettuali per ciò che chiamiamo ‘paesaggio’, il fenomeno ottico attraverso cui tagliamo certi spazi con criteri estetici che in realtà non hanno nessun correlato ontologico? E qual è la linea che distingue me da te? Non riesco a non osservare questo paesaggio, da cui forse appare anche un timido arcobaleno, pensando al fatto che mi sto ‘staccando’ da qualcosa: non un semplice partire, ma appunto uno sgancio che non potrà fare che una cosa per tutta la vita. Attendere di essere riagganciato.

Foto aerea dell'Etna

Veduta aerea dell’Etna (foto di Leonardo Caffo)

È sempre Manlio Sgalambro che mi viene in mente mentre ti scrivo, cara Etna. Quella che lui definiva ‘la legge della appartenenza’, ovvero l’inesorabile ritorno di ogni siciliano alla tanto vituperata terra in cui noi isolani siamo nati. Tu sei questa legge, un diritto naturale con cui, tra timori e tremori, richiami i tuoi figli all’essenzialità della vita. Al progetto utopico di una casa a Milo, magari vicino a quella di Carmen Consoli, o a quelle che furono di Lucio Dalla o di Franco Battiato. Ai desideri della coltivazione di uve per fare i vini, ai sogni quasi infantili del mio ritiro nei tuoi boschi quando finalmente mi sarò stancato della vanità dello scrittore mondano.

In questa foto dal finestrino, che ovviamente mi fa pensare invece a Ettore Sottsass e al suo scattare veloce e senza tecnica apparente, vedo congelata la mia vita, irrequieta come quella di ogni abitante di una terra vulcanica, per il quale la stabilità è un mito incomprensibile, anche se necessario.

Dal mare alla cima, insegni a noi tutti che la vita è movimento. Se ti fermi per troppo tempo sarà inesorabile, alla fine, la violenta eruzione che porterà tutti a ballare al tuo ritmo.

Che poi, in fondo, è il ritmo del desiderio meridiano, di quel sottofondo sonoro che è il mondo mediterraneo.

*Mentre scrivevo questo libro ho scoperto l’uscita di R. Casati, Ocean: A Philosopher’s Journey, MIT Press, Boston 2022.

(continua in libreria…)

Fotografia header: GettyEditorial 12-01-2022

Abbiamo parlato di...