Abdulrazak Gurnah (nella foto, appena premiato) è solo l’ultimo caso. Si potrebbero citare tanti altri esempi (Wisława Szymborska, Olga Tokarczuk, Tomas Tranströmer o Herta Müller). Spesso non conosciamo i nomi di chi riceve il Nobel per la Letteratura. Ma al di là dei giudizi e delle polemiche, sarebbe utile non lasciarsi prendere dallo scetticismo, perché in fondo è proprio questo il bello del più importante riconoscimento letterario internazionale: spostare il riflettore su autrici e autori che spesso si ignoravano, su lingue poco tradotte, su letterature poco presenti nelle nostre librerie, per poterne finalmente imparare a (ri)conoscere la grandezza

Anche quest’anno, quando è stato nominato Abdulrazak Gurnah vincitore del Premio Nobel per la Letteratura, c’è chi ha avuto una reazione spiazzata e confusa. Probabilmente erano pochi, infatti, a conoscere il nome dell’autore nato a Zanzibar nel 1948, i cui libri più celebri – Paradiso, Il disertore e Sulla riva del mare – in passato sono stati portati in Italia dalla casa editrice Garzanti.

È vero, ci si aspettava che vincessero nomi più noti. Tra i tanti, Annie Eranux, Margaret Atwood e Haruki Murakami erano i più gettonati, stando ai pronostici della vigilia. Eppure, l’Accademia svedese ci ha stupiti per l’ennesima volta, facendo ricadere l’insegne riconoscimento su un autore non (ancora) famoso qui da noi, ma ovviamente non per questo non meritevole. Tutt’altro: parliamo di uno scrittore le cui opere sono state in lizza sia per il Booker Prize sia per il Whitbread Prize, nonché in finale al Los Angeles Times Book Award.

Nelle motivazioni lette durante la cerimonia tenutasi a Stoccolma, non a caso, colpisce la frase: “Per la sua intransigente e compassionevole capacità di comprensione degli effetti del colonialismo e del destino dei rifugiati nel divario tra culture e continenti”. Insomma, ci troviamo chiaramente di fronte a un autore di alto calibro, tutto da scoprire (o riscoprire).

Del resto, il Nobel per la Letteratura ha spesso rappresentato un’occasione per accostarci a nomi di autori e di autrici che sfuggivano al grande pubblico. Il caso recente forse più eclatante – che di sicuro in molti ricorderanno – fu quello della poetessa polacca Wisława Szymborska che, quando vinse il Premio nel 1996, era praticamente una sconosciuta in Italia. Delle sue opere, nelle nostre librerie, se ne riusciva a trovare soltanto una: la raccolta Gente sul ponte (1986), edita da Scheiwiller.

Eppure, dopo la proclamazione, la sua fortuna è completamente cambiata: i suoi versi sono stati tradotti, ristampati e citati di continuo online e offline. Tanto che oggi è difficile trovare qualcuno che non abbia letto almeno una delle sue poesie.

Lo stesso si è verificato nel 2019 con un’altra autrice polacca, Olga Tokarczuk, il cui romanzo I vagabondi è attualmente considerato un testo cult che, come ha scritto Claudia Durastanti in una recensione all’opera, “ha ridefinito il rapporto tra scrittura, viaggio e l’io testimoniale”.

E che dire poi del poeta svedese Tomas Tranströmer, che vinse nel 2011? E ancora: siamo certi che tutti conoscessero Herta Müller, quando venne nominata vincitrice nel 2009?

Forse, insomma, il punto è proprio non lasciarsi prendere dallo scetticismo quando un nome sconosciuto vince il Nobel per la Letteratura, perché in fondo è questo il bello del più importante riconoscimento letterario internazionale: spostare il riflettore su autrici e autori che spesso si ignoravano, su letterature poco presenti sugli scaffali delle nostre librerie, su lingue poco tradotte, per poterne finalmente imparare a (ri)conoscere la grandezza.

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