Battuta forte e riconoscibile, ormai iconica, riproposta da Charles M. Schulz (1922-2000) in diverse varianti, “Era una notte buia è tempestosa” è l’incipit che Snoopy usa più spesso per i racconti che digita sulla sua machina da scrivere. Non tutti sanno, però, che la frase associata universalmente al bracchetto di Charlie Brown ha un’origine letteraria, a cui si devono tanti riferimenti libreschi e perfino un bizzarro contest annuale…

Era una notte buia e tempestosa” è la frase con cui Snoopy, il celebre bracchetto di Charlie Brown, comincia spesso le sue storie più avvincenti quando si siede alla sua macchina da scrivere: un concentrato di suspense e al tempo stesso di cliché, che dal 1965 a oggi ha fatto il giro del mondo, diventando iconica (sia nel bene sia nel male).

“Nel bene” perché si è rivelata una battuta forte e riconoscibile, riproposta da Charles M. Schulz (1922-2000) in diverse varianti, finché le strisce dei Peanuts sul tema non sono state raccolte in un’antologia apposita, uscita in italiano con il titolo Guida di Snoopy alla vita dello scrittore (Omero, traduzione di P. Restuccia); “nel male” perché tuttora viene spesso nominata nei corsi di scrittura come un modello da evitare se non si vuole suonare stereotipati e ben poco letterari.

Eppure, l’origine di “era una notte buia e tempestosa” è da far risalire proprio a uno scrittore del passato

Correva l’anno 1830 quando il drammaturgo e politico britannico Edward George Earle Bulwer-Lytton (1803-1873) dava alle stampe il romanzo Paul Clifford, che si apriva proprio con la frase “It was a dark and stormy night”. E ancor prima di lui, nel 1807, la locuzione era apparsa nell’opera satirica A history of New York di Washington Irving (1783-1859): “It was a dark and stormy night when the good Antony arrived at the creek”.

Dopodiché, la ritroviamo come incipit di Nelle pieghe del tempo (Giunti, traduzione di Sara Reggiani) di Madeleine L’Engle (1918-2007), in vari passaggi di Buona Apocalisse a tutti! (Mondadori, traduzione di Luca Fusari) di Neil Gaiman (1960) e Terry Pratchett (1948-2015), di recente ripubblicato con il titolo Good Omens. Le belle e accurate profezie di Agnes Nutter, strega, e con una punta di ironia perfino in Constance contro tutti (Mondadori, traduzione di Giuseppe Lippi) di Ray Bradbury (1920-2012), dove si legge: “Era una notte buia e tempestosa. È così che si avvince il lettore? Bene, allora, era una notte buia e tempestosa e la pioggia cadeva scura e a rovesci su Venice, California, da un cielo di mezzanotte sconvolto dai lampi”.

Nonostante tutto, secondo LitHub, quando Schulz venne intervistato sull’argomento, dichiarò di non avere idea che il sintagma fosse attribuibile a degli autori in carne e ossa: “Lo aveva usato solo perché era un attacco standard, che aveva sempre sentito nominare intorno a sé”, ha spiegato la giornalista Susan Campbell sul Chicago Tribune. Ciò confermerebbe la teoria per la quale ricorrere a “Era una notte buia e tempestosa” doveva essere un’abitudine già dalla fine dell’Ottocento, nata chissà come nei salotti culturali inglesi e americani, e usata a mo’ di scherno per riferirsi ai romanzi gotici o ai racconti di fantasmi.

Che sia sopravvissuta fino ai nostri giorni, peraltro trovando spazio tanto nella narrativa quanto nei fumetti, è quindi un caso fortunato e assolutamente imprevisto, il quale a sua volta ha ispirato una curiosa iniziativa paraletteraria: parliamo del Bulwer-Lytton Fiction Contest, creato nel 1982 da un docente della San José State University di nome Scott Rice. Intitolato allo scrittore che per primo parve servirsi a scopi non parodistici di questo tormentone, il concorso annuale premia (con un pizzico di umorismo) “la più atroce frase di apertura del peggior romanzo mai scritto”, ovvero l’incipit più bizzarro e démodé che i partecipanti riescano a concepire, improvvisandosi insomma “Snoopy per un giorno“.

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Nel 2021, ad aggiudicarsi il primo premio fra i 4500 aspiranti vincitori, è stato un certo Stu Duval di Auckland, Nuova Zelanda, che avrebbe scritto: “Un’alba lasciva faceva mostra di sé stessa su un mare flatulento, squarciando il corpetto di ossidiana della notte con le sue rapaci dita d’oro, ed esponendo così il suo seno oscuro allo sguardo fisso dell’aurora”. Un risultato notevole, che però, va sottolineato, si discosta dall’effettiva produzione di Bulwer-Lytton.

Come ci ha tenuto a specificare nel 2008 uno dei suoi discendenti, Henry Lytton Cobbold, l’autore era infatti “un campione delle arti, che ha fatto la differenza per persone di ogni ceto sociale in proporzioni enormi”, per non parlare del fatto che “essere stato il primo ad avere messo nero su bianco un cliché la dice lunga sulla sua genialità”. Nessun intento satirico ai danni di Bulwer-Lytton nel concorso di Rice, dunque; solo tanta gratitudine per aver suggerito, senza saperlo, uno spunto al cagnolino-scrittore più spassoso di sempre.