“Io non lo so bene se inventando Febo io abbia soddisfatto un mio latente, atavico desiderio di avere un fratello. Insomma, Febo è una tale palla al piede, a volte, che no, non è che lo invidi ad Atena…”. Alice Basso parla della sua infanzia e dei personaggi della sua nuova serie in occasione dell’uscita del romanzo “Le ventisette sveglie di Atena Ferraris”
Mi sta succedendo una cosa molto divertente. Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo sta per uscire il mio libro numero dodici, Le ventisette sveglie di Atena Ferraris, e quando lo leggerete probabilmente sarà in libreria da pochi giorni; ora come ora però l’hanno letto in anteprima solo pochi addetti ai lavori, mi stanno sottoponendo le prime domande o interviste, e una domanda ha già iniziato a spiccare: “Quanto c’è di te nella protagonista?“.
È una domanda che tutti, ma veramente tutti gli scrittori, si sentono fare. (Credo anche quelli di fantascienza il cui protagonista è un piovrone radioattivo. Come nella famosa scena di Notting Hill, avete presente? Quando Hugh Grant inizia a prendere gusto a fingersi un intervistatore per Cavalli e segugi e chiede al comprimario del film di Julia Roberts se si sia identificato nel suo personaggio, e quello, stranito, gli risponde di no, essendo il personaggio “un robot cannibale” o qualcosa del genere – sto andando a memoria, e la mia memoria fa schifo). Però la cosa a me fa ridere perché negli ultimi cinque anni questa domanda era praticamente sparita dalle interviste. E ho il sospetto che sia successo perché Anita, la protagonista della serie che ho scritto appunto per gli scorsi cinque anni, era una strafichissima ventenne somigliante a una giovane Silvana Mangano. Ora che la nuova protagonista, Atena, è un’enigmista solitaria secchiona piena di stranezze psicologiche, improvvisamente è di nuovo plausibile trovare delle somiglianze fra me e lei. La mia autostima sta iperventilando in un sacchetto di carta. Ahah.
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Okay, scherzi a parte, giuro che sto per arrivare al punto.
Il punto è questo: trainate da questa (plausibile, eh) curiosità sulle somiglianze fra me e il mio personaggio, già tre persone mi hanno chiesto se io abbia un fratello. Perché Atena, la protagonista del libro, ha appunto un fratello, anzi addirittura un gemello, Febo, che è anche fondamentale per la trama del libro, visto che si caccia in guai da cui chiede ad Atena di tirarlo fuori.
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Io sono figlia unica.
“Quindi ti sei inventata un fratello? E come hai fatto a descrivere il rapporto di Atena con suo fratello, se non ne hai uno?”
Be’, be’. La risposta alla seconda domanda è abbastanza semplice, quindi cominciamo dalle cose facili. Non credo che Tolkien abbia mai visto davvero un occhione di fuoco rotante in cima a una torre. O che i miei colleghi giallisti, quelli più sanguinari, siano capaci di scrivere di delitti perché hanno una pigna di cadaveri in cantina (almeno lo spero. Di qualcuno non mi sentirei di giurarlo). E le coppie di fratelli hanno anche il vantaggio di essere più facili da incontrare in giro di un serial killer o di un occhione di fuoco. Insomma: basta osservare. Impicciarsi e farsi spudoratamente i fatti degli altri. Dovrebbe essere parte integrante del lavoro degli scrittori (e degli agenti segreti: il confine a volte è flebilissimo).
Io ho osservato tanti fratelli, e mi sono sempre divertita. Mi fa super ridere vederli battibeccare, per esempio. Nessuno ha la battuta pronta quanto una persona che ha l’occasione di far fare una figuraccia al proprio fratello o sorella. Per esempio, ho visto creature placide ai limiti dell’amorfo trasformarsi in consumate cabarettiste quando si è trattato di sputtanare tragicamente il proprio fratello davanti a una ragazza su cui stava cercando di far colpo. Un paio di highlights dalla mia memoria:
– sorella di nove anni mostra orgogliosa i lunghi capelli biondi agli amici di famiglia con cui vuole fare bella figura: “Io me la farei, la doccia, tutti i giorni, ma con questi capelli così lunghi…”.
Fratello di undici anni, passando in quel momento e captando accidentalmente la conversazione: “Tu ti faresti la doccia tutti i giorni? Ho i miei dubbi”.
– Giorno delle nozze della sorella, il fratello è insieme allo sposo che ha appena finito di vestirsi.
Amico dello sposo: “Va’ che bello che sei!”.
Fratello della sposa: “Ma infatti, potevi pure trovare di meglio”.
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(Potrei andare avanti ma confido che nei commenti lo facciate voi, portando la vostra esperienza sicuramente traumatizzante.)
E poi però ‘sti due tizi che se ne sono dette di tutti i colori, in molti casi si sono persino picchiati fisicamente ai limiti dell’omicidio, quando la sorte lo richiede si rivelano la squadra più inossidabile e affidabile del mondo.
Non dico che accada sempre: esistono, certo, fratelli che non si sopportano e tagliano i ponti, e ancora più spesso fratelli che mantengono rapporti da decenti a buoni, ma mai buoni quanto ciascuno di loro li abbia con gli amici che si è scelto da solo. Però a me pare che, per essere persone messe l’una accanto all’altra dalla sorte e che, appunto, non si sono scelte volontariamente, i fratelli che fanno squadra in maniera sincera e affettuosa siano davvero tanti.
Quand’ero piccola mi chiedevano se volessi un fratellino e io, sdegnosissima, di solito reagivo mostrando con un gesto delle paffute bracciotte la mia grande e comodissima – ma la parola chiave era mia – cameretta. Andiamo, stolti. Nessun imperatore vuole dividere il proprio regno. Perché dovrei avere il letto di un tizio che frigna e a cui puzzano i calzini là dove ora può stare il mio tavolo da disegno? E poi a me giocare da sola piaceva. Un fratello mi avrebbe solo interrotta o distratta, che palle. E poi perché mamma e papà avrebbero dovuto volere un altro tizio in casa, quando avevano già me? Di chi cavolo avrebbero mai dovuto sentire la mancanza?!
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Poi col tempo le cose cambiano un filo. Quando diventi adolescente e ti farebbe tanto piacere avere un fratello o una sorella maggiori a spianare la strada delle tue richieste o a introdurti in gruppi di amici più grandi. Quando avresti bisogno di un confidente che già sapesse tutto, ma veramente tutto di te, risparmiandoti l’imbarazzo di essere tu a raccontare il peggio del tuo passato per avere delle opinioni ponderate. E poi naturalmente – grande classico – quando i genitori invecchiano e iniziano ad avere bisogno di più assistenza (a me, in quanto appunto figlia unica, è stato fatto notare più volte: “Guarda che piuttosto che avere certi fratelli è meglio essere soli”, ma ho il sospetto che sia un argomento che persone gentili sfoderano per rendere meno acuto il tuo rimpianto per qualcosa che tanto non è accaduto e per cui non puoi fare niente).
Io non lo so bene se inventando Febo io abbia soddisfatto un mio latente, atavico desiderio di avere un fratello. Insomma, Febo è una tale palla al piede, a volte, che no, non è che lo invidi ad Atena. Però una volta, quando ero in prima elementare, facevo i conti e ho detto a mia madre: “Tu e papà vi siete sposati ben cinque anni prima di avere me! Cosa cavolo avete fatto per quei cinque anni?! Vi sarete annoiati tantissimo!” (sì, questo è il livello di egocentrismo a cui una figlia unica può arrivare).
Mia madre ha valutato che fossi abbastanza grande per ricevere una risposta sincera e, col modo di fare calmo e sensato che aveva lei, mi ha detto: “In realtà tu avresti potuto avere un fratellino più grande“. (Non so neanche perché vi sto raccontando questa cosa. Ora che la sto scrivendo mi sembra tremendamente privata. Però non c’è niente di male e non è mai stata un segreto.)
Io le ho chiesto subito come l’avrebbero chiamato e lei mi ha risposto “Gabriele“, che è un nome che mi è sempre piaciuto, anche prima di saperlo. Non fatevi i film. Non ho iniziato a parlare con un fratellino fantasma di nome Gabriele, nemmeno nella mia testa. Però confesso che qualche volta, nel corso degli anni, mi è capitato di pensare: “Chissà come sarebbe andata questa faccenda, se ci fosse stato un Gabriele“.
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Probabilmente avrei imparato prima un sacco di parolacce e avrei iniziato prima a festeggiare il Capodanno fuori con gli amici, e l’avrei osservato mentre imparava a guidare la macchina, e le sue fidanzate mi avrebbero adorata e lui avrebbe avuto il terrore atroce di lasciarle da sole con me e con la mia collezione di aneddoti imbarazzanti su di lui. Sarebbe potuto essere divertente, avere un Gabriele.
Eh be’. Adesso abbiamo Atena, e con lei abbiamo un Febo. Vediamo un po’ come se la cavano.
E nel frattempo mi aspetto di ricevere dei messaggi da un sacco di fratelli o sorelle di mia conoscenza: “Aspetta, ma la scena di pagina XY non l’avrai mica vista fare a noi?!“.
L’AUTRICE E IL NUOVO ROMANZO – La scrittrice Alice Basso è nata nel 1979 a Milano. Lavora per diverse case editrici, e vive in un ridente borgo medievale fuori Torino.
Con Garzanti Alice Basso ha esordito con le avventure della ghostwriter Vani Sarca (L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome, Scrivere è un mestiere pericoloso, Non ditelo allo scrittore, La scrittrice del mistero e Un caso speciale per la ghostwriter); nel 2020 è poi uscito Il morso della vipera, il primo capitolo di una nuova serie, ambientata nell’Italia degli anni ’30, con protagonista il personaggio di Anita; nel 2021 è stata la volta de Il grido della rosa e nel 2022 è poi stata pubblicata una nuova avventura della stessa serie, Una stella senza luce; nel 2023 è arrivato in libreria Le aquile della notte, con un ritorno di Anita e degli anni ’30. La serie si è quindi chiusa nei mesi scorsi con Una festa in nero.
Nel frattempo, Alice Basso (anche collaboratrice del nostro sito – qui le sue autoironiche riflessioni) ha debuttato nel mondo della narrativa per ragazzi con I fratelli difendieroi (sempre proposto da Garzanti).
Ora arriva in libreria Le ventisette sveglie di Atena Ferraris, che segna il debutto di una nuova serie e di una nuova protagonista, che si presenta così: “Mi chiamo Atena Ferraris e mi sa che non sono come gli altri, inutile girarci intorno. Mia madre mi ha sempre detto che siamo tutti diversi, e quindi è come se fossimo tutti uguali. Non ne sono convinta, ma mi fido di lei. Ho trent’anni, vesto fuori moda e odio le sorprese. E ho ben ventisette sveglie ogni giorno per ricordarmi di lavorare, di mangiare, di andare a letto, di smettere di pensare. Soprattutto faccio troppe domande, dicono. Perché per me è essenziale che ogni cosa abbia una spiegazione. Per questo dirigo una rivista online di enigmistica dove ogni gioco, rebus o anagramma ha una soluzione univoca. Mi fa sentire al sicuro. So che siamo in pochi a ragionare così. Ora, però, è successo qualcosa che ha scombinato le carte. Tutta colpa del mio fratello gemello. Febo è uno scrittore in crisi e, per ritrovare l’ispirazione, si caccia nei guai più assurdi. Al momento, per esempio, si è iscritto a una scuola di magia. Sembrerebbe una cosa innocua, se non fosse che, fra giochi di prestigio e illusioni, è inciampato in un mistero vero, di quelli che scottano. Mi ha supplicata di aiutarlo, dice che ha bisogno della mia capacità di vedere particolari che gli altri non notano. E così eccomi costretta a uscire di casa, a conoscere persone nuove e ad avere conversazioni normali. Ma forse è quello che ci vuole: forse è arrivato il momento di mettersi in discussione e capire se mia madre ha detto la verità sul mio modo di essere. A volte bisogna uscire dal guscio per capire chi si è davvero…”.
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