“Per il greco il mondo è precipuamente spazio di un rapporto, che sia conflitto o affinità. La cosa o la persona, per il greco, non viene mai sola: ce n’è sempre una seconda che, stabilendo con lei una relazione o positiva o negativa, serve a definirla e a darle realtà” – Dopo averci iniziato all’utile inutilità del latino, Nicola Gardini in “Viva il greco. Alla scoperta della lingua madre” ci accompagna ora alla scoperta di una lingua fitta di contrasti e di parallelismi, che può aiutarci a interpretare la complessità dei nostri tempi

La Grecia antica è a un tempo inizio e punto d’arrivo. Nella sua lingua si sono elaborati i fondamenti di altissimi ideali come la giustizia e l’amiciziaOmero, con la sua epica eroica, ha saputo raccogliere e trasmettere i fondamenti di una comune etica dell’eccellenza; con la poesia di Saffo e di Anacreonte l’eros ha trovato per la prima volta voce in letteratura.

Con la lingua della filosofia, Platone, Socrate e Aristotele hanno indagato le profondità della mente umana e della natura, fondando le radici del pensiero occidentale, mentre nelle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide è stato portato in scena il dramma della libertà individuale.

Le commedie di Aristofane hanno criticato le derive della democrazia e posto in primo piano la formazione dei giovani; i discorsi di Demostene hanno insegnato a difendere la libertà dalle sopraffazioni più temibili; la lingua di Pindaro ha esaltato le glorie della competizione atletica; e le storie di Erodoto e di Tucidide hanno indagato le differenze tra i popoli e i motivi dei conflitti.

La Grecia, in altre parole, è il luogo delle origini, e nella lingua di quella antichità hanno preso forma la nostra cultura e la nostra civiltà.

Dopo averci iniziato all’utile inutilità del latino nel bestseller Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile (Garzanti), Nicola Gardini, classe 1965 e dal 2020 presidente della casa editrice Salani, volge ora lo sguardo alla mitica patria ideale e in Viva il greco. Alla scoperta della lingua madre (Garzanti) ci accompagna alla scoperta di una lingua di infinita ricchezza, fitta di contrasti e di parallelismi, costruita sul confronto e sull’antitesi, che ancora può aiutarci a interpretare la complessità dei nostri tempi, invitando a comporre i dissidi in convergenze.

L’autore, che ha pubblicato anche alcuni articoli su ilLibraio.it, insegna Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford e, sempre con Garzanti, ha pubblicato anche Con Ovidio, Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo e Il libro è quella cosa.

Viva il greco di Nicola Gardini

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

La prima particella 

La prima particella che incontrai fu (δέ). Non è esagerato dire che su questa sillabina, un delta + un epsilon, il greco ha costruito il suo destino, o almeno una sua fondamentale vicenda, di cui ci occuperemo in questo libro. Nel celebre volume di J.D. Denniston The Greek Particles troviamo dedicate agli usi di ventisette pagine. Qui voglio considerare la particella nella sua funzione avversativa, che è diffusissima: quella del nostro “invece”.

È tipico che nella frase precedente, quando ha questa funzione, sia anticipato da un mén (μέν) – su cui l’appenacitato volume si diffonde per quaranta pagine. Lasciatemi esemplificare la correlazione tra mén e con un esempio maccheronico: “Io mèn amo viaggiare, tu no”. Ognuno traduca la contrapposizione tra mén e come crede: “da una parte… dall’altra…”, “mentre… invece…”, “se… invece…”. Gli amanti della brevitas potranno anche non tradurre le due particelle. In questo caso i pronomi “io” e “tu” bastano. L’importante è aver chiaro che con queste particelle correlate il greco esprime un’antitesi.

La struttura di una frase greca di minima complessità, come è ben esemplificato dal costrutto mèn… dè…, è appunto questa: bimembre, bipartita, comparativa. Per il greco il mondo è precipuamente spazio di un rapporto, che sia conflitto (guerra, gara, lite, antagonismo politico, odio, invidia, gelosia ecc.) o affinità (amicizia, amore, ospitalità, alleanza, pacificazione ecc.). La cosa o la persona, per il greco, non viene mai sola: ce n’è sempre una seconda che, stabilendo con lei una relazione o positiva o negativa, serve a definirla e a darle realtà. In quel nudo schema, mèn… dè…, io vedo rappresentata l’anima stessa del greco, io scopro raccolta come in una formula matematica, che riduce il dato ad astrazione simbolica, tutta una serie di opposizioni che costituiscono la civiltà e la letteratura dei greci. Cito rapidamente le più macroscopiche, prima di arrivare a descriverle nei vari capitoli: greci/troiani (Omero), greci/persiani (Erodoto), Atene/ Sparta (Tucidide), greci/macedoni (Demostene), greci/romani (Plutarco), uomini/dèi (Omero, Esiodo, Eschilo), apparenza/verità (Platone)… E sul piano individuale, un po’ dappertutto: padre/figlio; uomo/donna; giovane/vecchio; vivo/morto; amante/amato… Il pensiero greco è comparativo, oppositivo, dialettico, dialogico, dicotomico; e di questo la lingua è sia costruzione sia specchio.

Devo menzionare un altro uso essenziale di : ho dé (ὁ δέ). Che cos’è questo accostamento di briciole? Nient’altro che l’articolo maschile al singolare seguito dalla nostra particella. Bene: questa combinazione conferisce all’articolo valore di pronome dimostrativo o personale (che è poi il valore originario dell’articolo, come è attestato nella lingua di Omero, che non conosce ancora la logica dell’articolo): “costui”, “lui” Recuperiamo anche il mén e vediamo un costrutto tipico: ho mèn… ho dè (ὁ μὲν… ὁ δὲ). È la solita contrapposizione di mén e : “l’uno… l’altro…”. Anche al plurale: hoi mèn… hoi dè (οἱ μὲν… οἱ δὲ), “gli uni… gli altri…”. E così anche nei restanti casi (genitivo, dativo ecc.), generi e numeri. Un esempio magnifico, l’inizio del frammento 16 di Saffo, quello della cosa più bella:

gli uni un esercito di cavalieri, gli altri di fanti
gli altri di navi dicono sulla terra nera
esser la cosa più bella, io invece ciò
che si ama…

ο] μν ἰππήων στρότον ο δ πέσδων
ο δ νάων φαῖσ’ ἐπ[ὶ] γᾶν μέλαι[ν]αν
ἔ]μμεναι κάλλιστον, γω δ κῆν’ ὄτ-
τω τις ἔραται…

Saffo continua osservando che la bellissima Elena, sebbene avesse un ottimo marito (Menelao) e famiglia, se ne andò a Troia per amore di un altro (Paride). E così fa di lei, che la storia ha già inappellabilmente condannato come causa della più micidiale guerra, una portabandiera della soggettività del gusto; perfino una sorta di protofemminista.

Che cosa si insegna quando si insegna una lingua antica

Il greco sarebbe, dunque, più difficile del latino? Mi sono posto questa domanda per tutti gli anni del liceo, e non ho mai saputo fornire una risposta definitiva, né mai decidere quale dei due preferissi. Dopo aver tradotto un passo di Platone, mi dicevo: mi piace di più il greco. Ma poi, capitato su un brano di Seneca o di Tacito, dicevo con uguale convinzione: mi piace di più il latino. Degli studenti della mia classe la maggioranza propendeva per il greco, perché risultava loro meno normativo e, dunque, meno minaccioso del latino. Una cosa, però, posso constatare serenamente, adesso: che il greco ha una ricchezza morfologica e fonetica che al latino manca. Non si tratta solo di abbondanza. Si tratta anche di variazione, di metamorfosi.

Di uno stesso fenomeno puoi avere più di una manifestazione. C’è un uso, ma ce n’è anche un altro. E poi comportamenti che sono tipici solo del greco – come l’utilizzo di suffissi, prefissi, inserimento di consonanti, contrazioni di vocali. Il latino tende alla regolarità e all’uniformità. Il greco no. Più difficoltoso, pertanto, può risultare allo studente familiarizzarsi con la forma delle parole greche e, così, orientarsi nella prima lettura. All’università ho studiato tanto greco quanto latino e sostenuto lo stesso numero di esami in entrambe le materie, con pari successo. Ho finito per scegliere di scrivere una tesi su un autore della letteratura latina, ma ho scelto così per semplice convenienza. Affidandomi al professore di latino, Alberto Grilli, che era più libero di quello di greco, Dario Del Corno, avevo maggiore speranza di laurearmi entro i termini che volevo io. Anche negli anni in cui ho insegnato latino e greco nei licei, non ho avuto predilezione per l’uno o per l’altro. Li ho sempre insegnati entrambi con pari dedizione e con pari gusto (senza togliere nulla – con buona pace dell’adolescente che ero quando iniziavo il liceo – alle altre tre materie che la mia cattedra mi imponeva di insegnare, ovvero l’italiano, la storia e la geografia), e ringrazierò sempre la fortuna di avermi concesso di insegnarli a studenti dei primi due anni. Non si può neppure immaginare, se non la si è provata, la felicità di iniziare al greco e al latino un gruppo di giovanissimi: la felicità di vedere tante menti ancora in gran parte prive di pregiudizi accogliere la complessità, la varietà, le finezze dell’espressione, e interrogarsi sulle differenze tra lingua antica e lingua moderna, sul perché di certi usi, sulle difficoltà di un costrutto. L’insegnamento non era solo tecnico. Certo, occorreva trasmettere i fondamenti di due grammatiche assai elaborate. Anzitutto, però, bisognava infondere l’amore del greco e del latino, che era amore della parola: amore dell’umanità.

Dagli abissi 

“è la lingua che più ci tiene avvinti; il desiderio di ciò che perpetuamente
ci trascina all’indietro.”
Virginia Woolf, Del non conoscere il greco

La storia del latino e del greco è una sola storia quando se ne seguano le traiettorie sulla mappa della cultura europea. Le divergenze, però, non mancano. Tra le divergenze mettiamo non solo le particolari vicende dell’uno e dell’altro, ma anche il diverso modo in cui nei secoli si è pensato all’uno e all’altro. Ciascuna di queste meravigliose lingue vive nell’immaginazione culturale con metafore sue proprie, con una sua particolare suggestività.

Discese dall’ipotetico ceppo del cosiddetto indoeuropeo, si sviluppano in modo indipendente. Il greco, assai prima del latino, si diffonde per il Mediterraneo (Grecia continentale e insulare, coste dell’Asia Minore, Africa settentrionale, Italia meridionale, Sud dell’attuale Francia), si inventa una grande letteratura: l’epica, la lirica, l’elegia, l’epigramma, la filosofia, la storia, la tragedia, la commedia, l’oratoria ecc. A un certo punto il latino scopre tutto questo ben di dio, rappresentato da autori eccellenti, fin dal più antico, Omero, e lo imita sistematicamente, dandosi a sua volta un complesso di generi e di norme stilistiche sia in prosa sia in poesia, e inventando un culto del greco che è diventato una costante della tradizione occidentale. Il latino e il greco coesistono per vari secoli nell’impero romano, sia nel parlato sia nello scritto. Il predominio politico di Roma non determina affatto un declino del greco. Crollata la parte occidentale dell’impero, il divorzio: il latino resta in Occidente, il greco si ritrae in Oriente, a Bisanzio, seguendo una sua ricca ma ben distinta vicenda. Tale divorzio condiziona in profondità non solo la diffusione, ma anche la percezione delle due lingue. Il latino resta in auge ininterrottamente fino a tutto il XVI secolo (e anche oltre in certi ambiti colti, nonostante lo sviluppo dei volgari nazionali). Permane perciò come paradigma di stabilità e continuità culturale, sebbene tra il VI e il XIII secolo si smarriscano i testi di molti autori latini, compresi alcuni dei maggiori (l’umanesimo del XIV e del XV secolo, però, ne restituirà un significativo numero, consentendo una rigenerante espansione del canone); e sebbene, prima del rilancio quattrocentesco del buono stile ciceroniano, la forma stessa del latino sia soggetta a impoverimenti e storpiature. In quel lungo intervallo di secoli, invece, il greco si eclissa, ovvero i libri greci, fatta qualche eccezione, rimangono chiusi nelle biblioteche dell’impero orientale, che finisce solo nel 1453, quando la capitale Costantinopoli (ovvero Bisanzio) cade in mano ai turchi, un millennio dopo che finì l’impero occidentale. A quel punto la letteratura greca comincia a rientrare in Occidente in maniera sistematica. Libri greci e maestri di greco, però, arrivano in Occidente, e in particolare in Italia, già qualche decennio prima. Un nome va senz’altro fatto: quello del diplomatico bizantino Manuele Crisolora, che nel 1397 stabilisce lo studio del greco a Firenze (e nel 1400 fa lo stesso a Pavia). A lui si deve anche un influente libro di testo, Erotemata. Crisolora apre una vera e propria tradizione di studi, che include maestri, filologi e traduttori. Tra i più precoci traduttori (si traduce dal greco al latino, si badi) va almeno segnalato Leonardo Bruni, che si prova nella resa di veri e propri colossi, come Platone, Aristotele, Demostene, e scrive un saggio sulla traduzione, capace di illuminare i professionisti tutt’oggi. Negli ultimi decenni del Quattrocento la neonata stampa favorisce la circolazione dei testi e delle grammatiche (degli Erotemata di Crisolora si ha una tempestiva pubblicazione nel 1471), oltre a offrire uno stimolo a edizioni filologicamente curate. A questo punto fondamentale è il ruolo di Venezia, dove ha sede l’officina di Aldo Manuzio, peritissimo difensore del greco. La rinascita dell’antica lingua può dirsi compiuta, e riguarda ormai anche altri paesi europei.

*

No, al greco l’immaginazione occidentale non ha mai associato idee di stabilità e di continuità, bensì lo ha confuso con le ombre dell’esilio, della lontananza e della privazione. Finché non si è potuto impararlo come il latino, al greco si è guardato sempre con amara nostalgia; anzi, se n’è fatta la raffigurazione stessa della nostalgia. Mi viene in mente il Dante del ventiseiesimo canto dell’Inferno, quello di Ulisse (nome latino dell’Odisseo omerico). Virgilio dice al Dante personaggio di lasciare che parli lui ai due greci che bruciano nella fiamma antica (Ulisse e Diomede), o quelli si rifiuteranno di comunicare. Alcuni esegeti ritengono che Virgilio si proponga di agire da intermediario per il fatto di considerare i greci in generale talmente arroganti da rifiutarsi di dare ascolto a un individuo poco autorevole, quale si può sospettare che Dante consideri il suo doppio letterario – il pellegrino della Commedia – rispetto a Virgilio. Altri – e io sto con questi – pensano che i due greci non risponderebbero a Dante per incapacità di capire la sua lingua, essendo implicito che Virgilio, invece, sappia il greco. Già alcuni dei primi interpreti della Commedia, come Guido da Pisa o l’autore dell’Ottimo commento, offrono questa spiegazione. Se è corretta, il Dante autore ammette, lasciando che Virgilio agisca per il suo doppio, di non conoscere il greco antico. Occorrerà, pertanto, supporre che tutto il discorso di Ulisse, che noi leggiamo in volgare toscano, sia una traduzione. Certo, mentre partecipiamo all’episodio, che è uno dei più celebri e più influenti di tutto il poema, di tanta ambiguità linguistica non ci rendiamo conto. Il problema del greco, però, c’è e il Dante autore sembra aver sentito la necessità di affrontarlo, risolvendolo elegantemente attraverso l’intervento di Virgilio. Non si pensa mai alla disperata voglia di greco di questi nostri primi classici volgari. Lo stesso Dante antepone a tutti nel limbo, in cui relega i sommi pagani, proprio Omero:

quelli è Omero poeta sovrano
(Inferno IV, 88)

Eppure Dante non ha potuto leggerlo che in qualche riduzione latina! Mi viene in mente a questo punto la lettera latina che Petrarca, un altro che non sa il greco (frustrato possessore di un’Iliade e di un Platone nell’originale), indirizza qualche decennio dopo a Omero:

Quanto a me, sebbene non mi stimi degno di tanto ospite, tuttavia ti tengo in casa mia e in greco e, per quel poco che mi è possibile, in latino […] e sappi che per collocarti in luogo più sicuro, con gran desiderio e reverenza ti ho preparato un ricetto nel mezzo della mia anima. Insomma, il mio amore per te è più luminoso del sole, e la stima così grande che nulla è maggiore. Questo, o guida e padre mio [dux paterque], è quanto ho potuto fare per te […]. Molto ti ho detto come se tu fossi presente [quasi ad presentem]; ma ormai ponendo un freno ai voli dell’immaginazione, comprendo quanto tu sia lontano [ab illa vehementissima imaginatione rediens, quam longe absis intelligo](Familiares XXIV, 12)

“Come se tu fossi presente…”, “comprendo quanto tu sia lontano…”. Non dimentichiamo queste commoventi parole, che profumano di passione e di lutto, ed evitiamo di pensare che esprimano un atteggiamento soltanto petrarchesco. Oltre un secolo dopo Ariosto, il quale ha già a disposizione strumenti e maestri per imparare il greco, rimpiange di aver lasciato passare il momento buono, e cerca di rimediare imponendo lo studio della lingua al figlio Virginio (Satira VI). Perfino Montaigne deve riconoscere con un certo imbarazzo di frequentare il suo amatissimo Plutarco solo in una traduzione, pur bella, e di non poter capire i pregi linguistici di Platone.

Anche nei secoli successivi, quando il greco ha ormai ottenuto una posizione ben ferma nel curriculum dei colti, il greco è un vero e proprio revenant: forma impallidita che risale dagli abissi. Il senso di vuoto e di dispersione permane, e viene a coincidere letteralmente e storicamente con lo spettacolo delle rovine che punteggiano, fin dalla tarda antichità, il paesaggio greco. Il territorio disseminato di frammenti, oltre che il ritratto di una triste decadenza politica (la Grecia schiacciata dai turchi), è immagine della lingua classica, il rimosso che torna nella scena della coscienza, e un invito continuo al recupero della pienezza e del valore perduti. La conoscenza del greco, dal rilancio filologico rinascimentale alle esaltazioni fantastiche della cultura romantica e postromantica, quando il viaggio in Grecia diventa per la gioventù europea mezzo d’istruzione morale ed estetica, e laboratorio di libertà, si fissa sempre più in mito, significando lotta contro le forze della disgregazione, contrapposizione al declino, recupero del vigore, ritorno all’origine, “rimpatrio”, o perfino indagine dell’io. Leopardi, Nietzsche, Freud docent. E Hölderlin! Correte a leggere quel suo meraviglioso romanzo, Iperione, se non l’avete ancora fatto!

(continua in libreria…)

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