Nella raccolta di saggi “Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino”, Marina Paino analizza due delle opere più amate dello scrittore: “Il barone rampante” e “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, libri nei quali il tanto riservato Calvino si è concesso alcuni travasi autobiografici, tanto che il legame tra vita e letteratura si fa particolarmente stretto. Spazio anche a riflessioni sulla prosa calviniana, sul linguaggio utilizzato dall’autore, sul suo impegno politico e sulla sua attività editoriale… – L’approfondimento

Italo Calvino ha frequentato tante e diverse tipologie di romanzo e racconto, inserendo all’interno del suo percorso creativo, variegato e imprevedibile, rimandi intertestuali più o meno scoperti, che hanno spesso visto interventi sui quotidiani diventare tessere di narrazioni più vaste.

Nella sua raccolta di saggi, Il Barone e il Viaggiatore e altri studi su Italo Calvino, appena uscita per Marsilio, Marina Paino si concentra specialmente sui due romanzi indicati nel titolo. Il barone rampante e Se una notte d’inverno un viaggiatore, per quanto distanti per tematiche, per periodo di composizione (1957 e 1979), genere (romanzo di formazione il primo e romanzo metaletterario il secondo) e struttura narrativa (romanzo tradizionale di contro a un’opera sperimentale e frammentaria, basata sul susseguirsi di una serie di incipit), sono tuttavia tra le opere più amate dal grande pubblico. Quel che forse sappiamo di meno è che in questi romanzi il tanto riservato Calvino si è concesso alcuni travasi autobiografici e che il legame tra vita e letteratura si fa qui particolarmente stretto.

il barone e il viaggiatore calvino

In realtà, in entrambi i libri la sperimentazione è dietro l’angolo. Lo stesso Barone rampante, spesso consigliato a scuola come Bildungsroman dichiarato, in realtà sovverte alcune regole di base: ad esempio Cosimo, proiezione di Calvino stesso, non si pente mai della propria ribellione, attua una rivoluzione perpetua, che eternizza la spinta giovanile col distacco dal nucleo familiare tradizionalista. Diversamente rispetto agli antieroi novecenteschi, Cosimo fa, agisce, e sceglie di restare immerso nella natura, pur senza disdegnare una socializzazione, compiuta però dall’alto degli alberi.

Nel primo saggio, Marina Paino analizza i punti di maturazione individuale del protagonista, messo a confronto con la storia, mettendo in rilievo il movimento continuo tra vitalismo e isolamento, integrazione e al tempo stesso necessità di sottrarsi all’omologazione dei contemporanei. In tale isolamento nella natura è anche possibile rivedere Calvino figlio di un agronomo e di una botanica: la scelta degli alberi non è infatti casuale, ma secondo Paino coinvolge il legame parentale e in particolare ha a che fare con l’austerità della madre.

Non mancano nell’opera anche riferimenti letterari più o meno colti, oggetto di studio del terzo intervento: sia per Cosimo sia per il brigante Gian dei Brughi, la lettura è innanzitutto un rimedio alla noia, riempie il vuoto di giornate in solitudine; tuttavia, lentamente i libri diventano un insegnamento di vita. Al centro, vi sono le letture dell’epoca (ricordiamo che Il barone rampante è ambientato nel Settecento), da Rousseau a Diderot, e l’idea di libertà qui perseguita fa senza dubbio riferimento al Robinson Crusoe di Defoe, romanzo d’ispirazione e riferimento costante in Calvino. 

Nel primo saggio dedicato a Se una notte d’inverno un viaggiatore, Marina Paino si sofferma sul rapporto tra libro e mercato editoriale, ben presente nell’ottica di Calvino, anche per via del suo lavoro in editoria. La lettura è connessa a una “dimensione passionale e appartata” (p. 88), autentica e incontaminata, mentre la libreria è il simbolo stesso della commercializzazione della letteratura. L’angoscia e l’inquietudine accompagnano infatti i protagonisti (il Lettore – proiezione dell’autore – e la Lettrice Ludmilla) nei luoghi di per sé deputati alla lettura: l’università, la casa editrice, la libreria, appunto.

Tutti questi posti hanno perso il loro valore primigenio, portano via quella purezza che invece Ludmilla vuole intrattenere con l’opera letteraria che sta leggendo. Ecco che la donna è al tempo stesso un modello-guida a cui rifarsi e motore di una tormentosa passione, dal momento che non sembra concedersi ai personaggi maschili del testo.

In questa opera, continuamente soggetta a metamorfosi, da incipit a incipit, Marina Paino rinviene un omaggio alla “polimorfica complessità della vita”, concetto che Calvino riprende da alcuni autori classici a lui molto cari, come Lucrezio e Ovidio, ma anche dalle Mille e una notte. In calce a Se una notte d’inverno, infatti, leggiamo che il libro vuole essere una “storia apocrifa” proprio delle Mille e una notte, ma il rapporto non è di omaggio servile; tutt’altro, come dimostra Paino nel delineare punti di vicinanza e di devianza, ovvero quelli più legati alle Fiabe italiane. 

Nel volume sono poi presenti tre saggi che si occupano di altri aspetti della prosa calviniana: tanto per cominciare, Marina Paino affronta il tema del suo legame molto forte con la cultura francese, già ammirata negli anni Cinquanta e poi ancor più pietra di paragone dagli anni Sessanta, quando Calvino trascorre periodi sempre più lunghi a Parigi e, quindi, dal 1973, quando entra a far parte dell’OuLiPo. La letteratura d’oltralpe, vera e propria cartina di tornasole per Calvino, viene apprezzata anche per l’impegno politico e per il ruolo in primo piano dello scrittore quale intellettuale. 

Interessante è poi lo studio linguistico di Paino sul legame molto stretto tra lessico letterario e scientifico, a partire dall’intervento di Calvino contro Pasolini negli anni Sessanta. Secondo Calvino una lingua che unisce letteratura e scienza è piena di potenzialità, può finalmente proporre un’esattezza altrimenti sconosciuta agli italiani, tipicamente approssimativi (si pensi alla politica). Tuttavia questa visione è destinata a modificarsi in parte, perché Calvino rinviene l’inadeguatezza del metodo di conoscenza umanistico: sono gli anni Sessanta in cui compaiono le Cosmicomiche e Ti con zero. Tuttavia, anche tale fiducia nel linguaggio scientifico entra in crisi, visto che questo si stacca troppo dalla verità: meglio cercare la soluzione in una continua messa in dubbio, che trova un possibile esito nell’unione tra letteratura, scienza e, elemento nuovo, filosofia. 

L’ultimo contributo del volume è invece dedicato alle collaborazioni di Calvino con le testate nazionali: in particolare, Paino si concentra sulla comparsa di Palomar, protagonista di un Osservatorio sul Corriere della Sera, in cui per anni Calvino raccoglie interventi di terza pagina. Il passaggio dei brani dal quotidiano al volume non è stato certo un mero travaso, ma ha richiesto un’operazione di revisione, selezione ed esclusione importante, con una variantistica degna di nota. 

Al termine del volume di Marina Paino, accurato e corredato da un’ampia bibliografia, ci si compiace di come Italo Calvino, nelle sue opere, abbia inserito tanti livelli di lettura che ancora oggi permettono agli studiosi di approfondire con nuove chiavi di lettura la sua letteratura. E viene voglia di tornare alle opere, riaprirle, e misurarsi ancora una volta con la sua scrittura esatta, mai verbosa, precisa eppure estremamente inventiva. 

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