“I ragazzi che vedo in classe non sono come li descrivete voi, non sono tutti svogliati, non sono tutti superficiali, non sono tutti ignoranti…”. Guido Saraceni, autore di più di ottanta pubblicazioni a carattere scientifico, è al debutto nel romanzo con “Fuoco è tutto ciò che siamo”. Su ilLibraio.it spiega cosa l’ha spinto al debutto nella narrativa

La verità è che io ho sempre sognato di fare lo scrittore. Uno dei miei amici più antichi e cari ricorda chiaramente la domanda che gli ponevo più spesso, quando, le sere d’estate, tra una partita di biliardo e una birra, gettavamo un colpo di sonda in quel marasma di incognite, speranze e tensioni irrisolte che rendono l’adolescenza una magnifica terra straniera. Quella domanda era: ma tu ci pensi mai a come vive Stephen King? Esattamente così. Non “a te piacerebbe fare lo scrittore?” Neanche “secondo te, io sarei in grado di fare lo scrittore?”, ma, esattamente, “ci pensi mai a come vive Stephen King?”.

Perché, quando ero giovane, Stephen King rappresentava uno dei miei più puri ideali di perfezione: si era isolato dalle mille seccature del mondo e, lavorando ogni giorno nella sua splendida villa, si guadagnava da vivere grazie alla magia della scrittura, l’arte che più amava e nella quale, dal mio personale punto di vista, aveva pochissimi rivali. Come se non bastasse, King aveva sposato la donna che aveva sempre amato; aveva ottenuto un successo mondiale partendo da zero, con il sudore della propria fronte, e, già a quei tempi, aveva messo su un gruppo di musicisti scrittori con i quali si divertiva a suonare nel tempo libero – la mia altra grande passione.

Insomma, King aveva tutto. Era tutto. Anche molti anni dopo, una volta superate le mille angosce della gioventù, una volta trovato un posto stabile nel mondo… uno stipendio, mille responsabilità e un mutuo a tasso fisso… nelle nottate estive, alzando gli occhi al cielo, mi sono ritrovato spesso a pensare tra me e me: chissà come vive King… quanto sarebbe stato bello fare lo scrittore… e siccome sono uno che non riesce proprio a liberarsi dei sogni, siccome non ce la faccio proprio a fare finta di niente, a girarmi dall’altra parte quando sento una voce che (ancora) mi chiama, ho preso con me stesso l’impegno di scrivere un romanzo.

A quel punto, l’argomento è venuto da solo. Come tutti sanno, la prima e la più importante regola da seguire è di (de)scrivere qualcosa che si conosce bene. Gli autori alle prime armi tendono a sottovalutare questo aspetto della questione, pensano che sia tutto frutto di lirismo, ispirazione e fantasia, sottovalutano la mole di ricerche e di studio che si trovano alla base di ogni romanzo. Ho scelto quindi di parlare di temi che conosco bene, primo fra tutti, la scuola. Perché l’insegnamento è la mia professione da più di venti anni e soprattutto perché, occupandomi di scuola, avrei potuto parlare di giovani e di gioventù.

Da molto tempo sentivo l’urgenza di chiarire il mio punto di vista su argomento sul quale, troppo spesso, ho letto critiche superficiali e ipocrite come banconote da ventisette euro e quindici centesimi. La verità è che gli adulti – da sempre – cadono vittime della propria cattiva coscienza: tendono a denigrare le nuove generazioni “per partito preso”, perdendo del tutto di obiettività. I miei coetanei parlano dei “giovani d’oggi” come se fossero tutti uguali, privi di idee, di ideali, di voglia di fare. Ho sempre pensato che il 90% di queste baggianate nascesse dal risentimento di chi, invecchiando, ha perso la propria freschezza, il proprio sguardo vergine, la propria voglia di vivere e immagina quindi di recuperare ciò che non ha più diffamando le nuove generazioni. Su questo ha perfettamente ragione Palahniuk: la verità è che ogni generazione vorrebbe essere l’ultima: “Ai tempi miei sì che la musica era decente, non come queste schifezze che ascoltano i giovani d’oggi”; “Maradona era un calciatore, altro che Messi”; “Noi leggevamo King, altro che Harry Potter”…. “non è il caldo ma l’umidità”… “si stava meglio quando si stava peggio”… e così via, tra un luogo comune e l’altro si costruisce il regno della banalità, spacciandolo per raffinata analisi socio- antropologica.

Mi dispiace tanto, amici miei, ma i ragazzi che vedo io in classe non sono come li descrivete voi, non sono tutti svogliati, non sono tutti superficiali, non sono tutti ignoranti. Forse ci fa comodo pensare che siano così, ci fa comodo relegare questa generazione nello stereotipo della superficialità… ci fa comodo, ma di certo non ci fa onore, perché giudicare ciò che non si conosce è rassicurante, e, come ammoniva Carl Gustav Jung, è sicuramente meno faticoso che pensare.

Con questa storia ho provato quindi a descrivere la scuola e i ragazzi per come li ho conosciuti e li conosco io, con i loro tic, le loro debolezze, le loro fisiologiche smanie e manie, ma anche pieni di amore, di passione, di ideali e di interessi.

La verità è che aveva ragione Plutarco, gli studenti non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere.

guido saraceni

L’AUTORE E IL SUO PRIMO LIBRO –  Guido Saraceni è un docente universitario – appassionato studioso di diritto, filosofia e psicologia -, autore di più di ottanta pubblicazioni a carattere scientifico. Fuoco è tutto ciò che siamo (Sperling & Kupfer) è il suo primo romanzo.

La trama ci porta a conoscere Davide Manfredi, che frequenta l’ultimo anno di un Liceo Scientifico romano, suona la chitarra elettrica, ama il cinema e la letteratura. A differenza di gran parte dei suoi coetanei, ha scelto di non avere alcun profilo sui social network. Qualche volta la sua età gli sta stretta e lo rende insofferente nei confronti di un mondo che lo offende e lo irrita “come lana sulla pelle”. Per fortuna può contare sugli amici, con cui, tra una situazione esplosiva e una partita di calcetto, prova a sopravvivere alla propria adolescenza. Soprattutto, può contare sul sorriso di Alice – la sua fidanzata – che lenisce ogni dolore, restituendogli, oltre ogni amarezza, una invincibile voglia di vivere.

“Fare il professore di liceo è un gesto di puro autolesionismo”, amava ripetere suo padre, ma Giulio Lisi non gli ha dato retta; così, ha trascorso metà della sua vita a insegnare, con passione e impegno. Molto attivo sui social, dove ormai sono in parecchi a seguirlo, il prof conserva verso i suoi studenti lo stesso “pudico stupore” che cerca di trasmettere loro nei confronti della vita. Oltre a fare lezione, gestisce un servizio di counseling dedicato agli studenti problematici: tre giorni a settimana riceve i ragazzi che, per svariate ragioni, hanno bisogno del suo serio, professionale e consapevole ascolto. Davide e Giulio sono volti di un dittico: insieme compongono un’immagine realistica e attuale della scuola di oggi. Le loro strade si incroceranno un lunedì di gennaio. Quel giorno, ciascuno avrà qualcosa di importante da insegnare all’altro.

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