Perché non siamo ancora guariti dalla guerra? E cosa ci impedisce di immaginare un futuro di rispetto e non violenza? Su ilLibraio.it un estratto dalla riflessione del 1965 di Elsa Morante “Pro o contro la bomba atomica”, tratta da “Profezie bianche – Antologia del pacifismo: da Erasmo da Rotterdam a Gino Strada”, con un’introduzione di Nicola Lagioia

Pro e contro la bomba atomica

di Elsa Morante *

Ho sentito dire che qualcuno, al sapere in anticipo l’argomento da me scelto, ha mostrato una certa perplessità: come se, da parte mia, questa fosse una scelta, diciamo, curiosa. Invece, a me sembra evidente che nessun argomento, oggi, interessa, come questo, da vicino, ogni scrittore.

A meno che non si vogliano confondere gli scrittori coi letterati: per i quali, come si sa, il solo argomento importante è, e sempre è stata, la letteratura; ma allora devo avvertirvi subito che nel mio vocabolario abituale, lo scrittore (che vuol dire prima di tutto, fra l’altro, poeta), è il contrario del letterato. Anzi, una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.

Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel secolo Ventesimo, viviamo nell’era atomica.

E, veramente, nessuno lo ignora: tanto che l’aggettivo atomico viene ripetuto in ogni occasione, perfino nelle barzellette e sui rotocalchi. Ma, riguardo al significato pieno e sostanziale dell’aggettivo, la gente, come succede, se ne difende, per lo più, con una (del resto, perdonabile) rimozione. E anche quei pochi che riconoscono l’effettiva minaccia che esso significa, e se ne angosciano (e per questo, magari, vengono considerati dagli altri dei nevrotici, se non dei matti) anche quei pochi, però, si preoccupano piuttosto delle conseguenze del fenomeno che non delle sue origini, diciamo, biografiche, e dei suoi riposti motivi.

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(Parlo, si capisce, dei profani, quali suppongo la maggior parte di noi presenti.) Pochi, insomma, domandano alla propria coscienza (mentre proprio qui forse è la vera “centrale atomica”: nella coscienza di ciascuno):

“Ma perché un segreto essenziale (forse il segreto della natura) già avvertito fin dall’antichità in luoghi e epoche diversi, da popoli evoluti e avidi di conoscenza, è stato verificato, ritrovato fisicamente, appunto e soltanto nell’età attuale?” Non basta rispondere che nella grande avventura della mente, la seduzione scientifica ha sostituito quella immaginativa: pure avendo l’aria di una risposta, questa rimane ancora una domanda, che anzi rende più impegnativo il problema.

Ma nessuno vorrà fermarsi a credere che si tratti di un caso; e cioè che si sia arrivati a questa crisi cruciale del mondo umano solo perché, avendo, a un certo punto, l’intelligenza umana, sempre in cerca di nuove avventure, preso un sentiero buio fra altri sentieri bui, è capitato che i suoi stregoni-scienziati, in quel tratto, scoprissero il segreto. No: tutti sanno ormai che nella vicenda collettiva (come nella individuale) anche gli apparenti casi sono invece quasi sempre delle volontà inconsapevoli (che, se si vuole, si potranno pure chiamare destino) e, insomma, delle scelte. La nostra bomba è il fiore, ossia l’espressione naturale della nostra società contemporanea, così come i dialoghi di Platone lo sono della città greca; il Colosseo dei romani imperiali; le Madonne di Raffaello, dell’Umanesimo italiano; le gondole, della nobiltà veneziana; la tarantella, di certe popolazioni rustiche meridionali; e i campi di sterminio, della cultura piccolo borghese burocratica già infetta da una rabbia di suicidio atomico. Non occorre, ovviamente, spiegare, che per cultura piccolo borghese s’intende la cultura delle attuali classi predominanti, rappresentate dalla borghesia (o spirito borghese) in tutti i suoi gradi. Concludendo, in poche, e ormai, del resto, abusate parole: si direbbe che l’umanità contemporanea prova la occulta tentazione di disintegrarsi.

Si insinuerà che il primo germe di questa tentazione è spuntato fatalmente nel nascere della specie umana, e si è sviluppato con lei; e perciò quanto oggi avviene non sarebbe che la crisi necessaria del suo sviluppo. Ma questo non farebbe che riproporre l’ipotesi.

È nota, e ormai volgarizzata, la presenza simultanea nella psicologia umana dell’istinto di vita (Eros) e dell’istinto di morte (Thànatos). Perfino, a proposito di quest’ultimo, si potrebbe in teoria, cioè senza arbitrio logico, leggere le Sacre Scritture di tutte le religioni nell’interpretazione presunta che tutte, e non solo quella indiana, insegnino l’annientamento finale come l’unico punto di beatitudine possibile.

E difatti alcuni psicologi parlano di un istinto del Nirvana nell’uomo. Però, mentre il Nirvana promesso dalle religioni si guadagna per la via della contemplazione, della rinuncia a se stessi, della pietà universale, e insomma attraverso l’unificazione della coscienza, al suo maligno surrogato piccolo-borghese, inteso per i nostri contemporanei, si arriva appunto attraverso la disintegrazione della coscienza, per mezzo della ingiustizia e demenza organizzate, dei miti degradanti, della noia convulsa e feroce, e così di seguito.

Infine, le famose bombe, queste orchesse balene che se ne stanno a dormire nei quartieri meglio riparati dell’America, dell’Asia e dell’Europa: riguardate, custodite e mantenute nell’ozio come fossero un harem: dai totalitari, dai democratici e da tutti quanti; esse, il nostro tesoro atomico mondiale, non sono la causa potenziale della disintegrazione, ma la manifestazione necessaria di questo disastro, già attivo nella coscienza.

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Adesso non voglio certo opprimervi con una milionesima descrizione delle evidenze del disastro, nel loro spettacolo sociale quotidiano; il quale viene accusato e registrato continuamente in saggi, conferenze, trattati. E del resto è così vistoso e persecutorio che perfino i nostri poveri prossimi animali (cani, gatti, per non dire gli infelicissimi polli) ne avvertono sensibilmente lo strazio. No, vi risparmio questo quadro famigerato: tanto più che ho già il rimorso di essere venuta qui a intrattenervi con un argomento così tetro invece che con una bella fiaba (dato che certi affezionati si adoperano a smerciare i miei libri facendoli passare sotto una specie di fiabe!!!).

E tanto meno mi incarico di fare adesso una predica propagandistica contro la bomba (fra l’altro, con certi propagandisti di questo tipo ho delle questioni polemiche). No, povera me, chi mi darebbe tanto valore, e tanto fiato? E io stessa, poi, sono cittadina del mondo contemporaneo, anch’io forse, sono soggetta alla universale estrema tentazione. E dunque, finché non me ne sento proprio immune, farò meglio a non vantarmi tanto.

Però, nello stesso tempo, per merito della fortuna, io mi onoro di appartenere alla specie degli scrittori.

Da quando, si può dire, ho cominciato a parlare, mi sono appassionata disperatamente a quest’arte, o meglio, in generale, all’arte. E spero di non essere troppo presuntuosa se credo di avere imparato, attraverso la mia lunga esperienza e il mio lungo lavoro, almeno una cosa: una ovvia, elementare definizione dell’arte (o poesia, che per me vanno intese come sinonimi).

Eccola: l’arte è il contrario della disintegrazione. E perché? Ma semplicemente perché la ragione propria dell’arte, la sua giustificazione, il solo suo motivo di presenza e sopravvivenza, o, se si preferisce, la sua funzione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l’integrità del reale, o in una parola, la realtà (ma attenzione ai truffatori, che presentano, sotto questa marca di realtà, delle falsificazioni artificiali e deperibili). La realtà è perennemente viva, accesa, attuale. Non si può avariare, né distruggere, e non decade. Nella realtà, la morte non è che un altro movimento della vita. Integra, la realtà è l’integrità stessa: nel suo movimento multiforme e cangiante, inesauribile – che non si potrà mai finire di esplorarla – la realtà è una, sempre una.

Dunque, se l’arte è un ritratto della realtà, chiamare col titolo di arte, una qualche specie, o prodotto, di disintegrazione (disintegrante o disintegrato), sarebbe per lo meno una contraddizione nei termini.

*Il saggio Pro o contro la bomba atomica risale a una conferenza che Elsa Morante tenne a Torino e a Roma nel 1965. Il testo venne pubblicato postumo insieme ad altri scritti nel volume omonimo curato da Cesare Garboli nel 1987 Pro e contro la bomba atomica, Milano, Adelphi, 1987.

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Profezie bianche

IL LIBRO – Perché non siamo ancora guariti dalla guerra? E cosa ci impedisce di immaginare un futuro di rispetto e non violenza? Fondazione Feltrinelli pubblica Profezie bianche – Antologia del pacifismo: da Erasmo da Rotterdam a Gino Strada, con un’introduzione di Nicola Lagioia. Attraverso le voci di intellettuali, scrittrici, cantautori, poetesse e attivisti di epoche diverse, questo volume riscopre la pace come imperativo morale e progetto politico: Italo Calvino, Erasmo da Rotterdam, Franz Fanon, Emma Goldmann, Pietro Gori, Immanuel Kant, Judah L. Magnes, Nelson Mandela, Elsa Morante (di cui proponiamo sopra un estratto, ndr), Emmanuel Mounier, Leda Rafanelli, Gino Strada, Boris Vian, Simone Weil, Virginia Woolf e Danilo Zolo.

“Un itinerario critico e visionario che spazia dalla condanna delle armi alla costruzione di nuove formule di convivenza. Il femminismo, l’anticolonialismo e le pratiche di giustizia riparativa si presentano qui come strade possibili per affrontare i nodi irrisolti della nostra storia collettiva”, si spiega nella presentazione. Parole “che intrecciano filosofia e speranza, utopia e concretezza”. Dire “no alla guerra” è il primo atto di coraggio per dare forma al possibile là dove oggi vediamo solo macerie.

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