Lo scrittore Damon Galgut ha vinto il Booker Prize 2021 con il romanzo “La promessa”, una saga familiare moderna proveniente dal Sudafrica – Su ilLibraio.it un estratto

Ha vinto il Booker Prize 2021 con il romanzo La promessa: stiamo parlando di Damon Galgut, scrittore sudafricano, 57 anni, che era già arrivato finalista al premio letterario più importante del Regno Unito per ben due volte.

A portarlo in Italia sono le edizioni E/O (con la traduzione di Tiziana Lo Porto), casa editrice che pubblicherà anche il libro di Mohamed Mbougar Sarr, autore senegalese che a sua volta ha appena vinto il premio francese Goncourt 2021.

Ma veniamo alla trama del romanzo, che secondo alcuni rimanda alla mente i testi di J.M. Coetzee, Premio Nobel per la letteratura 2003. Si tratta di una saga familiare moderna proveniente dal Sudafrica, che vede come protagonisti i membri della famiglia Swart, perseguitati da una promessa non mantenuta, dopo la morte della madre.

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A seguito del tragico evento, i tre figli della donna si sono persi di vista. Sono alla deriva: Anton, il ragazzo d’oro amareggiato dal potenziale inespresso che è la sua vita; Astrid, il cui potere sta nella bellezza; e la più giovane, Amor, la cui vita è plasmata da un nebuloso senso di colpa.

Ritrovandosi per quattro funerali nel corso di tre decenni, la famiglia in declino rispecchia l’atmosfera del Sudafrica: un’atmosfera di risentimento, rinnovamento e infine di speranza.

Copertina del romanzo vincitore del Booker Prize 2021 La promessa di Damon Galgut

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it un estratto:

È appena uscito dalla doccia quando squilla il telefono. Non è il suo appartamento, la chiamata probabilmente non è per lui e ci sono alcune persone che sta attivamente cercando di evitare, ma va avanti e risponde comunque.

Una sensazione che ha dentro, come il contorno di qualcosa. È Astrid. Riesce a sentire che è lei, anche se arrivano solo frammenti di parole. Forse chiama da quel suo nuovo cellulare, di cui va così orgogliosa, un mattone con i pulsanti inutile e pesante. Non è un’invenzione destinata a durare. Non riesco a capire cosa dici, le fa. Mentre parla si asciuga in salotto. Non puoi chiamare dal fisso?

Sibili e squittii. Mette giù il ricevitore, irritato. È una delle uniche due o tre persone che hanno il suo numero, ma ne fa un uso eccessivo. Astrid si è fatta carico dei silenzi della famiglia, è diventata messaggera e portatrice di notizie tra di loro. È un ruolo di cui ha bisogno e che la innervosisce, per il quale hanno bisogno di lei e che li innervosisce.

Anton si veste velocemente mentre aspetta. È mezzogiorno e il cielo di Johannesburg è impeccabile, anche se l’aria è pungente come in pieno inverno. Si sta infilando una maglia quando il telefono squilla di nuovo. Di nuovo le parole arrivano spezzettate, ma questa volta capisce che in realtà non sta parlando. La sente emettere uno strano suono. Quasi un piagnucolio.

Pronto? dice. Che succede? Lo dice proprio mentre una nuvola copre il sole, e nell’ombra che segue ha un’intuizione, come un imbuto lungo il quale riesce a vedere un’immagine luminosa e minuscola del futuro. Uno di quei momenti, difficili da spiegare, in cui il tempo sembra muoversi nella direzione sbagliata.

Quando infine parla, ascolta attentamente mentre lei gli dice ciò che lui già sa, non solo i fatti, il padre/stamattina/avvelenato/in quel terrario, ma anche la sua paura, sente chiaramente come se stesse descrivendo il terrore sconvolgente di Astrid che quello che gli è successo accada anche a lei. Come se il destino fosse contagioso. Non ci pensi abbastanza, dice, quando finalmente lei tace.

Che cosa?
Ecco perché sei così spaventata. Per venire a patti con qualcosa di cui hai paura, devi immaginarlo abbastanza.
Di cosa ho paura?
Della morte.
Ma non è morto, dice, iniziando a fare di nuovo quel suono piagnucolante. Non ancora. Anche questo fa parte dell’immagine che ha visto, una piccola finestra sul futuro. Ma al momento tutto quello che sanno con certezza è quello che lei gli ha detto, che Pa è privo di sensi in terapia intensiva all’ospedale H.F. Verwoerd di Pretoria.

Sto andando proprio adesso con Dean, dice Astrid.
Bene.
E poi cala il silenzio, con una domanda sottesa.
Non lo so, dice alla fine Anton. Parlando forse a se stesso, anche se lei lo interpreta diversamente.
È arrivato il momento, gli dice.
Non lo so. Devo pensarci.
Anton. È arrivato il momento.
Lo deciderò io, dice, arrabbiato ma quasi incapace di tirare fuori le parole. La sua voce è pallida, una voce fantasma. Non so se ci riesco.
Vieni a trovarlo. È privo di sensi, nemmeno devi parlargli.
Sono passati quasi dieci anni, Astrid.
Appunto! È abbastanza. Oh, non importa, fai come ti pare, comunque fai sempre come ti pare.
Dieci anni, quasi, durante i quali ha rotto tutti i rapporti, in cui ha passato cose terribili, lontano, ai margini. Ed è così che finisce, con lui che corre al capezzale del padre morso dal serpente, per ragionare su dov’è che tutto è andato storto? E qual è il punto? Dimostrare lealtà di sangue? Non lo amo. Lui non mi ama.

(continua in libreria…)

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