“Chi ha letto il libro dice di aver sentito un pugno nello stomaco, o di essere scoppiato a piangere, o di aver provato una tremenda eccitazione sessuale. E quando un corpo subisce un colpo qualsiasi, vuole produrre senso”. Ossia, andare oltre l’impatto fisico e scavare ulteriormente. Carla Madeira ha cominciato a scrivere “L’amore è un fiume” più di vent’anni fa. Il suo romanzo d’esordio è arrivato oggi in Italia, ed è un testo (attualissimo) dove i personaggi fanno tante cose che sono tabù, e commettono atti “imperdonabili”. L’autrice ci ha raccontato la genesi del libro, e ci ha parlato del blocco che l’ha tenuta ferma tanto tempo prima di poter far fluire di nuovo la storia… – L’intervista
Carla Madeira, oggi una delle autrici più lette in Brasile, ha iniziato a scrivere L’amore è un fiume più di vent’anni fa. Nel 2014 il romanzo è stato pubblicato nel suo Paese: sono seguiti altri libri, mentre Madeira ha continuato a lavorare in un’agenzia di comunicazione. Adesso questo suo esordio è arrivato per la prima volta in Italia, a distanza di dieci anni, pubblicato da Fazi nella traduzione di Daniele Petruccioli: “Sono proprio curiosa di vedere che ruolo avranno le differenze culturali nella ricezione di L’amore è un fiume da parte dei lettori italiani”, racconta a ilLibraio.it.
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La curiosità è lecita: i personaggi di L’amore è un fiume fanno tante cose che sono dei tabù. Lucy è una prostituta, l’ha scelto per passione, la sua è “una sessualità fallica che vuole controllare il godimento altrui a qualunque costo”. Nel prendersi il suo piacere assoggetta tutti gli uomini, finché non incontra Venâncio, l’unico che non la desidera. E dall’altro lato c’è Dalva, la moglie di Venâncio, che l’ha bandito per una cosa orribile che l’uomo ha commesso.
I tre si rimbalzano addosso violenza, umiliazione, un dolore gigantesco, gelosia, possesso: e in qualche modo, i sentimenti scorrono, fluiscono, e si possono inventare nuovi futuri.
All’inizio, la storia partiva da più lontano, da quattro personaggi che sono ancora presenti nel libro, ma sono passati in secondo piano: “Ho cominciato a scrivere L’amore è un fiume senza avere la minima idea che sarebbe diventato un romanzo. Era più che altro un esercizio di linguaggio, il piacere di esplorare quel narratore lì, la sua prosodia. Non avevo nessuna storia già formata in testa, né una specifica intenzione di affrontare certe problematiche particolari”, spiega Madeira.
Poi, “ho sentito il bisogno di allontanarmi da questa linea narrativa per ampliare i confini della storia, e così mi sono messa a parlare di Lucy, una prostituta ostacolata nella sua sessualità dominatrice, che si ossessiona per un uomo da cui viene rifiutata: Venâncio. Che uomo era questo, con dentro un dolore tanto grande da fargli ricusare la promessa di un godimento senza paragoni? Cosa poteva mai essergli successo? Così è arrivata Dalva, il grande amore di Venâncio”. La cosa orribile che spezza la relazione con Dalva era talmente tanto violenta che Carla Madeira si è bloccata per 14 anni: “Non avevo le risorse per gestire la situazione che avevo creato, perciò ho semplicemente smesso di scrivere. Mi ci è voluto tempo, prima di riprendere in mano la vicenda”. Del resto, la stessa Dalva “fronteggia un odio paralizzante che riattualizza sempre la violenza subìta. Per uscire da questa paralisi, si abbandona al tempo e al silenzio”.
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Non l’ha mai abbandonata, in realtà: la storia andava avanti da sola, mentre lei diventava madre, si risposava, “si faceva muscoli, esperienza, maturità”.
Nel 2011, al Festival della Creatività di Cannes, ha assistito a una lettura della poeta Sarah Kay, il testo era If I should have a daughter: in quel momento, la forza di una storia raccontata bene e, soprattutto, la forza di una donna, le hanno fatto trattenere il respiro. In qualche modo, sente che quel reading l’ha fatta ritornare al suo romanzo.
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Madeira ha portato i suoi personaggi sull’orlo di un abisso. Intorno a loro ha lanciato, come amuleti di protezione, delle figure luminose: Francesca, la sua protagonista originaria, che indietreggia sul fondo ma rimane preziosa, un simbolo di “bontà, disponibilità di mettersi al servizio dell’altro”, e Aurora, la madre di Dalva, la cui intelligenza emotiva (o, come la definisce Madeira, “la sapienza non accademica, in grado di comprendere le imperfezioni umane”) accoglie anche il lettore: qualsiasi cosa accada, Aurora sa le parole e i gesti giusti.
Ma anche la stessa Lucy, così sfacciata, sboccata, nel parlare, non è mai una macchietta: “Servendoci della ‘volgarità’ nelle parole, così da strappare il velo a una cortesia ipocrita, che non ci lascia guardare i nostri lati oscuri, possiamo avvicinarci a ciò che nella vita, nei rapporti, nelle storie è realmente volgare, e, chissà, (ri)evolverci”, osserva Madeira.
Dove Venâncio e Dalva si dibattono nel loro dolore, Lucy è un motore continuo, che impone al mondo intorno di cambiare con lei. Per lei, il piacere è lo strumento più forte di ribellione: “Il controllo dei corpi è sempre stato uno strumento di oppressione, da sempre è un modo per controllare il pensiero ed espropriare la libertà”, argomenta l’autrice rispondendo a ilLibraio.it.
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La voce che accompagna il testo è poetica, ricca, strabordante proprio come l’acqua di un fiume. Ma oltre a essere, all’osso, una storia d’amore (o amori), è un testo che porta a farsi domande: qual è il mio limite? Quali sono le cose di cui mi vergogno?
Negli anni, Carla Madeira ha raccolto le testimonianze più svariate dei suoi lettori: “Mi dicono sempre di aver sentito un pugno nello stomaco, o di essere scoppiati a piangere, o di aver provato una tremenda eccitazione sessuale. E quando un corpo subisce un colpo qualsiasi, vuole produrre senso”. Ossia, andare oltre l’impatto fisico e scavare ulteriormente.
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Ci sono tante provocazioni che si rivolgono senza sforzo anche al lettore italiano di oggi: la famiglia, ad esempio, è al centro della produzione di Carla Madeira, perché è “all’interno della famiglia che nascono i primi patti di civiltà”, e nel romanzo si modella in forme non sempre convenzionali.
La sfida più grande: capire il perdono, che è l’altra chiave del romanzo: L’amore è un fiume “getta uno sguardo non manicheo sul nostro potere di fare il bene e il male, esercitandoli”.
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Madeira ci tiene a non confondere il perdono con l’impunità, ma lo vede come “l’unica possibilità di strappare l’‘aggredito’ dalle mani dell’‘aggressore’, di far cessare l’odio grazie al quale un’aggressione diventa una coazione a ripetere”.
In un testo che ruota intorno ad atti imperdonabili, “è un fare i conti tra memoria e dimenticanza: ricordare perché non si ripeta, scordare quel tanto che basta perché la memoria non riproponga il lacerante dolore dell’esperienza vissuta”.
Proprio per questo, anche a dieci anni di distanza, il testo è ancora attuale.
Carla Madeira affronta direttamente il tema della violenza contro le donne, e crede che parte della forza del romanzo stia proprio nell’opportunità che aveva dato di trattare il tema nel discorso pubblico in Brasile: “Penso che si stia verificando un allargamento della consapevolezza relativa alla violenza contro le donne. Parliamo, mostriamo, pesiamo e caratterizziamo questo tipo di violenza. La strappiamo alla normalità che l’ha sempre ricoperta. Accade di continuo, accade in ogni luogo, in ogni classe sociale, ma comincia a non poter contare più sull’omertà, il che è un grande passo in avanti. Il nervo è scoperto, non lo si può più silenziare”.
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Fotografia header: Carla Madeira nella foto di Cristina Cortez