“Tre mesi a casa sono troppi! Apriamo le scuole anche d’estate!”. Ogni luglio la polemica si ripropone. Eppure, come chiarisce su ilLibraio.it Enrico Galiano, insegnante e scrittore, dati alla mano l’Italia è il paese d’Europa in cui si fanno più giorni in classe (senza dimenticare che circa la metà degli istituti non è adeguato a sostenere il clima estivo…). Anche se non va dimenticato che l’insegnamento è in assoluto una delle professioni più a rischio burnout, il problema è che per “inserire maggiori pause durante l’anno scolastico servirebbero investimenti importanti, nelle strutture e nel personale”. Peccato che “viviamo in un paese che storicamente non ha mai dedicato troppo interesse alla scuola…” – L’intervento

Ormai è come con le pesche, i tormentoni estivi e le repliche di Sapore di mare: ogni estate arriva la vox populi che urla a gran voce “Tre mesi a casa sono troppi! Apriamo le scuole anche d’estate!“.

(anzi, col cambiamento climatico c’è da dire che le pesche sono molto meno regolari di questo refrain ormai immancabile).

In effetti quel tempo vuoto fra metà giugno (per chi non ha esami) e metà settembre spaventa, specie per chi ha figli in un’età delicata.

Quell’età, voglio dire, per cui lasciarli allo stato brado si configurerebbe come reato di abbandono di minore, mentre conviverci in casa tutto il giorno indurrebbe verso potenti crisi di nervi perfino il più montessoriano dei genitori.

Per cui li capisco tutti i disagi dei genitori, essendolo anche io, in particolare quelli senza nonni o senza la possibilità di usufruire dei centri estivi (sempre siano benedetti).

Anche perché, diciamocelo: poiché non viviamo esattamente nel paese più progredito del mondo quanto a parità, alla fine della fiera son quasi sempre le mamme a smazzarsi il lavoro di accudimento, e più di qualche volta devono rinunciare al loro vero lavoro per questo, o a ridurlo.

Ci sono però un paio di cosette di cui tenere conto, prima di imbracciare i forconi e andare sotto l’ufficio del Ministro a chiedere che le porte delle scuole si spalanchino anche d’estate.

1) L’Italia è il paese d’Europa in cui si fanno più giorni di scuola: 200 contro una media europea che va dai 170 ai 190. Sembra incredibile, vero?

2) Secondo un rapporto Celsius, circa la metà delle scuole sono totalmente inadeguate a sostenere il clima estivo e situate in zone con una media di due gradi di temperatura in più rispetto alla media regionale.

Già affrontare gli esami in questi istituti è particolarmente squalificante (il caldo riduce e altera l’attività cerebrale in maniera significativa), figuriamoci trascorrerci tutti i mesi estivi. Credo che le crisi di nervi sarebbero all’ordine del minuto, non del giorno.

3) L’insegnamento è in assoluto una delle professioni più a rischio burnout. Questo significa che i tanto criticati “eccessivi giorni di ferie” (anche se andrebbe verificato se sono più così tanti…) non sono lì per un vezzo o per la pigrizia di chi ricopre quel ruolo, ma per una necessità reale. Tanto è vero che, appunto, in tutto il mondo occidentale i giorni di scuola non sono mai 365 ma circa la metà.

E in Italia, comunque, sono sempre molti di più.

E quindi? Quindi forse è tempo di ammettere due cose: la prima è che le scuole italiane non sono chiuse per troppo tempo, ma che il tempo in cui sono aperte è distribuito male.

Tre mesi di fila senza scuola sono deleteri, specie per i ragazzi che vivono in condizioni più difficili e con meno stimoli. Li lasci a giugno che qualcosina sei riuscito a tirar fuori, li riprendi a settembre che ti tocca ripartire dall’alfabeto.

Servirebbe insomma imparare la lezione degli altri paesi: inserire maggiori pause durante l’anno scolastico, per allungare infine il tempo scuola fino almeno a fine giugno o metà luglio.

Già, ma qui entra in gioco la seconda cosa: per farlo, servirebbero investimenti importanti nelle strutture e nel personale, servirebbero scuole climatizzate, servirebbe una formazione per diversificare la didattica.

Servirebbero, insomma, soldi e idee.

Il problema sapete qual è?

Che viviamo in un paese che storicamente non ha mai dedicato troppo interesse alla scuola: se ne ricorda, di solito, quando poi i figli sono costretti a stare a casa, che sia per un’estate o per una pandemia.

E a qual punto è molto più facile indicare come colpevoli gli insegnanti, invece che assumersi la responsabilità di pretendere da chi potrebbe – dovrebbe? – quello che ci spetta, quello che dovrebbe essere normale: una scuola davvero a misura di famiglia, ma soprattutto di studente e di studentessa.

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L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi (tutti pubblicati da Garzanti)  Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole, un inno d’amore alle parole e alla lingua. Ed è poi uscito per Garzanti il suo secondo saggio Scuola di felicità per eterni ripetenti. Il suo nuovo romanzo è Geografia di un dolore perfetto (Garzanti).

Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.

 

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