Non soltanto di paura, ma persino di incredulità si muore; con uno stile “bizzarro” che si alterna fra i generi, nella raccolta di racconti weird “Coniglio maledetto” Bora Chung, autrice sudcoreana, accompagna in preda all’incubo, suscitando quel medesimo spaesamento che altrettanto colpisce di fronte ai capolavori del surrealismo letterario (come “Il Naso” di Nikolaj Gogol o “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov)…
Non soltanto di paura, ma persino di incredulità si muore; dei vari racconti brevi che tutti insieme definiscono l’universo di Bora Chung – incidenti, pestilenze e stregonerie comprese – è di certo nel “bizzarro” che al meglio si esprime la poetica di Coniglio maledetto (La Tartaruga, traduzione di Andrea De Benedittis).
E non che di sangue non ne scorra in abbondanza; sebbene l’efferatezza delle trame lasci intendere una prevalenza dell’elemento horror, è piuttosto nella contaminazione fra i generi (fantasy, romance e soprannaturale) che l’opera si impone per trasgressione espressiva, suscitando nel lettore quel medesimo spaesamento che altrettanto ci colpisce di fronte ai capolavori del surrealismo letterario (come Il Naso di Nikolaj Gogol o Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov).
Ma quale il motivo di una tale assonanza?
Questo, è presto detto: insegnante di letteratura sovietica presso la Yonsei University oltreché traduttrice di romanzi slavi nella madrelingua coreana, la candidata al National Book Award 2023 riscopre nell’astrazione russa (oggi nella speculative fiction) la distanza perfetta per discutere di problematiche, le più dibattute nella propria cultura di appartenenza (dal patriarcato al capitalismo, dalla lotta di classe alla disoccupazione).
Come ad esempio in Mestruo, una parabola anticonformista in cui una donna che non trova marito (e quindi incalzata dalla pressione sociale) rimane alfine incinta di se stessa; o così in Testa, la novella – che sembra un manwha – in cui un esserino senza corpo, ma nutrito dagli scarti biologici del consumismo, attende che gli crescano gli arti per costruirsi una propria individualità.
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Ma è soprattutto in Coniglio maledetto – una revenge-story sull’inversione dei meccanismi produttivi – che l’intera opera si spalanca alla visione; costretto a dismettere l’attività di famiglia quando una grande azienda si impone sul mercato grazie a favori politici, un anziano distillatore si suicida per disperazione; per vendicarne la memoria, un fabbricante di oggetti maledetti – che è puranche un suo amico di gioventù – costruisce una lampada a forma di coniglio che poi provoca la morte di chiunque l’accarezzi (oltreché l’invasione di moltissimi leprotti assassini).
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E se tanto buon nonsenso alla fine non bastasse, ecco allora una fiaba popolare: in Cicatrici (il racconto più lungo dei dieci) un orfano senza nome sconfigge un mostro dagli aculei appuntiti; divenuto egli pure un mostro (o forse semplicemente un adulto) distrugge per errore il villaggio in cui era nato, cancellando così ogni ricordo della propria infanzia. Sí, perché qualsiasi evento (sembra dirci l’autrice) è tanto possibile quanto il suo esatto contrario; e se prima sussultiamo per l’ennesima stravaganza (tipo in Incontro, riunione, nuovo incontro, con quel vecchio personaggio che girovaga per la piazza senza però arrivare in nessun posto), non possiamo che commuoverci sull’epilogo in cui tutto torna (trattasi comunque di una storia d’amore e guerra, un tema ancora vivo nella Seoul dei nostri tempi).
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“Io studio la realtà. Cerco di prendere spunto dai miei contemporanei per capire cosa stia succedendo nella loro vita di ogni giorno”, risponde l’autrice a chi le chiede da dove abbia origine questo stile che ha dell’incredibile, “anche la Storia aiuta, dal momento che abbiamo vissuto tanti momenti davvero difficili da spiegare. Provo a seguirne gli sviluppi, o semplicemente a portare il racconto lontano dalla realtà, nella direzione opposta. Ma per andare nella direzione opposta, devo comunque avere chiaro dove si trovi il piano reale. Non mi interessa esplorare un mondo alternativo perché la realtà è sempre più interessante, buona o cattiva che sia”.
Insomma, quasi che si tratti di un inno al risveglio (o alla presa di coscienza, o al potere dell’immaginazione), Bora Chung ci accompagna verso il sogno ma soltanto per lasciarci in preda all’incubo. E chissà che, con il libro aperto sul comodino, non ci osservi sbigottiti per l’ennesimo racconto che non sempre spiegazione ha. E ne sorrida di gusto.
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