“Lo yoga continua a essere nella nostra percezione di occidentali contemporanei due cose molto diverse tra loro: una semplice attività fisica, un modo di mantenersi in forma o di rilassare la mente, e una porta d’accesso a tutto un mondo fatto di spiritualità. 
Yoga è, in questo secondo senso, e come mi ripete mio padre da anni, qualcosa che non può ridursi a una pratica fisica da svolgere sul tappetino, ma un’attività che dobbiamo praticare nella vita d’ogni giorno. Un’attenzione a ciò che ci circonda e a noi stessi. Yoga in questo senso è anche scrivere un romanzo. Ed è quello che in definitiva afferma anche Emmanuel Carrère” – In occasione dell’uscita di “Padre occidentale. L’ineffabile origine dello yoga”, su ilLibraio.it la riflessione dell’autore, Simone Lisi

Esce il 16 giugno per la casa editrice effequ il mio secondo romanzo, Padre occidentale. L’Ineffabile origine dello yoga. La storia racconta degli uomini e delle donne che negli anni Sessanta e Settanta portarono per primi lo yoga in Italia e in particolare a Firenze; o per meglio dire da questa ricerca il libro prende le mosse per poi arrivare a parlare di tutt’altro, toccando temi quali il rapporto tra un padre e un figlio e il concetto d’identità personale.

Per un caso abbastanza fortuito l’uscita del mio romanzo coincide o quasi con l’uscita in Italia di Yoga di Emmanuel Carrère, scrittore che amo molto e che considero uno dei maggiori tra i viventi oggi in Europa. Tuttavia il il libro di Carrère ha un approccio speculare al mio: Carrère dice in avvio del suo libro che voleva scrivere un “romanzetto” sullo yoga e poi gli accidenti della vita lo hanno portato a scrivere tutt’altro. Per me è stato esattamente l’opposto: non volevo assolutamente scrivere di yoga e poi però il tema ha preso il sopravvento e mi sono fatto coinvolgere in prima persona, così che alla fine ho scritto un libro che parla (anche) di questo argomento.

Chiaramente tra me e Carrère non c’è rischio di concorrenza, giochiamo in campionati differenti. C’è un debito nella mia scrittura nei confronti dell’autore francese? Sì, specialmente per quanto riguarda il tema dell’auto-fiction, o come preferisco chiamarla io “non-fiction”, ma credo che per questo mio romanzo il debito maggiore sia piuttosto nei confronti di un altro francese, ovvero Michel Houellebecq e in particolare a quello de Le particelle elementari. In quel romanzo, che io considero in un certo senso il White album della mia generazione, lo scrittore affronta il rapporto di un figlio con i suoi genitori hippie, collocandosi su un piano di cinismo e di disillusione. 
Nel mio Padre occidentale, il rapporto del figlio nei confronti dei genitori fricchettoni è ugualmente scettico, sebbene niente affatto cinico, ma piuttosto ironico e certamente amorevole.

I protagonisti della storia sono Silvio Brunelli, un personaggio che a tratti mi somiglia molto, e il padre Aldo, insegnante di yoga – professione che in effetti è la stessa che esercita mio padre Andrea. Tuttavia gli elementi di aderenza con la realtà che pure vi si potrebbero scorgere sono secondari, funzionali a una riflessione che si allontana sia dal semplice diario personale sia dalla ricostruzione storica e prova a descrivere e tratteggiare delle atmosfere esistenziali specifiche e al contempo universali.

Lo yoga è un argomento che mi sta molto a cuore perché fa parte della mia storia sin da piccolissimo: è sempre stato un tema presente in casa mia e alle cene di famiglia. A voler essere esatti lo yoga nella mia famiglia è stato più che un semplice “argomento”, è stato qualcosa che ha definito e costituito le nostre abitudini, dalle vacanze estive nei campeggi fricchettoni in Calabria, ai fine settimana bucolici con compagnie quantomeno originali.

Sebbene a quell’epoca non mi sembrasse così, posso oggi affermare che la mia era famiglia era tutto sommato normale e dallo stile di vita non così dissimile a moltissime altre famiglie borghesi occidentali degli anni Novanta. Si può infatti collocare in quegli anni un rinverdire (dopo la prima fioritura negli anni Settanta) di teorie new-age che vanno dal culto di Osho ai massaggi shiatsu, dal Reiki alla cucina macrobiotica, da Gurdjieff ai tarocchi, dall’astrologia agli indiani d’America e, naturalmente, allo yoga.

Come è stato possibile, mi chiedo oggi, che a quell’epoca coesistessero la new-age e l’ascesa del berlusconismo? Striscia La Notizia e le 101 storie zen lette prima di addormentarmi? 
Forse oggi, a trent’anni di distanza da allora, posso arrischiarmi ad affermare che quelle due erano facce della stessa medaglia.

Lo yoga odierno è, rispetto a quando ero bambino, molto cambiato. O meglio, non è cambiata la millenaria pratica dello yoga, ma la percezione che ne abbiamo nella nostra società. È un fenomeno che si è ormai storicizzato e normalizzato: non è più qualcosa di esotico o di alternativo come lo era un tempo, ma, all’opposto, è una pratica diffusa a tutti i livelli sociali e tra persone giovani e anziane. Oggi, a differenza degli anni Sessanta e Settanta e anche a differenza degli anni Novanta, lo yoga sembra assumere i tratti di un prodotto importato non tanto dal subcontinente indiano dove è nato quanto di una moda filtrata dagli Stati Uniti.

Arriva dunque in Europa, lo yoga, portando solo minuscole tracce dello spiritualismo che lo contraddistingueva in India, certamente semplificato e forse anche banalizzato quasi fino a ridursi talvolta a una semplice ginnastica. A conferma di quanto dico, lo yoga oggigiorno è spesso associato alla pratica del Pilates, che è invece una ginnastica correttiva inventata agli inizi del Novecento da un americano di origine tedesca. 
Lo yoga degli anni Sessanta e Settanta che si praticava in Italia, da questo punto di vista, era qualcosa di certamente più esotico e misterioso. I viaggi in India, i libri di studio, i maestri, erano merce rara o rarissima rispetto a oggi che internet ci ha reso questo tipo di conoscenze più accessibili, ma paradossalmente, io credo, ha fatto aumentare ulteriormente la distanza tra noi e loro.

Così eccoci oggi alla situazione attuale: sebbene la sua definizione non sia chiara e univoca (cos’è lo yoga?) resta il fatto che quasi tutti oggigiorno in Italia sanno cosa sia lo yoga e anzi si potrebbe affermare che il tappetino da yoga sia entrato di diritto nel paniere Istat degli italiani. Spendo ancora una parola su come lo yoga e una certa spiritualità siano stati fagocitati dal mondo tardo-capitalista (e qui chiarisco quel riferimento che facevo prima sulle due facce della stessa medaglia): non credo che sia solo la conseguenza del fenomeno secondo cui tutto ciò che è contro-culturale trapassa presto o tardi nella cultura mainstream, come per esempio è stato per certi fenomeni musicali tipo il punk o la musica indie, ma ritengo che lo yoga sia così diffuso e radicato in Occidente per due sostanziali motivi.

In primis perché svela le intime contraddizioni della nostra società. Afferma implicitamente che noi non stiamo bene. L’uomo occidentale borghese è sofferente. L’immagine di Christian Bale che nel celebre film American Psycho pratica i suoi esercizi mattutini non è lontana da quella del protagonista Ulrich del romanzo L’uomo senza qualità di Robert Musil, ed è poi la medesima di tutti gli uomini o donne occidentali che praticano yoga: in uno scenario in cui il mondo va letteralmente a scatafascio, questi tentano di esercitare un seppur minimo controllo sul proprio corpo e sulla propria mente (o sull’alimentazione, o su altro) come unico argine possibile rispetto all’inevitabile catastrofe.

Il secondo motivo per cui ritengo che lo yoga abbia avuto tutta questa presa in Occidente credo sia dovuto a una certa declinazione leggera (mi verrebbe da usare l’espressione “soft-power”) di questa pratica che, almeno fino a un certo punto, non richiede a chi decide di seguirla una completa messa in discussione del proprio stile di vita o dei propri valori, ma solo di dedicarvi una piccola porzione del proprio tempo.

Emmanuel Carrere Portrait Getty, giugno 2021

Emmanuel Carrère, foto da Getty

Rispetto a una religione o a un’ideologia politica che impone di sovvertire la vita, lo yoga sembra (quantomeno sembra) non chiedere di ridefinire la propria esistenza. 
Tuttavia ritengo che lo yoga come il buddismo come qualsiasi forma di credo a cui si aderisce in maniera consapevole, non concede sconti: non vi si può aderire parzialmente, ma impone di “lasciare il mantello” e di seguire interamente la via. O almeno questo è ciò che io credo, altrimenti si riduce a una semplice stampella o, ed è peggio, a una posa estetica.

Resta il fatto che lo yoga continua a essere nella nostra percezione di occidentali contemporanei due cose molto diverse tra loro: una semplice attività fisica, un modo di mantenersi in forma o di rilassare la mente, e una porta d’accesso a tutto un mondo fatto di spiritualità. 
Yoga è, in questo secondo senso, e come mi ripete mio padre da anni, qualcosa che non può ridursi a una pratica fisica da svolgere sul tappetino, ma un’attività che dobbiamo praticare nella vita d’ogni giorno. Un’attenzione a ciò che ci circonda e a noi stessi. Yoga in questo senso è anche scrivere un romanzo. Scrivere, per uno scrittore, è una maniera di praticare lo yoga. Ed è quello che in definitiva afferma Emmanuel Carrère nel suo ultimo romanzo.

Copertina del libro Padre occidentale di Simone Lisi

L’AUTORE E IL LIBRO – Simone Lisi (Firenze, 1985; in copertina, nella foto di Carlo Zei, ndr) è libraio e scrittore, da anni si trovano suoi racconti in antologie (tra cui Odi. Quindici declinazioni di un sentimento, effequ, 2017; e Vocabolario minimo delle parole inventate, Wojtek, 2020) e riviste (tra cui L’inquieto, Verde Rivista e numerose altre). È giurato del premio Prato Poesia e tra i fondatori della rivista In fuga dalla bocciofila. Nel 2018 ha pubblicato il romanzo Un’altra cena o di come finiscono le cose con effequ.

Ora torna in libreria con Padre occidentale. L’ineffabile origine dello yoga (effequ), un’indagine sull’arrivo dello yoga in Occidente che diventa la chiave dei rapporti tra generazioni. Quando in una palestra di yoga dei giorni nostri si presenta a lezione un anziano tassista dal portamento nobile, che dichiara di essere stato in un remoto passato allievo del primo maestro di yoga a Firenze, infatti, per i protagonisti di questo romanzo inizia la ricerca degli uomini che in origine diffusero lo yoga in Italia.

È così che il maestro Aldo e il figlio aspirante scrittore, nel corso della loro indagine perlopiù fallimentare, tramite un susseguirsi di deviazioni e sentieri interrotti, verranno a capire qualcosa in più sulla loro famiglia e su loro stessi. Sullo sfondo, una civiltà occidentale confusa e grottesca si mostra di volta in volta più oscura e inafferrabile. Portato avanti con autoironia, questo romanzo, che si muove tra l’indagine, la storia familiare e l’autofiction, ci restituisce con vivacità un’immagine peculiare dei rapporti padre-figlio e della società contemporanea, in cui non mancano occasioni di umorismo, sarcasmo e introspezione. Un libro per Chi cerca l’Emmanuel Carrère di Yoga in versione italiana, per chi ama la scrittura di Rachel Cusk o film come Caro diario di Nanni Moretti.

Fotografia header: Foto di Carlo Zei

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