Definire un antagonista è sicuramente uno dei primi aspetti da curare per scrivere una buona storia. Ma cosa si intende di preciso con antagonista? No, non è il “cattivo” di turno, non è necessariamente uno soltanto, e non è nemmeno detto che sia un personaggio concreto… Attraverso alcuni esempi della letteratura (da “I promessi sposi” a “La coscienza di Zeno” passando per le avventure del ladro gentiluomo Arsenio Lupin), scopriamo le caratteristiche e la centralità di questa importante funzione narrativa

Sono tanti e diversi gli accorgimenti per scrivere una storia, ma, tra tutti, la definizione dell’antagonista è sicuramente uno dei primi aspetti da curare.

Secondo il grande sceneggiatore Robert McKee, autore di Story (Omero) uno dei manuali di riferimento per chi vuole scrivere, il principio dell’antagonismo è la regola più importante e meno compresa della trama di una storia.

“Un protagonista e la sua storia possono essere intellettualmente affascinanti e coinvolgenti dal punto di vista delle emozioni se le forze antagoniste li rendono tali”.

Questo significa che, per scrivere una buona storia, bisogna prima di tutto saper tratteggiare un buon antagonista.

Story Robert McKee

Ma cosa si intende di preciso con antagonista?

È bene innanzitutto chiarire una cosa: l’antagonista non è (sempre) il cattivo, anche se spesso questi due termini vengono utilizzati come sinonimi. Si tratta piuttosto di una funzione che ha lo scopo di opporsi al protagonista, di ostacolarlo, portandolo ad affrontare prove e sfide che – molto probabilmente – lo trasformeranno.

Nelle narrazioni classiche, il protagonista si fa solitamente portavoce di valori positivi – come la giustizia, l’amore, la verità, la libertà… L’antagonista di conseguenza, dovendo svolgere una funzione di opposizione, è la figura che incarna i valori diametralmente contrari a quelli del protagonista – quindi l’ingiustizia e la criminalità, l’odio e l’indifferenza, la reclusione e via dicendo. Questo significa che siamo abituati a personaggi principali che vengono comunemente riconosciuti come “buoni”, ma quando parliamo di antagonisti non dobbiamo scadere in un discorso di natura morale.

Per esempio, se il nostro protagonista è un bandito che ha come obiettivo compiere furti (come il celebre Arsène Lupin, il personaggio inventato da Maurice Leblanc), allora il suo antagonista sarà rappresentato dalle forze dell’ordine (nel caso del ladro gentiluomo, dall’ispettore Justin Ganimard e dal detective inglese Herlock Sholmes).

Inoltre, quando parliamo di antagonista, dobbiamo anche tenere a mente che non necessariamente ci stiamo riferendo (soltanto) a un personaggio: possono esistere diverse forme di antagonismo, non solo quelle concrete e ben definite. Ricorrere a un nuovo esempio ci permetterà di capire meglio.

Prendiamo i I promessi Sposi, il romanzo storico di Alessandro Manzoni, considerato il testo cardine della tradizione romanzesca dell’Ottocento italiano. In questo caso è molto semplice identificare l’antagonista, rappresentato da Don Rodrigo, il signorotto che impedisce concretamente al buon Renzo Tramaglino (il protagonista) di sposare Lucia Mondella, facendo saltare le nozze previste tra i due e costringendoli a separarsi. Ma non è certo l’unico personaggio che si oppone a Renzo: ci sono anche Don Abbondio, il Griso, il Conte Attilio, il Nibbio, i bravi, l’Innominato, il Conte Zio, la monaca di Monza

Cosa vuol dire questo? Che, essendo una funzione, l’antagonista non è fisso, non coincide per forza con una figura, ma può cambiare di continuo: l’Innominato, nel romanzo manzoniano, da antagonista diventa infatti aiutante, andando a ricoprire così un altro ruolo all’interno della narrazione.

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Esistono poi anche storie in cui l’antagonista non è un personaggio reale, bensì un qualcosa di astratto, come nel caso de La Coscienza di Zeno, in cui è il protagonista stesso a mettersi i bastoni tra le ruote: è il suo lato accidioso e incapace di prendere posizione che gli impedisce di evolvere, di migliorare, di instaurare le relazioni che vorrebbe e di smettere di fumare.

E ancora: l’antagonista può essere una società o un ambiente che non permette al protagonista di esprimersi e di realizzarsi per quello che è. Può essere una condizione che genera difficoltà, può essere una paura o un blocco interiore, può essere un trauma del passato, insomma: può essere qualsiasi cosa che si oppone al perseguimento e alla realizzazione del desiderio del personaggio principale.

È infatti lo scontro tra antagonista e protagonista a generare il conflitto, che in sintesi è l’anima e il nodo centrale di ogni storia. Ovviamente, più il conflitto apparirà come irrisolvibile e schiacciante, più la storia sembrerà urgente e importante da raccontare.

Oltre a fornire una serie di indicazioni specifiche, per capire come costruire un conflitto che abbia queste caratteristiche, nel suo manuale McKee suggerisce di rendere l’antagonista il più profondo e sfaccettato possibile. Come? Allenando lo sguardo alla complessità e all’assenza di giudizio, cercando di scoprire anche – e forse soprattutto – nei lati negativi le ragioni e le cause che li rendono tali.

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