Rie Qudan, vincitrice del Premio Akutagawa 2023 (uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari in Giappone), in un’intervista a ilLibraio.it svela i retroscena del suo ultimo romanzo, “Tokyo Sympathy Tower”, un’opera di fantascienza che esplora il tema della compassione e dell’umanità, scritta (in parte) confrontadosi con ChatGPT. Qudan racconta il suo processo creativo, le sfide e i rischi legati alla collaborazione con un’intelligenza artificiale e, soprattutto, riflette su cosa significa oggi essere scrittrici e scrittori: “Molti credono di non essere portati per la scrittura, ma se l’IA potesse offrire anche un minimo aiuto, forse si renderebbero conto di avere un potenziale inespresso. Per creare qualcosa, a volte basta solo una piccola scintilla…”
Qual è il posto di chi commette un crimine? Esiste uno spazio, mentale e fisico, per chi ha infranto il patto di civiltà che definisce la nostra società? Che ruolo hanno la dignità e il rispetto nel ritagliare i nuovi confini della vita di un criminale?
Secondo Makina Sara, la protagonista di Tokyo Sympathy Tower (L’Ippocampo, traduzione di Gala Maria Follaco), la risposta è quasi scontata. Quel posto, lo spazio dedicato a chi è condannato, deve essere il migliore del mondo.
È per questo che tramite la definizione di Homo Miserabilis, Rie Qudan riscrive il presente e il futuro del Giappone, identificando nella società la radice da cui tutto ha inizio: i criminali sono uomini e donne che meritano pietà perché è il contesto in cui sono nati ad aver definito il loro destino. Diventano quindi vittime e la loro colpa una responsabilità condivisa.
Il romanzo segue le vicende dell’architetta Makina Sara, progettista della Tōkyō to dōjōtō, la Tokyo Sympathy Tower, una torre dall’estetica superba, progettata per essere il posto più bello della città e per essere un punto di osservazione speciale per chi di quella società non fa più parte. I criminali vengono ospitati nella torre e hanno diritto a tutti i privilegi che la struttura mette loro a disposizione, ma non possono uscire. La loro libertà è sospesa, ma la dignità che viene loro riservata è quella che meritano per essere stati traditi dal contesto in cui sono nati.
Nelle pagine di Tokyo Sympathy Tower, Rie Qudan (vincitrice del Premio Akutagawa 2023, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari in Giappone) riesce a racchiudere una serie di riflessioni che mischiano la natura semantica delle parole, il loro tratto grafico, con la loro versatilità, con il pragmatismo necessario per il loro utilizzo.
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L’intelligenza artificiale ricopre un ruolo rilevante in tutto questo. La fermezza e la pulizia dei messaggi che la protagonista scambia con il modello di IA generativa con cui interagisce, sembrano voler creare dei punti fissi nel maremoto di pensieri che definisce Makina Sara. L’autrice ha dichiarato di aver utilizzato ChatGPT per i dialoghi tra Sara e l’IA nel suo romanzo, ma è proprio alla sua protagonista che affida l’unico giudizio sullo strumento: “Odio quel suo modo di fare mansplaining, quando inizia a spiegare cose che non ho nemmeno chiesto… Non importa quanto sia capace di imparare, non ha la forza di affrontare le proprie debolezze. È così abituato a farla franca rubando le parole altrui che né dubita né si vergogna della sua ignoranza”.
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Tokyo Sympathy Tower è un romanzo in cui i temi si susseguono al ritmo vertiginoso della modernità, le riflessioni corrono alla stessa velocità delle connessioni virtuali, ed è proprio questa rapidità a rendere impossibile un giudizio definitivo su tutte le domande poste. Sara si muove nella sua storia spiegando, ponendo i suoi dubbi, ma non cerca mai risposte definitive. La protagonista non ha soluzioni, ma ha molte domande ed è per questo che la sua storia riesce a essere profondamente ancorata alla nostra realtà attuale nonostante sia ambientata in un futuro distopico.
Per approfondire il suo lavoro e la genesi di questo romanzo abbiamo intervistato l’autrice.

Rie Qudan nella foto di ©SHINCHOSHA
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Rie Qudan, da dove nasce Tokyo Sympathy Tower?
“Nel 2022 in Giappone si è verificato un evento scioccante: l’ex Primo Ministro Shinzo Abe è stato assassinato a colpi di arma da fuoco durante un discorso elettorale. Ciò che ha particolarmente attirato l’attenzione sui social media è stata la reazione del pubblico, che ha mostrato empatia nei confronti dell’assassino”.
In che modo?
“Quando è emersa la sua storia personale, caratterizzata dal fatto di essere un ‘fedele di seconda generazione’ di un movimento religioso, molti hanno iniziato a difenderlo, spesso usando il termine gergale oyagacha (un’espressione diffusa online per descrivere, in modo fatalista e autoironico, come il talento innato e l’ambiente familiare dipendano esclusivamente dal caso). Questa tendenza a provare empatia per chi commette crimini non è un fenomeno isolato: ho osservato diversi altri casi simili. Ma dovremmo davvero provare compassione per i criminali? Ho voluto riflettere personalmente su questa questione, al di là del romanzo”.
E come è arrivata alla scrittura?
“Per quanto ci pensassi, non riuscivo a trovare una risposta chiara. È proprio per questo che ho deciso di parlarne in questo libro. Credo, infatti, che il vero valore della letteratura risieda nel continuare a esplorare problemi complessi e privi di risposte definitive”.
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Come ha definito il concetto di Homo Miserabilis?
“Per quanto riguarda il termine Homo Miserabilis, ho tratto ispirazione da tre opere: Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita di Giorgio Agamben, Homo Deus. Breve storia del futuro di Yuval Noah Harari e I Miserabili di Victor Hugo. Homo Sacer è un libro d’impatto che analizza la condizione dell’essere umano in uno stato di eccezione e privato della propria umanità. Questa idea mi è stata molto utile anche per sviluppare il concetto di ‘stato di eccezione’ all’interno del romanzo”.
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In Tokyo Sympathy Tower sembra esserci un nesso tra matematica, architettura e linguaggio. Da dove nasce questo legame e fino a dove si spinge?
“Fin da bambina, ho avuto un forte interesse per il linguaggio e la comunicazione. Per me, esplorare il modo in cui le parole plasmano la realtà è diventato un vero e proprio progetto di vita, e la scrittura di romanzi ne è una naturale espressione. Architettura e linguaggio condividono una caratteristica fondamentale…”.
Quale?
“In entrambi i casi si tratta di proiezioni concrete della mente umana. La creazione di nuove parole e la costruzione di nuovi edifici hanno il potere di trasformare il pensiero umano e di modificare il nostro modo di percepire il mondo”.
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E la matematica invece?
“Non posso dire di comprenderne a fondo l’essenza, poiché non è una disciplina in cui eccello. Tuttavia, mi affascina profondamente il suo tentativo di individuare un ordine e delle leggi all’interno di questo mondo caotico. In un certo senso, considero la matematica una forma di linguaggio”.
Quindi la matematica è una forma di comunicazione?
“Sì, c’è però una differenza fondamentale: mentre il linguaggio è fluido e muta costantemente sotto l’influenza dei valori e delle prospettive del tempo, la matematica possiede una natura più oggettiva e universale. Il rapporto tra soggettività e oggettività, tra high-context e low-context, è un tema che mi affascina e che desidero esplorare ulteriormente. In definitiva, architettura, linguaggio e matematica condividono il desiderio fondamentale e la curiosità umana di conoscere il mondo”.
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Che ruolo ha l’IA all’interno dell’opera?
“Il ruolo dell’IA, o AI-built, all’interno del romanzo è quello di mettere in evidenza l’impossibilità, per l’uomo moderno, di sfuggire all’influenza dell’intelligenza artificiale e della tecnologia. I personaggi finiscono per interiorizzare inconsciamente le risposte dell’IA, rendendo sempre più difficile per loro pensare in modo autonomo o percepire liberamente la realtà. Se l’essere umano non fosse più in grado di elaborare un pensiero indipendente, cosa lo distinguerebbe davvero da un’IA? AI-built svolge un ruolo chiave nel mettere in discussione l’’esattezza’ dell’IA e il suo senso dei valori superiore”.
Quale ruolo ha avuto nel processo di scrittura?
“Nel processo di scrittura, ho ricevuto un grande supporto dall’IA generativa, in particolare da ChatGPT. Durante una conferenza stampa, ho dichiarato di aver utilizzato l’IA per il 5% della mia opera. Tuttavia, dopo aver ricevuto numerose domande dai media a seguito di questa affermazione, mi sono resa conto della necessità di precisare meglio la questione: in realtà, le risposte di AI-built nel romanzo sono citazioni dirette di ChatGPT. Ma, paradossalmente, il contributo più significativo dell’IA alla mia scrittura non è stato nelle risposte che ha generato. È stata piuttosto l’esperienza stessa di interagire con un’entità non umana a ispirarmi profondamente”.
In che modo?
“È stato, per me, un vero e proprio ‘incontro con l’ignoto’. Inizialmente, la consideravo solo un giocattolo, un software bravo a imitare gli esseri umani. Ma man mano che passavo più tempo a dialogarci, ho iniziato a percepirla come una tecnologia straordinaria e, allo stesso tempo, inquietante. Straordinaria e inquietante: questa dualità dell’IA mi affascina enormemente, probabilmente per la stessa ragione per cui mi attraggono le persone complesse e contraddittorie”.
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Le piacerebbe continuare ad esplorare questo campo?
“A marzo verrà pubblicato un mio nuovo racconto breve, nato da una proposta particolare: scrivere un’opera in cui il 95% del testo fosse generato dall’IA. Anche l’intero processo di creazione, inclusi i prompt utilizzati, sarà reso pubblico. Durante la stesura di questo racconto, ho riflettuto sul fatto che l’IA potrebbe avere un ruolo nel risvegliare il nostro desiderio creativo latente”.
Cioè?
“Quando dico agli altri che sono una scrittrice, spesso mi sento dire: ‘Incredibile, devi avere un grande talento.’ Ma io non scrivo romanzi perché ho talento. Scrivo semplicemente perché ho imparato a digitare sulla tastiera del computer un po’ più velocemente di altre persone. Molti credono di non essere portati per la scrittura, ma se l’IA potesse offrire anche un minimo aiuto, forse si renderebbero conto di avere un potenziale inespresso. Per creare qualcosa, a volte basta solo una piccola scintilla”.
E, in questo, l’IA che ruolo avrebbe?
“L’IA potrebbe rappresentare proprio quella scintilla. Personalmente, mi identifico molto con la concezione aristotelica della felicità, che la descrive come il raggiungimento della propria realizzazione personale. Se, in futuro, sempre più persone si dedicassero alla scrittura non per il successo commerciale, ma per il piacere e la realizzazione personale, sarebbe meraviglioso”.
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