La scuola – come sottolinea nella sua riflessione per ilLibraio.it lo scrittore e insegnante Enrico Galiano – “non è una bolla protetta, e non parlare in classe di quello che sta accadendo Gaza significherebbe dire ai ragazzi che questo dolore non ci riguarda”. Farlo, invece, con l’aiuto di video divulgativi, dello studio della geografia, con il supporto dei dati (ma anche della poesia e della letteratura), e dando spazio a voci e fonti diverse, “non è propaganda, è il contrario: un esercizio di democrazia e, soprattutto, di umanità…” – Il suo intervento (mentre proseguono le manifestazioni per la Flotilla e il popolo palestinese, che vedono protagonisti anche tanti studenti)

A scuola facciamo un sacco di storia del passato. E certo: è utile per capire il presente, per leggerlo, interpretarlo. Ma il rischio è che poi il presente, quello vero, passi sotto silenzio. E ci sono volte in cui il silenzio diventa complicità.

Quello che sta accadendo a Gaza è una di queste.

Non parlarne in classe significherebbe dire ai ragazzi che questo dolore non ci riguarda, che queste immagini possono restare fuori dalla porta dell’aula. E invece ci riguardano eccome.

La scuola non è una bolla protetta: è il luogo dove si impara a leggere il mondo, anche quando il mondo fa male.

Certo: è sbagliato dire loro cosa pensare.  Però possiamo dare loro gli strumenti per vedere. Perché quando a un ragazzo vengono messe davanti le fonti, quando legge dati, testimonianze, cronache diverse, non c’è più scampo: non può non rendersi conto che si sta compiendo un crimine contro l’umanità.

Parlare di Gaza a scuola non è propaganda. È il contrario: è studio serio, confronto tra versioni, capacità critica. È imparare che le parole hanno peso e che dietro ogni numero c’è un volto, una storia, una vita.

È un esercizio di democrazia e, soprattutto, di umanità.

Ora: come fare? Be’, uno strumento molto efficace per introdurre l’argomento sono i video divulgativi. Geopop e NovaLectio ne hanno prodotti diversi in questi due anni, tutti ben documentati e spiegati con linguaggio chiaro.

E poi, al lavoro.

  1. Come sempre, partire dalla geografia

Mostrare la cartina della Striscia di Gaza: 41 km di lunghezza, 10 di larghezza, più di 2 milioni di persone. Chiedere: che cosa significa vivere in uno spazio così ristretto?

Questo aiuta i ragazzi a concretizzare: non “un nome lontano”, ma un luogo reale, con dimensioni e numeri comprensibili.

  1. Lavorare con i dati

Portare le cifre delle Nazioni Unite o di organizzazioni come Amnesty International, Unicef, Croce Rossa.

Ad esempio: numero di civili morti, bambini coinvolti, ospedali distrutti.

Farli tradurre in grafici, mappe, infografiche: la matematica qui diventa etica.

  1. Confrontare le fonti

Far leggere la stessa notizia su testate diverse (due italiane di opposto orientamento, una israeliana, una araba, ad esempio Haaretz, Al Jazeera, La Repubblica, Il Giornale).

Chiedere: quali parole cambiano? cosa viene messo in primo piano e cosa no? In questo modo non si insegna cosa pensare, ma come leggere criticamente.

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  1. Ascoltare le voci

Portare in classe testimonianze dirette: video-interviste ai civili, articoli di giornalisti sul campo. Ascoltare il racconto di un medico di Medici Senza Frontiere o di un operatore UNRWA.

Umanizzare la guerra significa ridarle un volto.

  1. Leggere testi letterari o poetici

Mahmoud Darwish, il grande poeta palestinese, o Yehuda Amichai, poeta israeliano: due sguardi opposti, ma entrambi umani.

Leggere una poesia e chiedere: che cosa capiamo di più da un verso che da un numero?

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  1. Fare domande aperte

Non “chi ha ragione?” ma: quali emozioni vi suscita questa immagine? Che differenza c’è tra un comunicato militare e una testimonianza civile? Cosa cambia nella percezione se a parlare è un bambino, un soldato, un politico?

Nella mia esperienza, i ragazzi hanno fame di queste cose. Fame di attualità, di sapere, di capire. Non discutere di Gaza con loro significherebbe crescere generazioni disabituate a guardare in faccia l’ingiustizia.

E allora la vera domanda non è: “è giusto parlarne a scuola?”. La vera domanda è: che scuola siamo, se non ne parliamo?

L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.

Dopo il successo di romanzi (tutti usciti per Garzanti) come Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoiFelici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta, e ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore.

Da metà maggio 2025, per Garzanti, è in libreria il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.

Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche con dei video per Instagram e TikTok).

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