“Da tutte le parti questo corpo che mi abita e che abito sfugge e mi torna, come se fosse l’anguilla della mia coscienza, un’anguilla attaccata a me”. Rossana Rossanda ripercorre la sua vita intensa, dalla giovinezza agli anni del PCI, attraverso una raccolta dei suoi scritti, “Questo corpo che mi abita” – Su ilLibraio.it un estratto

Rossana Rossanda, giornalista fondatrice de Il Manifesto e volto storico della sinistra italiana, raccoglie, insieme a Lea Melandri, numerosi articoli e scritti vari, nel volume Questo corpo che mi abita (Bollati Boringhieri).

Rossanda copertina questo corpo che mi abita

Classe 1924, dirigente per due decenni del PCI e idolatrata da un giovane Gabriel García Márquez (“Sai, Rossana è la donna più intelligente che io abbia conosciuto e che ti capiterà di conoscere al mondo, lasciamola lavorare”, avrebbe detto a Roma, dopo averla incontrata, come racconta La Stampa), Rossanda, con occhio critico e autoironico, ripercorre attraverso i suoi testi le diverse fasi della sua vita, in una sorta di ‘tiro di somme’, grazie anche all’aiuto della giornalista e scrittrice Lea Melandri.  Rossanda si descrive come ‘una ragazza di novantatré anni che ha avuto una vita intensa, sempre in collera con il corso del mondo e le sue inique storture‘. Racconta di sé, del suo corpo che invecchia conservando l’attitudine ragionativa e affilata a cui non ha mai rinunciato, specialmente in politica.

E il corpo diventa un’occasione di riflessione sul tempo del declino, nella dissonanza tra l’autobiografia di un io politico e il principio del tutto è sessuato caro all’ortodossia femminista. Un confronto tra il proprio e quello delle altre, prossime o inarrivabili come le stelle del cinema, che nasce dal senso di scostamento tra sé e la materialità. “Da tutte le parti questo corpo che mi abita e che abito sfugge e mi torna, come se fosse l’anguilla della mia coscienza, un’anguilla attaccata a me”.  Per Rossanda è impossibile “assumere con immediatezza la stessa specificità biologica femminile, che pur dovrebbe, a rigor di logica, essere opaca e inavvertita come il respiro”: forse contro le loro intenzioni, queste pagine toccano pieghe intime anche quando trattano d’altro, di memorie di rivoluzionarie francesi, di cinema o di canoni di bellezza.

Rossanda oggi vive a Parigi. Tra i suoi saggi politici e autobiografici ricordiamo La vita breve. Morte, resurrezione, immortalità (Pratiche editrice, scritto con Filippo Gentiloni) e La ragazza del secolo scorso (Einaudi). Presso Bollati Boringhieri sono usciti Note a margine e La perdita, scritto con Emanuela Fraire. L’autrice si è recentemente raccontata in un’intervista al Venerdì di Repubblica.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto

«La mobilità del corpo negli anni è altro da quando sei ammalata. Di malattie ne ho fatte una caterva, le più note. Ma le ho vissute di passaggio, o muori, o passano. A me passavano. Le deformità dell’invecchiamento sono diverse. Guardo le mani sulla tastiera sulla quale sto scrivendo. Loro sì che erano la “forma”. Erano bellissime. Così belle che se qualcuno mi diceva “che belle mani” rispondevo “sì, sono le più belle che abbia mai viste”, modo di tagliar corto e rendermi antipatica testimoniando il vero. Erano le mani della ragazza del Verrocchio, lunghe, nervose. È piacevole essere qualunque ma aver belle mani, è una bellezza un po’ segreta, lo sai tu e non salta agli occhi. Da alcuni anni queste mani sono impazzite. A ogni articolazione c’è una collinetta, un cornetto, sconnesso, irregolare come se sotto le ossa premessero per uscire. Sull’indice della destra, con la quale ho picchiato milioni di parole, c’è una specie di montagna, e storta. Sul dorso ci sono vene azzurre nella mamma mi piacevano e alcune macchie brune. Pazienza. È la pelle che è strana, sembrano due tartarughe. Le mani sono sempre in mezzo, visibili, non te le puoi scordare. Mi dicono che il corpo se ne sta andando. Lui se ne va. Non io. Daccapo non siamo insieme. Lo guardo e sono indignata di quel che sta facendo». […]

Amiche mie, che forse leggete con qualche fastidio – gli inglesi dicono che non è educato parlare del corpo, non si parla, non sai mai dove vai a parare, tocchi una inquietudine – questa faccenda ha tanta emotività quanto una grammatica. L’ho scritta perché il corpo è intrigante. Il corpo che non si percepisce non conta. Sul serio. Quello che ti ammazzerà – prima o poi capita a tutti – è come un killer che se ne va per strada e quando ti incontra ti spara. Non è cosa tua. Perciò non vado letta come se comunicassi una notizia. Non c’è notizia. La notizia c’è nell’invecchiamento, che si vive. […]

Muta il tempo, sono meno distratta, penso che c’è qualcosa che non vedrò e non mi duole più: ero una turista efferata, correvo a non perdere niente. Ho corso sempre, continuo a correre per capire – mi restano da capire un mucchio di cose, mi seccherebbe non capirle. Quelli come me sono vissuti come una tessera del mosaico del mondo, sarà stata la guerra mondiale o il comunismo, in ogni modo è un bel vivere, non mi sono annoiata mai».

(Continua in libreria…)

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