C’è una cosa che nella scuola italiana riesce dividere proprio tutti: genitori, insegnanti e studenti: i compiti a casa. Su ilLibraio.it la riflessione di Enrico Galiano, insegnante e scrittore, dopo la nuova circolare del Ministro, che dice stop alle assegnazioni dell’ultimo minuto sul registro elettronico… Ma la vera domanda resta: servono davvero? “Ho capito che il problema non sono i compiti. Il problema è come li pensiamo… La cosa che manca davvero è una vera formazione degli insegnanti su come si progetta un buon compito…”
C’è una cosa che nella scuola italiana riesce dividere proprio tutti: genitori, insegnanti e studenti.
No, non è l’amore per il latino. Sono i compiti a casa.
Li si ama, li si odia, li si rimanda, li si copia da ChatGPT (sì, lo so che mi state leggendo, cari studenti), ma alla fine ci toccano tutti. E adesso è arrivata anche la circolare del Ministro a ricordarcelo: niente assegnazioni dell’ultimo minuto sul registro elettronico, meglio se i carichi vengono distribuiti bene nella settimana, occhio al calendario e – udite udite – cerchiamo di metterci un minimo d’accordo tra colleghi. Un piccolo passo per il docente, un grande salto per la civiltà.

Letture originali da proporre in classe, approfondimenti, news e percorsi ragionati rivolti ad adolescenti.

Ma la vera domanda resta: i compiti a casa servono davvero?
Cosa dice la scienza? Gli studi sono chiari come una verifica di geometria alle 8 del mattino: alle elementari? I benefici sono minimi, quasi nulli; alle medie e superiori? Qualcosa si muove. Ma solo se i compiti sono ben progettati.
Può interessarti anche
Lo spiega bene Joyce Epstein, docente alla Johns Hopkins University: un compito ben fatto fa imparare di più, coinvolge le famiglie e dà senso al programma scolastico. Ma dev’essere interessante, concreto, e – magari – con un pizzico di umanità. Non il solito: “Fai i problemi da 1 a 14 a pagina 38”, che è come dire: “Spegniti lentamente.”
Il problema è: casa di chi? E qui arriva il punto dolente. Perché i compiti a casa, per definizione, si fanno a casa. Ma non tutte le case sono uguali. Ci sono case dove c’è un papà o una mamma pronti a sedersi accanto al figlio, rileggergli la consegna, offrirgli una merenda bio e dirgli: “Dai che ce la facciamo insieme!”.
Può interessarti anche
E poi ci sono case dove non c’è nessuno. O ci sono troppi. Dove non si parla italiano. Dove non c’è una scrivania. Dove c’è da badare ai fratelli più piccoli. Dove l’unico compito è resistere. E lì, il compito a casa non è solo inutile: è ingiusto. Diventa una forma di discriminazione silenziosa. Di quelle che nessuno nota nei voti, ma che segnano per sempre chi resta indietro.
Se li facciamo, facciamoli bene
Un compito può anche essere una miccia accesa, se ci si mette dentro un po’ di cura.
Ti racconto una cosa: qualche tempo fa ho assegnato alla mia classe di terza media un compito un po’ strano. Dovevano intervistare un anziano del quartiere per scrivere un mini racconto in cui intrecciavano il suo ricordo con un evento storico studiato in classe.
Può interessarti anche
Pensavo che avrebbero protestato. Invece hanno creato delle cose pazzesche. Alcuni hanno scoperto che il vicino silenzioso era stato partigiano. Altri hanno bussato alla porta della nonna della compagna di banco – una che di solito non parlava mai con nessuno – e le hanno fatto raccontare della fame durante la guerra. Hanno collaborato, si sono cercati, hanno camminato insieme anche fuori da scuola. E per una volta, il compito non li ha divisi: li ha uniti.
È lì che ho capito che il problema non sono i compiti. Il problema è come li pensiamo.
E allora, la vera urgenza
La verità? La cosa che manca davvero, oggi, non è tanto un regolamento sui compiti. È una vera formazione degli insegnanti su come si progetta un buon compito. Perché sappiamo insegnare l’analisi logica, le equazioni, la fotosintesi. Ma nessuno ci ha mai insegnato come farlo fare a casa, e perché.
Serve che l’assegnazione dei compiti torni ad avere uno scopo, una direzione, una visione.
Non dev’essere solo “più esercizi per consolidare”, ma “più occasioni per crescere”.
Perché in fondo, se la scuola ha un senso, non è riempire agende: è accendere teste.
E magari, anche qualche cuore.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta… E ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore. Dal 13 maggio 2025, per Garzanti, il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.
Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche in versione video, su Instagram e TikTok).
Scopri la nostra pagina Linkedin

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it
