Con “Maniac” Benjamín Labatut si serve della matematica e della fisica per realizzare un esperimento calamitante, un trattato multidisciplinare con la scorrevolezza di un page turner. Dopo il successo di “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, l’alchimista cileno torna a narrare ombre e luci della storia umana attraverso la figura del calcolatore, della macchina “pensante”. Un’innovazione che diede vita, a partire dallo stesso momento, a due invenzioni tra loro diametralmente opposte: l’intelligenza artificiale e la bomba atomica…

“È spaventoso il modo in cui funziona la scienza. Pensateci per un secondo: la più creativa e la più distruttiva delle invenzioni umane comparvero esattamente nello stesso momento”.

Proprio la scienza, nelle sue molteplici sfaccettature, torna a essere protagonista indiscussa nell’ultima fatica di Benjamín LabatutManiac (Adelphi, traduzione di Norman Gobetti).

La nuova uscita segue la scia – e il successo – di Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi, traduzione di Lisa Topi), libro vincitore del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica del 2022.

Maniac di Benjamín Labatut

Il tessitore di trame classe ’80 – reduce anche dalla vittoria del Premio Malaparte 2023 – torna ad addentrarsi nei meandri delle discipline più disparate, lasciando intravedere ombre e luci della storia umana. Nel farlo utilizza il solito paradossale – e per certi aspetti controverso – modus operandi: costruisce un’opera di finzione basata sulla realtà (come specificato dallo stesso autore nei ringraziamenti).

Una “romanticizzazione” della storia e una storicizzazione dell’immaginazione, del puro atto creativo.

Il tema cardine dell’ultima uscita dell’alchimista cileno? Il calcolatore, la macchina “pensante” capace di ergersi a divinità e di sfidare la limitatezza umana. Un’invenzione spartiacque che si è concretizzata, a partire dallo stesso momento, in due invenzioni tra loro opposte: l’intelligenza artificiale e la bomba atomica.

Creazione e distruzione, ordine e caos, razionalità e irrazionalità. Una dicotomia che detta l’ossatura di Maniac e che deve il suo sviluppo a una delle menti più geniali della storia: John von Neumann, l’alieno.

Il testo si apre in medias res, la mattina del 25 settembre 1933, con il matematico e fisico Paul Ehrenfest che entra nell’istituto pedagogico per bambini infermi del professor Jan Waterink e spara in testa al figlio quindicenne Vasilij, rivolgendo poi la pistola contro se stesso.

Il professore, alla disperata ricerca di quello che chiamava der springende Punkt, il punto saliente, si era infatti reso conto che la strada imboccata dalla fisica andava in una direzione diametralmente opposta al suo pensiero: l’intuizione concreta era assediata dall’etereo e impalpabile calcolo astratto. Al posto della materia, degli atomi e dell’energia iniziavano a serpeggiare astratte formule matematiche.

E accogliere l’irrazionale significava porre a repentaglio l’intero tessuto dell’esistenza, ammettere una visione in cui la razionalità finiva per confondersi col suo contrario, come un uroboro che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine.

“Paul, che tutta la sua fede l’aveva riposta nella fisica, si sentiva abbandonato, estromesso da un paradiso che, a causa della crescente influenza della meccanica quantistica e dell’inarrestabile diffusione della piaga della matematica, si stava ritirando in un’oscurità ancor più cupa dell’abisso all’interno degli atomi”.

Partendo da questo excursus sulla “crisi della fisica” e scrutando attraverso uno spioncino i grandi geni del passato, Labatut trasporta lettori e lettrici nella vita di uno dei più illustri scienziati e pensatori della storia: Neumann János Lajos, noto anche come John von Neumann.

“A questo mondo ci sono due tipi di persone: Jancsi von Neumann e il resto di noi” sono le parole (fittizie o meno, sta al lettore – come di consueto nei testi di Labatut – indagare) del fisico e matematico Eugene Wigner, premio Nobel per la fisica nel 1963. Un alieno tra i comuni mortali, un wunderkind, un vero mensch: questo il parere dei grandi protagonisti della scienza nei confronti di John.

Per gli affetti e i legami più stretti, a cui lo scrittore cileno dona vita e parola come un abile ventriloquo durante intimi confessionali, è invece un uomo come gli altri. Forse addirittura inferiore, in quanto limitato e ingabbiato dal proprio genio. “Quell’uomo non sapeva neanche allacciarsi le scarpe” racconta infatti con disprezzo Klára Dán, la donna che deve convivere con la sua inettitudine mascherata da superpotere.

John è convinto, allo stesso modo di Ehrenfest, che le leggi scientifiche debbano fondarsi sulle immutabili verità della matematica, da sempre brandita come una torcia, vera luce della ragione, abbagliante e incontestabile. Un lume che sfrutta, carpendone ogni possibile aspetto ad una velocità disumana, per dar forma al suo calcolatore.

L’alieno vuole infatti costruire la macchina che Alan Turing aveva teorizzato in un articolo del 1937: un calcolatore universale (o “macchina di Turing“) capace di generare un’intelligenza oltre l’uomo. L’ingrediente segreto per riuscirci? La fallibilità umana. Turing riteneva infatti necessaria la casualità, che avrebbe svolto un ruolo importante nelle macchine intelligenti permettendo reazioni inedite e imprevedibili.

Da questo controintuitivo assunto nasce la macchina di von Neumann: il Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer. Ovvero il MANIAC.

Una genesi che si intreccia alle vicende del grande Robert Oppenheimer (a cui Christopher Nolan ha recentemente dedicato un film, basato sulla monumentale biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin che nel 2006 ha ricevuto il Premio Pulitzer: Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica – Garzanti, traduzione di Emanuele Vinassa De Regny), del già citato Alan Turing (che fu sul punto di diventare l’assistente di Jancsi, e di cui è stata trattata la vita in Alan Turing – Storia di un enigma – Bollati Boringhieri, traduzione di David Mezzacapa) e dello “scienziato pazzo” Nils Aall Barricelli (che puntava a creare la vita attraverso la macchina). Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove il calcolatore si è sviluppato a tal punto da sfidare l’uomo…

John von Neumann

John von Neumann, credit foto: Getty Editorial

Labatut, raccogliendo le briciole sparse dalla storia e riorganizzandole in un quadro ampio e arioso, con un pirotecnico salto temporale passa dal MANIAC al gioco del go. Un gioco antichissimo dove, partendo dal nulla, si aggiungono su una scacchiera il nero e il bianco, in modo tale che i due giocatori, attuando spietate strategie belliche, creino insieme un’opera d’arte.

Il maestro di quest’arte? Lee Sedol, la Pietra Forte, il giocatore più creativo della sua generazione e l’unico essere umano ad aver mai sconfitto in una sfida ufficiale un sistema di intelligenza artificiale avanzata. Il suo caratteristico stile, focoso, violento e imprevedibile, all’inizio del 2016 viene messo alla prova da AlphaGo, sistema di intelligenza artificiale partorito della mente di Demis Hassabis.

Uno scontro che passerà alla storia per diverse intuizioni della macchina (come la celebre mossa 78), geniali nella loro pressoché totale irrazionalità e imprevedibilità. Due caratteristiche propriamente umane, che la macchina ha dovuto far proprie per ergersi ad avversario – quasi – imbattibile…

Con Maniac Benjamín Labatut si serve della matematica, della fisica e dell’intelligenza artificiale per realizzare un esperimento calamitante, un trattato multidisciplinare con la scorrevolezza di un page turner.

L’autore, con una scrittura che si muove tra i grandi paradossi della storia facendosi a sua volta paradossale, attinge dalle immagini dei grandi personaggi di un passato più o meno prossimo come se fossero polverosi ritratti di album fotografico in bianco e nero.

Dei ricordi sbiaditi che collega e rifinisce con vispe e sature pennellate, facendosi demiurgo di un mondo in bilico tra realtà e immaginazione.

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Fotografia header: Benjamín Labatut, nella foto di Cristóbal Palma

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