La figura del grande poeta latino Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.) ha ispirato nei secoli scrittori e filosofi, diventando oggetto di una curiosità, di uno studio e di un’emulazione che lo hanno reso immortale – Per conoscerlo meglio, e per osservare più da vicino i testi grazie a cui è diventato celebre, ecco un excursus che di Virgilio ripercorre la vita, le opere e le influenze nella letteratura successiva

Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.), considerato uno dei massimi poeti dell’antica Roma, è stato testimone di alcuni cambiamenti cruciali nella storia dell’impero, e nelle sue opere ha dimostrato non solo di saper cogliere la sensibilità del suo tempo, ma anche di possedere una profonda conoscenza della retorica e dell’animo umano.

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se proprio la sua figura è riuscita a ispirare nei secoli scrittori e filosofi, diventando oggetto di una curiosità, di uno studio e di un’emulazione che lo hanno reso a tutti gli effetti immortale.

Per conoscerlo meglio, e per osservare più da vicino i testi grazie a cui è diventato celebre, ecco di seguito un excursus nel quale di Virgilio vengono ripercorse passo dopo passo la vita, le opere e le influenze nella letteratura successiva.

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Virgilio in età giovanile

Nato il 15 ottobre del 70 a.C. a Andes, un villaggio della Gallia Cisalpina nei pressi di Mantova, Publio Virgilio Marone è figlio di proprietari terrieri da parte di padre e di mercanti da parte di madre. Fin da ragazzo sogna di diventare avvocato, e dopo aver ottenuto la toga virile presso la scuola di grammatica di Cremona decide, quindi, di studiare retorica a Milano e l’arte dell’eloquenza a Roma.

La sua vita, però, è destinata a prendere una piega diversa, e Virgilio se ne accorge in due precisi momenti. Il primo: quando non riesce ad aprire bocca durante il suo primo discorso pubblico, per via della sua timidezza e di alcuni difetti di pronuncia che lo imbarazzano. Il secondo: quando, nel 42 a.C., gran parte dei suoi terreni familiari vengono confiscati, per essere offerti in ricompensa ai veterani della battaglia di Filippi.

Si è trattato, d’altronde, di una vittoria storica per il secondo triumvirato formato da Marco Antonio, Ottaviano e Lepido, che ha sconfitto i due principali responsabili della morte di Giulio Cesare, ovvero Bruto e Cassio. Grazie alle sue conoscenze nell’ambito della politica e della cultura, Virgilio riesce a mantenere qualche possedimento, ritrovandosi però d’improvviso in una condizione più precaria.

Le Bucoliche

Alla luce di questi eventi, Virgilio decide di cambiare rotta e si trasferisce a Napoli, dove frequenta la scuola epicurea di Filodemo e Sirone e intesse nuovi rapporti con gli intellettuali del suo tempo, fra i quali il poeta Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.) e il politico e promotore della cultura Gaio Clinio Mecenate (68-8 a.C.).

Ed è proprio negli anni fra il 42 a.C. e il 39 a.C. che Virgilio compone una raccolta di dieci componimenti scelti (o egloghe) in esametri, dall’argomento pastorale e che prendono il nome di Bucoliche (cioè Canti dei bovari). Rifacendosi al tema della poesia bucolica e allo stile del poeta alessandrino Teocrito, l’autore riprende il tema dell’idealizzazione della campagna, unendolo con grande equilibrio a quello della violenza e delle difficoltà del contesto sociopolitico in cui è immerso in prima persona.

Copertina del libro Bucoliche di Virgilio

Protagonisti delle egloghe sono infatti dei contadini-poeti che, nel desiderare di vivere in un mondo arcadico caratterizzato da naturalezza, semplicità e armonia, cantano dei loro amori tragici e del loro bisogno di rifugiarsi in una realtà diversa da quella caotica di Roma. Da segnalare è peraltro la famosa Egloga IV, in cui è presente la profezia di un puer nato da una Vergine, un fanciullo in grado di inaugurare per l’uomo una nuova età dell’oro.

Dalla tradizione cristiana successiva, il passaggio è stato spesso interpretato come una sorta di anticipazione della venuta di Gesù Cristo, che naturalmente è ancora molto dibattuta e che comunque, nel frattempo, ha portato Virgilio ad essere considerato con rispetto e interesse da parte della Chiesa.

Le Georgiche

Le Bucoliche riscuotono fin da subito un grande successo, al punto da spingere Virgilio a continuare lungo la strada della poesia su sollecitazione di Mecenate. Fra il 37 e il 30 a.C. vengono così composte le Georgiche mentre il poeta è ancora a Napoli: stavolta siamo davanti a un poema didascalico ispirato agli scritti di Varrone, Esiodo e Lucrezio, che è diviso in quattro tomi e ruota intorno al lavoro nei campi, all’apicoltura e all’allevamento.

Il testo, scritto ancora una volta in esametri, ma stavolta più vicino allo stoicismo che all’epicureismo, allo stesso tempo si inserisce in verità nell’epocale tentativo di Ottaviano Augusto di restaurare e innovare la cultura, la società e la morale romana dopo la sua ascesa al potere, che è ancora vincolato all’istituzione del triumvirato, ma che già sta gettando le basi per il suo imperium dei decenni seguenti.

Copertina del libro Georgiche di Virgilio

Ecco perché, tra i consigli per la vita contadina, le digressioni descrittive e le riflessioni sulla vita e sulla morte dell’autore, ampio spazio è dedicato anche a un modello di suddivisione della società, che viene qui approfondito ed elogiato da Virgilio in ottica propagandistica.

Ottaviano ha modo di leggerlo nel 29 a.C., ascoltandolo recitare direttamente dalla voce di Virgilio e di Mecenate, ed è allora che capisce di poter affidare proprio al poeta mantovano un progetto letterario ancora più ambizioso, un poema epico fondativo nel quale celebrare i valori della romanità e dare nuovo lustro alla gens Iulia da cui discende il nuovo princeps di Roma.

Gli ultimi anni di Virgilio

Virgilio si rende immediatamente conto dell’alta responsabilità che gli è stata assegnata, e si dedica anima e corpo al suo nuovo compito per ben dieci anni, dal 29 a.C. al 19 a.C, suscitando di conseguenza l’impazienza di Ottaviano. Quest’ultimo, infatti, vorrebbe che l’opera fosse pronta quanto prima, e lo incalza per leggere almeno una parte del manoscritto mentre è ancora incompleto, intimando al poeta di velocizzare la stesura.

Virgilio, prima di concludere, chiede di poter visitare la Grecia per osservare con i suoi occhi alcuni dei luoghi descritti, e limare lo stile e i contenuti del testo prima della consegna. Al suo rientro, tuttavia, forse a causa di un’insolazione, i malori che ha già avvertito durante il viaggio si accentuano, e il poeta muore a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C.

Poco prima di esalare l’ultimo respiro, si dice che sia Virgilio in persona a dettare ai presenti il suo epitaffio: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope; cecini pascua rura duces” (Mi ha generato Mantova, il Salento mi strappò via la vita, ora Napoli mi conserva; cantai i pascoli, le campagne, gli eroi), in cui fa menzione dei luoghi a lui cari in vita e dei temi delle sue tre opere principali.

Dopodiché, le sue ultime volontà sono quelle di dare alle fiamme l’Eneide, titolo provvisorio del poema a cui sta lavorando, dal momento che non ha potuto ultimare le revisioni e dirsi davvero soddisfatto dell’opera. Gli amici a cui affida l’incarico, Vario e Tucca, decidono invece di consegnarlo a Ottaviano, che dopo avere affidato proprio a loro le ultime correzioni decide finalmente di pubblicarlo.

L’Eneide

Ritenuto il capolavoro indiscusso di Virgilio, l’Eneide è un poema epico in esametri, diviso in dodici libri e ispirato più all’Iliade e all’Odissea di Omero che alla tradizione latina portata avanti dal poeta Ennio. Il protagonista è Enea, valoroso e audace condottiero troiano, che dopo l’assedio della sua città per mano dei Greci attraversa il Mediterraneo fino a sbarcare nel Lazio, dove sposa una principessa locale da cui discenderanno i futuri fondatori di Roma.

Rispetto all’epica greca, Virgilio nella sua opera compie però delle scelte diverse: dal punto di vista della lingua, infatti, opta per una contaminazione di generi e stili, mentre dal punto di vista contenutistico i Greci diventano qui i nemici, pur mantenendo il rispetto dei Romani ed essendo considerati i precursori della civiltà latina.

Copertina del libro Eneide di Virgilio

Come se non bastasse, nell’Eneide è presente prima la parte del viaggio e poi il racconto della guerra, oltre al fatto che al contrario di Ulisse – desideroso di tornare nella sua vecchia patriaEnea deve dirigersi verso una nuova città, che deve essere ancora costruita e non distrutta, come invece era accaduto nel caso di Troia.

E ancora: il protagonista è spesso guidato dalla sua pietas, un valore tutto romano che lo rende compassionevole nei confronti della sofferenza umana, triste e lacerato nell’animo, e sempre capace di stabilire da solo come comportarsi sulla base dei suoi ideali, a differenza degli eroi greci in balia degli dèi e del Fato.

L’Eneide si configura, dunque, non come un mero poema celebrativo della gens Iulia, che esalta il potere di Ottaviano senza porsi domande, quanto piuttosto come un’opera di profondo spessore, che non per niente ha portato spesso Virgilio a dubitare dell’opinione del princeps, pur non potendo immaginare i riscontri e l’ammirazione che avrebbe suscitato il testo nei secoli a venire.

Virgilio nella letteratura successiva

Subito dopo la pubblicazione dell’Eneide, Virgilio viene infatti amato all’unanimità dal popolo romano e si guadagna il soprannome di Omero Romano, trasformandosi a sua insaputa in un termine di paragone imprescindibile per i poeti e i letterati delle epoche successive.

Al di là dell’attenzione che gli riserva la già citata tradizione cristiana, infatti, a partire dall’Alto Medioevo la forma e i temi affrontati dall’autore si rivelano un modello di riferimento quasi mitologico, ispirando autori del calibro di Francesco Petrarca (1304-1374), Ludovico Ariosto (1474-1533) e Torquato Tasso (1544-1595), mentre nella cultura popolare Virgilio viene intanto ritenuto un sapiente e un mago, pronto a proteggere l’identità e l’indipendenza della città di Napoli.

Copertina del libro Divina Commedia di Dante Alighieri

Emblematica della sua considerazione fra il Medioevo e il Rinascimento è specialmente la scelta di Dante Alighieri (1265-1321), ritenuto il padre della lingua italiana, di fare proprio di Virgilio la sua guida nel viaggio allegorico che compie nella Divina Commedia attraverso l’Inferno, il Purgatorio e poi (stavolta in compagnia di Beatrice) il Paradiso, cantiche composte rispettivamente in stile basso, medio e alto al pari delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide.

Quando lo incontra per la prima volta, nel I Canto dell’Inferno, Dante si rivolge quindi a lui con devozione, per poi chiamarlo nel corso di tutta l’opera “maestro” o “duca” (ovvero guida, per l’appunto), e creando con lui un rapporto affettuoso e commosso, che ricorda sia quello fra maestro e discepolo sia quello fra padre e figlio.

In particolare, sono passate alla storia le terzine che il poeta guelfo dedica a Virgilio non appena lo riconosce, essendo intrise della grande meraviglia e del rispetto che Dante prova nei suoi confronti, e raggiungendo un picco di lirismo e di abilità retorica capaci di fare onore al sommo poeta latino:

“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?”,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.

“O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.

Fotografia header: Virgilio, Orazio e Vario presso la casa di Mecenate, incisione (GettyEditorial 21-09-2022)

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