Si definiscono “language police” le persone che criticano e correggono compulsivamente refusi ed errori grammaticali e ortografici, specialmente sui social. Ma perché il fenomeno è così diffuso? A questa e altre domande rispondono gli esperti di Babbel, in una panoramica che, fra le altre cose, analizza i Paesi in cui si tende a correggere più spesso ed elenca gli errori che facciamo di solito (apostrofi, accenti, congiuntivi e non solo) quando parliamo in italiano (e in inglese)…

Chi non si è mai imbattuto in una serie di commenti infuocati sotto un post o un tweet a causa di un errore grammaticale o ortografico? Se nella vita quotidiana non si correggono amici e parenti per non sembrare pedanti, infatti, online sembra essere (quasi) tutto permesso.

Gli esperti di linguistica della app Babbel (dedicata allo sviluppo delle competenze linguistiche), hanno analizzato proprio il fenomeno del cosiddetto language (o grammar) police dal punto di vista linguistico e glottodidattico, definendo i casi nei quali sarebbe opportuno o meno correggere gli altri e le diverse prassi all’estero.

Dalla grammar police ai puristi della lingua

Ma cos’è la grammar o language police? Si tratta, spiegano da Babbel, di persone che criticano e correggono compulsivamente refusi ed errori grammaticali e ortografici, specialmente nei dialoghi formali e su internet, spesso in modo molto scortese, o addirittura aggressivo.

In modo analogo, i tedeschi definiscono i grammar police Sprachpolizei (polizia della lingua) ma anche Klugscheißer (sapientone) o Besserwisser (saccentino), in Brasile invece vengono chiamati fiscal gramatical.

Ci sono poi i puristi della lingua, i quali sono altrettanto intransigenti nei confronti di errori e refusi, ma anche nei confronti di forestierismi, in particolare degli inglesismi come “CEO” e “deadline” per citarne alcuni.

Correggere o non correggere?

“Ignorare del tutto le regole grammaticali e l’importanza dello scrivere correttamente sarebbe sbagliato. Tuttavia, come regola generale sarebbe opportuno astenersi dal correggere gli altri, soprattutto quando l’errore non pregiudica il senso del messaggio, afferma Rita Santoyo Venegas, esperta di didattica di Babbel.

In due casi in particolare è inappropriato: quando una persona sta condividendo un’esperienza personale ed emotiva, perché potrebbe decidere di non aprirsi più, e quando si sta avendo un dibattito serio.

Online, infatti, capita spesso che qualcuno rifiuti totalmente e sminuisca l’opinione altrui limitandosi a evidenziare e criticare un errore grammaticale, senza in realtà addurre delle argomentazioni a sfavore. Di fatto si screditano la persona e le sue idee solo in base ad uno (o più) errori.

“Bisognerebbe chiedersi se la credibilità di una persona dipenda davvero dalle competenze grammaticali ed ortografiche e se un errore non possa essere causato da una distrazione o dalla fretta”, continua Rita Santoyo Venegas. In altri contesti, se proprio non si può fare a meno di correggere, bisognerebbe usare tatto: si può per esempio presentare la correzione come un fatto curioso.

Con i bambini invece, sia nella fase di apprendimento del linguaggio sia quando studiano una seconda lingua, la chiave è non correggere in maniera diretta, ma preferire piuttosto un metodo indiretto ovvero la ripetizione della stessa frase in maniera corretta.

Ad esempio, se il bambino dice “Me likes apples“, si potrebbe replicare: “I like apples too“. Lo stesso vale quando si tratta di lavorare su questioni di pronuncia o di lessico.

I Paesi dove si corregge di più

In Brasile correggere gli errori altrui è considerato altamente snob e sgarbato a meno che non si tratti di celebrità e politici. Altrimenti è meglio commettere qualche errore per non sembrare troppo raffinati. In Spagna invece è considerato accettabile correggere gli altri specialmente quando si tratta di comunicazione scritta ed è infatti molto comune.

Anche i tedeschi, come gli italiani, si dimostrano paladini della correttezza della lingua, in particolare online, così come i francesi, tra cui è molto diffuso un forte orgoglio per la propria lingua e per il suo uso corretto. Non sorprende che la maggior parte dei britannici invece preferisca l’educazione ed eviti di correggere la grammatica degli altri.

L’accento parte fondamentale della personalità

Secondo un sondaggio globale commissionato da Babbel all’agenzia di ricerca IPSOS, è l’accento a essere considerato una parte fondamentale della personalità. Il 71% ritiene anche che un accento straniero sia un tratto distintivo che caratterizza una persona e che la rende più attraente.

Quindi, più di ogni cosa è l’accento a fare la differenza. Soavi, intriganti e seducenti, gli accenti e le pronunce lasciano spesso gli ascoltatori ammaliati all’ascolto.

Semplificazione della lingua

Nonostante le opinioni differenti sulla grammar police, sia in Francia sia nel Regno Unito si sta attuando, o si pensa a, una riforma della lingua perché sia più in linea con la pronuncia e quindi più semplice da apprendere

Infatti nel Regno Unito, come in altri Paesi anglofoni, diverse persone, pur costituendo ancora una minoranza, si battono da anni per un nuovo sistema ortografico, il Traditional Spelling Revised (TSR), mai di fatto attuato, che vedrebbe cambiare il 18% delle parole inglesi (luv al posto di love, rong al posto di wrong e così via).

In Francia invece la riforma è stata approvata già nel 1990, anche se è diventata effettiva solo dal 2016. Un esempio della trasformazione delle regole ortografiche della lingua di Molière? L’ortografia di “oignon” (cipolla) è da qualche anno diventata “ognon, dato che la “i” non si pronuncia.

Queste modifiche hanno scatenato un acceso scontro tra i puristi e non, come dimostra la popolarità della campagna #JeSuisCirconflexe (#IoSonoCirconflesso) contro l’eliminazione dell’accento circonflesso nella lingua francese. 

Gli errori più comuni

Per non incorrere in critiche da parte della language police, ecco alcuni degli errori più comuni in italiano e in inglese ai quali prestare attenzione.

Il tallone d’Achille di molti italiani è sicuramente l’apostrofo, lo si dimentica quando servirebbe, ovvero con parole di genere femminile che iniziano per vocale, lo si aggiunge dove non andrebbe (con parole di genere maschile o in “qual’è”) e in alcuni casi lo si sostituisce con l’accento (“un pò” al posto di “un po’”).

L’apostrofo è secondo forse solo al congiuntivo nel periodo ipotetico: una delle espressioni errate più ricorrenti è infatti “se io avrei”. Il congiuntivo viene spesso dimenticato anche dopo i verbi reggenti che ne richiederebbero l’uso, come “spero che” o “sembra che”.

Ci sono poi le forme ridondanti: dal rafforzamento delle congiunzioni avversative (“ma però”) alla ripetizione del pronome indiretto (“a me mi”). Infine l’uso polivalente del pronome “gli”, valido anche per il plurale e per il femminile (al posto di “le” e “loro”). Per quanto riguarda gli errori di ortografia sono molto comuni “pultroppo” e “propio” (“purtroppo” e “proprio”).

Quando invece gli italiani si cimentano con la lingua di Shakespeare spesso dimenticano la -s della terza persona singolare, usano il singolare al posto del plurale con “people” (gente) e la doppia negazione (“he didn’t eat nothing” e non “he didn’t eat anything”).

Bisogna inoltre fare attenzione alla differenza tra “you’re” e “your”, “it’s” e “its” e “their” e “they’re” (ma anche “there”), errori spesso commessi anche dai native speakers. Tra le parole inglesi che gli italiani confondo più frequentemente ci sono sicuramente loose (largo) e lose (perdere).

Fotografia header: Courtesy of Babbel_Unsplash

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