Dario Hübner, Pasquale Luiso, Riccardo Zampagna… “Il mito dei bomber di provincia” (di cui proponiamo un estratto) è un libro che gioca sulla nostalgia di un’Italia calcistica che da tempo non esiste più. Emanuele Atturo, accompagnato dalle illustrazioni di Andrea Chronopoulos, firma un appassionato omaggio a quegli attaccanti “mitici”, che hanno fatto della provincia il loro regno
La Serie A è ripartita e, come da molti anni a questa parte, a tenere banco nei mesi del calciomercato estivo sono stati i possibili acquisti di calciatori di altri paesi. L’attenzione per i giocatori italiani, giovani e non, resta limitatissima. Eppure, c’è stato un tempo in cui le cose andavano diversamente. Un tempo di cui molti oggi hanno nostalgia.
Si può leggere da queste premesse Il mito dei bomber di provincia – Un almanacco sentimentale firmato, per Einaudi, da Emanuele Atturo.
Sì, un libro dedicato a giocatori che hanno fatto sognare i loro tifosi, a bomber come Hübner, Protti, Zampagna, Luiso, Flachi, Riganò e molti altri.
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Atturo, caporedattore della rivista l’Ultimo Uomo, e già autore di Roger Federer è esistito davvero, (66thand2nd, 2021), e per Einaudi ha partecipato ai volumi La caduta dei campioni – Storie di sport tra la gloria e l’abisso (2020) e Rivali – Sfide leggendarie che hanno cambiato lo sport (2022).
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In questo suo “almanacco sentimentale” (illustrato da Andrea Chronopoulos) omaggia quegli attaccanti che hanno fatto della provincia il loro regno. Giocatori amatissimi, che avevano un coro personalizzato, un soprannome immaginifico, una tifoseria devota. Nomi che riportano a un mondo dimenticato.
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Come scrive l’autore (che, sempre per Einaudi, ha pubblicato anche Visionari – La percezione alterata degli sportivi, 2024), spesso questi bomber comparivano in Serie A già vecchi, portandosi dietro diversi aneddoti. Assoldati da società alla disperata ricerca di quel pugno di gol che facesse la differenza tra salvezza e retrocessione, senza un talento evidente, costruivano la loro reputazione tramite l’estremo pragmatismo del gol.
Il loro culto, che si è alimentato nel tempo, ne ha gonfiato la leggenda, a volte confondendo il piano immaginario con quello reale: in breve, costruendone il mito…
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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto dall’introduzione del volume:
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Oggi i bomber di provincia sono una specie estinta. Il più recente che troverete citato in questo libro è Sergio Pellissier. I motivi della loro scomparsa sono molteplici, ma non credo alla teoria, spesso dominante, della sovrabbondanza del talento italiano: all’idea, cioè, che tra gli anni Novanta e i primi Duemila il calcio italiano fosse talmente ricco di giocatori da costringere attaccanti forti come Rigano o Protti a militare nelle serie minori. Mi sembra piuttosto che sia aumentata la distanza tra la Serie A, l’élite del calcio, e le serie inferiori; ed esista quindi meno permeabilità tra le categorie. Inoltre, la crescente professionalizzazione del calcio rende sempre più improbabile che un grande talento passi inosservato ai margini del sistema competitivo. Oggi non potrebbe esistere un altro Hübner, che alla prima stagione in carriera in Serie A col Brescia, a 33 anni, segna 17 gol. Allo stesso modo, sarebbe altrettanto improbabile che una squadra retrocessa possa esprimere il capocannoniere del campionato, come successe al Bari con Protti (anche per il formato attuale della Serie A a venti squadre). A influire su questo cambiamento è anche l’evoluzione tattica del calcio. Il ruolo del centravanti è diventato sempre più complesso e poliedrico. Il pressing e il gegenpressing hanno modificato la gestione dello spazio in campo, e l’attaccante non può concentrarsi soltanto sul gol. Allo stesso tempo, centrocampisti e ali segnano più di un tempo, contribuendo alla trasformazione del gioco offensivo.
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Bisogna andare oltre la nostalgia reazionaria e rifiutare l’idea, falsa, che il calcio sia peggiorato in senso assoluto. Una volta compiuto questo passo, però, vale la pena chiedersi cosa abbiamo perso. I bomber di provincia esprimevano soprattutto un sistema di valori. Primo fra tutti, il lavoro, che li aveva portati a scalare le categorie. Ma soprattutto incarnavano un legame autentico con le squadre e i tifosi, una prossimità tra pubblico e campioni che oggi è scolorita. La nostalgia per quei bomber, allora, è anche nostalgia per un senso di comunità perduto.
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Oggi la nostalgia è un importante strumento emotivo per i politici. Il motto di Donald Trump, «Make America Great Again», suggerisce implicitamente che gli Stati Uniti sono stati grandi e ora non lo sono più. Occorre tornare allo splendore del passato. I partiti più reazionari e conservatori sono stati i primi a intuire il potere della nostalgia e a usarlo senza freni. Anche per questo la nostalgia è diventata un sentimento divisivo; secondo i suoi detrattori sarebbe un sentimento che non ci permette di guardare in avanti, di costruire futuro; artisticamente non permette evoluzione. È un sentimento anti-vitale, consolatorio, un po’ triste. Le vecchie rock band degli anni Ottanta e Novanta si sono lanciate in coraggiose reunion; stadi e palazzetti sono pieni di appassionati che cuociono esaltati nel brodo dei ricordi, ma fuori altri guardano il fenomeno con tristezza. Come faremo a evolverci se siamo così ossessionati dal passato?

Illustrazione di Andrea Chronopoulos
Eppure tutti rimpiangiamo qualcosa del passato, da sempre. E uno slancio che, possiamo dire, fa parte della natura umana. In epoca Vittoriana l’aristocrazia inglese rimetteva in scena feste medievali mentre i Preraffaelliti erano nostalgici della pittura precedente a Raffaello Sanzio. Già nel 1947 Claudio Villa si lamentava che Roma non era più quella di una volta in Vecchia Roma. Nel 1974 il «New York Times» scriveva di una «Massiccia ondata di nostalgia». Faccio solo qualche esempio per relativizzare l’impressione, deformata dal recentismo, che la nostalgia sia un fenomeno contemporaneo – sebbene occorra riconoscere un avanzamento nostalgico negli ultimi anni. Se la nostalgia è un sentimento così umano, è possibile che abbia davvero solo un effetto tossico?
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La nostalgia non è solo una strategia di marketing, una narrazione politica di stampo reazionario o l’espressione di una paura verso il futuro. È anche memoria condivisa, un collante di relazioni e un mezzo per sentirsi parte di una comunità. Lo dimostra l’associazione Sporting Memories, attiva in Inghilterra, Scozia e Galles, che organizza incontri fra persone anziane appassionate di calcio. Persone con più di cinquant’anni, spesso sole, a volte affette da demenza o depressione. Si ritrovano in strutture dedicate a sfogliare vecchie fotografie e parlare di calcio: giocatori, squadre, maglie e piccoli aneddoti. Ricordi all’apparenza insignificanti, che però sono rivestiti di emozioni, e quindi capaci di sprigionare un potere profondo, persino misterioso.
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È vero, come recita un celebre meme, che i ragazzi a volte vogliono semplicemente ritrovarsi la sera per nominare vecchi giocatori dimenticati. Magari è un sentimento consolatorio, ma scoprire che certe passioni sono condivise ci aiuta a sentirci meno isolati, stabilisce connessioni emotive autentiche. Citare Riccardo Zampagna o Pasquale Luiso in una conversazione, indossare la loro maglia, guardare i loro gol, per quanto possa suonare ironico, conserva ancora una specie di potere magico. Spesso è proprio ciò che ci sembra effimero a unirci di più agli altri.
© 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
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