Con “Joker scatenato”, Guido Vitiello compie un viaggio attraverso il lato oscuro della comicità, decifrando com’è cambiato il ruolo sociale dell’umorismo, in un tempo in cui la politica sta sempre più utilizzando uno “stile da stand-up comedy”. Il tutto con una guida speciale: il Joker, personaggio ambiguo e capace di riflettere gli umori della società… – Su ilLibraio.it un capitolo
Il rapporto della nostra società con la comicità è cambiato nei secoli. Se negli scorsi anni il divertimento e l’umorismo erano strumenti di pacificazione sociale, oggi siamo circondati da battute e sarcasmo, e la comicità è diventata l’arma con cui si combattono i duelli politici.
Con Joker scatenato – Il lato oscuro della comicità (Gramma), Guido Vitiello, già autore, tra gli altri, di Una visita al Bates Motel (Adelphi, 2019) e di Il lettore sul lettino – Tic, manie e stravaganze di chi ama i libri (Einaudi, 2021), tenta di decifrare questo “carnevale perpetuo” ricostruendo alcuni passaggi cruciali della storia dell’umorismo. E con lui, una guida speciale: il Joker, antieroe nato nei fumetti di Batman e personaggio che si è evoluto parallelamente al nostro senso del divertimento.
Il Joker, con le sue stranezze e i suoi comportamenti, è una figura chiave: non solo cattivo dei prodotti culturali – dalle serie tv ai più recenti film di successo – ma anche maschera nelle manifestazioni e protagonista sui social di tutto il mondo.
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Vitiello, che scrive per Il Foglio e Internazionale, e che per il Saggiatore nel 2024 ha firmato La lettura felice – Conversazioni con Marcel Proust sull’arte di leggere, traccia un profilo storico del Joker e del ruolo sociale dell’umorismo; tra fatti di cronaca ed evoluzione culturale affronta la nascita della cosiddetta troll culture e perché, sempre di più, i leader politici adottano uno “stile da stand-up comedy” mentre sempre più comici tentano la carriera politica.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
Chi è Joker, e perché torna in modo così insistente? La sua incarnazione più recente, nei film di Todd Phillips, ha suscitato più letture di una macchia di Rorschach. Joker è uno dei tanti reietti della stagione reaganiana che si mette alla guida di una rivolta anticapitalistica, dice qualcuno. È un caso di scuola di white trash, un paria minacciato dalla società multietnica che traduce il suo risentimento in rabbia omicida, ribattono altri. No, è un incel, un “celibe involontario”, un misogino rifiutato dalle donne che trova nella violenza il suo riscatto virile. Ricorda gli assalitori di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Ricorda i moti di piazza di Blm dell’anno prima. È Donald Trump sotto mentite spoglie. No, è il nemico giurato di Trump, che nel film veste i panni del milionario Thomas Wayne. È tutto e il contrario di tutto. Possiamo dargli qualunque valore – proprio come alla sua carta da gioco.
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Chi non si rassegna al piccolo cabotaggio dell’attualità di solito va cercando la costellazione di Joker nel cielo intemporale degli archetipi. Ma anche lassù la faccenda è tutt’altro che pacifica. Di volta in volta Joker diventa il trickster del folklore nordamericano, Momo, il dio greco dello scherno, il Mefistofele cristiano, l’eterno carnevalesco di Michail Bachtin, un fool da dramma shakespeariano, un savio pazzo erasmiano, Shiva, il distruttore di mondi, Dioniso, il dio dell’ebbrezza. In una messinscena del 2009 delle Baccanti di Euripide, al Delacorte Theater di New York, Dioniso aveva del rossetto spalmato da un orecchio all’altro, per richiamare il sorriso sghembo e terrificante del Joker di Heath Ledger.
L’unica cosa certa è che nei suoi primi ottantaquattro anni di vita è cresciuta intorno alla figura di Joker una giungla di interpretazioni. Chi voglia farsi un po’ di strada tra questi intrichi di archetipi e di stereotipi farà bene a ricorrere al vecchio, prudente precetto umanistico del “ritorno ai testi” – in questo caso i fumetti, i cartoni animati, i film. Scoprirà che i testi, pur nella varietà esasperante di un canone ormai troppo vasto per essere padroneggiato, hanno almeno un paio di punti fermi, due costanti che si ripropongono in tutte le stagioni della carriera di Joker, dalla Golden Age dei comics degli anni quaranta fino ai giorni nostri.
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La prima costante è che Joker è un comico. Spesso un comico di professione, uno stand-up comedian più o meno sfortunato. Ride e uccide ridendo, provoca un’ilarità irrefrenabile e contagiosa nelle sue vittime per poi marcarle con il suo ghigno mortifero. La seconda è che Joker coltiva un rapporto geloso e maniacale con i mezzi di comunicazione – all’inizio con la radio e i giornali, poi con la televisione. Fin dalla sua prima apparizione, sul numero 1 di “Batman” nell’aprile del 1940, Joker annunciava via radio i suoi crimini agli abitanti di Gotham City, interferendo con le trasmissioni regolari, e uccideva con un gas esilarante che lasciava impressa sul volto una replica del suo rictus grottesco. Queste due metà – comicità e spettacolo – non si dissoceranno più. In una storia del 1951, The Man Who Wrote the Joker’s Jokes, Joker assumeva degli scrittori che sapessero sceneggiare i suoi crimini in modo ingegnoso e farsesco – una gang di commediografi. Il Joker televisivo degli anni sessanta, quello interpretato dall’attore cubano-americano Cesar Romero, sbucava tutto spiritato dalla Comedians Hall of Fame tra i busti in bronzo di Stan Laurel, Oliver Hardy, W.C. Fields ed Ernie Kovacs, quattro grandi nomi della commedia, a cui aveva fatto aggiungere per vanità il proprio. Anche il Joker di Jack Nicholson, nel Batman di Tim Burton del 1989, interferiva con le trasmissioni, stavolta non radiofoniche ma televisive; e spargeva per Gotham un gas di sua invenzione, lo Smylex, in grado di ammazzare dalle risate. Con toni ora cupi ora lievi, l’abbinamento è sempre lo stesso: risate e mass media, mass media e risate. In The Dark Night Returns, il fumetto di Frank Miller del 1986, Joker convinceva i supervisori del manicomio di Arkham a concedergli un permesso per partecipare a un talk show serale, e uccideva tutte le persone presenti in studio con il suo gas. La storia culmina, per il momento, con il colpo di pistola che il Joker di Todd Phillips spara in diretta al conduttore del late show dal quale è ossessionato, per poi ballare davanti alle telecamere.
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Su questa congiunzione tenace tra risate e spettacolo molti sorvolano distrattamente, preferendo osservare Joker da specole più ambiziose o anche solo più eccentriche. Ma tra l’infinitamente grande degli archetipi e l’infinitamente piccolo delle cronache, tra il telescopio e il microscopio, faremmo bene a scegliere l’infinitamente medio dell’evidenza banale, della scala uno a uno, e da qui lanciare una prima congettura: e se Joker fosse la figura della cultura popolare attraverso cui cerchiamo di fare i conti con il versante distruttivo della comicità e del riso nella società dell’amusement permanente?
Joker compare all’alba della nuova era del divertimento, e nel punto esatto del suo sorgere: l’industria culturale americana, un istante prima che i suoi coloratissimi raggi illuminassero l’intero Occidente del secondo dopoguerra. La sua carriera criminale accompagna come un’ombra, passo dopo passo, i progressi della “società umoristica”. Possiamo rileggere gli ultimi decenni come la cronaca di un’alluvione, che ci ha travolti di risate fin quasi a sommergerci. Le acque dello spirito carnevalesco non hanno fatto che salire, salire, salire, allagando uno dopo l’altro tutti gli ambienti della vita sociale: i piani bassi della quotidianità, quelli intermedi della cultura e dell’informazione, gli attici della politica – fino all’apoteosi odierna, in cui il Re e il Buffone si divertono a cambiarsi di posto, affollando il pianeta di presidenti che si comportano da clown e clown che si candidano a presidenti.
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione in “Feltrinelli Gramma” febbraio 2025
(continua in libreria…)
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