Come può una vittima farsi carnefice? Perché ci ammaliamo? L’anima si può curare? Sono domande al centro del debutto narrativo di Luca Mastrantonio, il romanzo-memoir “Piombo e latte”. Dall’assassinio di Dirk Hamer all’utopia di una cura alternativa per i tumori… L’autore inizia quella che non sa essere un’indagine che lo porterà lontanissimo. A farsi domande vertiginose, ad affastellare carte e testimonianze, a mettere in questione le proprie convinzioni più profonde…

Fior di soffio, fior di disinfetto, ci dicevano nell’infanzia dopo un inciampo o una caduta, quando sulle ginocchia sbucciate bisognava applicare per pochi secondi – pochi, pochissimi, ma molto lenti a trascorrere – un batuffolo di cotone imbevuto di alcool o acqua ossigenata per sterilizzare la ferita. Le parole e il soffio – fior di soffio – che le accompagnava, facevano parte di un processo di consolazione che distraeva dal bruciore del disinfettante, e accelerava la guarigione in una maniera misteriosa di cui da piccola non mi sono certo mai soffermata a domandarmi la ragione – non mi sarebbe mai saltato in mente di mettere in questione un così consolidato incantesimo: non avevo intenzione di dubitare della formula magica, per via forse di un istinto antichissimo a credere alla fascinazione delle storie: un mare di significati intrecciati in sortilegi di memoria e di persuasione, un mare di senso in cui da bambini ci muoviamo con la stessa naturalezza con cui nell’acqua si muovono i neonati ancora memori dell’esperienza amniotica.

Fior di soffio, fior di disinfetto: bisognava dirlo, perché l’acqua ossigenata portasse a compimento la sua antisettica missione. Ripenso ora al piccolo rituale che gli anni hanno provveduto a sospingere in qualche nascosto anfratto della mente, perché mi sono imbattuta in una storia che esplora con spericolata abnegazione proprio l’abbacinante potere d’incanto delle parole. Parole che, composte in ragionamenti le cui stesse fallacie contribuiscono a renderli impermeabili al dubbio, si avvolgono in volute mistificatrici, forti come spire, e come spire strangolano il senso della realtà di una miriade di personaggi in cerca di una consolazione che possa alleviare il morso crudele del destino, la spietata indifferenza della sorte.

Ananke: che nella religione greca antica impersona la necessità. Ananke colpisce e intreccia e stravolge le vite umane nella ferrea legge che concatena gli effetti alle cause, e non conosce appello, dunque nemmeno pietà; e dei suoi disegni, noi non vediamo l’intero tracciato, ma solo frammenti, puntini isolati che siamo costretti alla bell’e meglio a unire ad altri punti visibili, come in un gioco enigmistico. Ananke, per un’intuizione arcaica di sconcertante profondità, in certe versioni del mito compare come madre delle Moire, le tre dee che tessono il filo del destino di ogni vita, lo svolgono, lo recidono.

Ma dove possiamo rintracciarla oggi, Ananke? Come ricostruiamo le leggi della necessità, dell’impassibile esattezza che ci atterrisce perché cancella le minuzie delle nostre storie, dei nostri ricordi, delle nostre vite, in un mondo che ha dimenticato come si creano i miti, e forse anche l’arte antica di raccontare non per vendere o per convincere ma per curare, come la mamma che compare accanto al bambino malato in un passaggio dell’Infanzia berlinese di Walter Benjamin, “Racconto e guarigione” (1933), lo mette a letto, “e poi comincia a raccontargli delle storie”?

Infanzia berlinese di Walter Benjamin

Questa domanda immensa si innesta al centro della tragedia che colpisce il destino di una famiglia tedesca alla fine degli anni ’70, quando un ragazzo di pochi anni vede il filo della sua vita reciso per quello che a tutti gli effetti pare un errore delle Moire. L’errore, in realtà, è uno sparo partito nella notte, e riuscire a collocarlo nell’ordine di eventi regolati da una qualche necessità è una sfida impossibile. Il ragazzo, Dirk Hamer, 19 anni appena, colpito dal proiettile mentre dormiva al sicuro nel ventre di una barca ormeggiata all’isola di Cavallo in una notte tiepida di piena estate, sotto le stelle del Mediterraneo, viene ricoverato in condizioni gravissime.

Il piombo gli ha trapassato il bacino, lotta fra la vita e la morte. Al suo fianco, la madre e il padre, medici, distrutti dal dolore: passano i giorni e il padre non si arrende all’idea di non poterlo salvare. Come la mamma del racconto di Benjamin, al capezzale del figlio cerca di inventarsi una storia che lo possa salvare; prova a placare la sete dell’agonia portandogli, contro gli ordini dei medici ospedalieri, il latte che Dirk chiede, come una formula magica di guarigione, come un frammento della sua storia personale di atleta adolescente che beveva latte per riprendersi dalla fatica degli allenamenti.

Geerd Hamer, il padre, alchimista disperato, tenta di distillare dai suoi studi di medicina una formula che possa tramutare la brutalità del piombo in un lasciapassare per la salvezza, ma non c’è nulla da fare. La tragedia dell’isola di Cavallo recide l’esistenza di Dirk e nei decenni successivi si sfilaccia in un’interminabile vicenda giudiziaria che vede la famiglia Hamer lottare per ottenere giustizia per Dirk, per la sua morte di cui è imputato Vittorio Emanuele di Savoia. Ma non solo.

Perché Geerd Hamer inizia a elaborare una teoria medica che somiglia a una lotta titanica per trovare, nella spietatezza della legge di Ananke – che uccide, ammala, ferisce – un senso che come una formula magica guarisca chi soffre, che dia un nome e una causa al male che colpisce chi incuba malattie gravi. La teoria cresce e si accresce, diventa uno strumento terapeutico nelle cui falle scientifiche si affastella l’entusiasmo di pazienti che sentono il conforto delle parole del carismatico fondatore della “Nuova Medicina Germanica”. La quale, negli anni, acquisisce una fisionomia sempre più ambigua, si diffonde nelle profondità del web riempiendo i solchi delle teorie del complotto, della diffidenza per la medicina “ufficiale”, del bisogno di credere in un senso visibile, riconoscibile, anche di fronte all’enormità delle tragedie.

Travolge le vite degli Hamer, della madre di Dirk, Sigrid, di sua sorella Birgit che da decenni lotta perché il fratello abbia giustizia. E arriva lontanissimo, alla morte di una ragazza appena maggiorenne che nel 2016 rifiuta le cure per una leucemia – curabile – in nome proprio della teoria Hamer.

Luca Mastrantonio nella foto di Agne Raceviciute

Luca Mastrantonio nella foto di Agne Raceviciute

Nella notizia di questa morte si imbatte, da cronista, Luca Mastrantonio, e inizia quella che non sa essere un’indagine che lo porterà lontanissimo. A farsi domande vertiginose, ad affastellare carte e testimonianze, a mettere in questione le proprie convinzioni più profonde, ad auscultare le fitte irreparabili della mancanza, della nostalgia per chi non c’è più – il tributo che Ananke impassibile pretende da chiunque abbia amato.

Perché l’inchiesta giornalistica diventa subito qualcosa d’altro, prende un respiro più ampio: è una storia, che non ci guarirà, perché purtroppo le storie non possono guarire se non nel senso in cui ci aiutano a comprendere, ad allargare i confini anche dei nostri dolori. Incantesimo che Piombo e latte (Bompiani) riesce a innescare grazie allo sguardo di un narratore che si fa guida nel labirinto di una ricerca inesauribile, e ci mostra contraddizioni, ingiustizie, soprusi senza mai perdere una sorta di cortesia cavalleresca, compassionevole nel senso più nobile verso le debolezze, così umane, pur quando gravi, dei protagonisti della storia.

Piombo e latte di Luca Mastrantonio

Mastrantonio ce li mostra negli atti ufficiali ma anche nei detriti di un passato che ricostruisce con delicatezza e cura narrativa, così che possiamo immaginare la storia di questa famiglia dalla cui distruzione le leggi della causalità, lavorando sommerse, hanno distillato ulteriori dolori, che intercettano altre famiglie lontanissime. Seguiamo il corso dei fiumi carsici che intrecciano insieme destini: il libro illumina i misteri di una vicenda immensa e immensamente carica di dolori, fino a permetterci di immaginare i protagonisti prima della tragedia, prima della cronaca, prima della storia.

Li vediamo nella loro giovinezza tedesca, con ombre che si addensano, ma appena appena, sulla formazione del patriarca, Geerd, che prima di diventare quello che diventerà è uno studente di medicina, innamorato di una studentessa. I crochi viola spuntano nei prati della vita bucolica dei primi anni insieme, in agguato è la storia che si dipana in un’inchiesta appassionata, fra carte e testimonianze, i viaggi a Cavallo e nella Spagna dove ripara, già vecchio, Hamer, e dove vive ancora Birgit, che ha parole e saggezza luminose a custodia di un immenso dolore. Ma anche fra i frammenti della storia familiare dell’autore, perché Ananke è legge che riguarda tutti gli esseri umani, tutti i viventi. E perché ci sono profondità in cui è necessario avventurarsi, ma fra cui è bene tenere a mente che è facile naufragare.

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L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, scrittrice, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Dal 2015 collaboratrice di ilLibraio.it, scrive per diverse testate e collabora con radio, tv e scuole di scrittura. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno), Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioni. Nel 2022 per Giulio Perrone editore è uscito A Berlino – Con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Con Emons, (e con il sostegno dell’Institut Français Italia), sempre nel 2022, ha curato e condotto il podcast Chez Proust. Per la collana digitale Quanti di Einaudi ha inoltre pubblicato il saggio breve Cenerentole e sorellastre – Una botanica della bellezza.

Guanda a marzo 2024 ha pubblicato il suo secondo romanzo, La reputazione, in cui la scrittrice affronta temi stringenti della nostra contemporaneità, e lo fa in una prosa capace al tempo stesso di profondità e leggerezza. Con La reputazione Gaspari indaga sul rapporto tra apparenza e identità, sul peso della maldicenza e sulla difficile conquista ­della maturità. Cosa succede quando la diffidenza in­quina lo sguardo, quando i confini fra le colpe e i pettegolezzi si fanno labili, quando fidarsi significa rischiare?

Ora è tornata in libreria con il racconto lungo L’hotel del tempo perso – Non rubare, un giallo a tinte filosofiche che omaggia Agatha Christie e le sue atmosfere, uscito in una nuova collana Rizzoli ispirata ai dieci comandamenti.

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