“Geografia di un dolore perfetto”, il nuovo romanzo di Enrico Galiano, è una storia toccante e coinvolgente, e ha per protagonista Pietro, abbandonato da suo padre quando era ancora un ragazzino – Su ilLibraio.it un estratto dal libro, che indaga le complessità del rapporto tra un figlio e il proprio genitore
Insegnante e scrittore classe ’77, Enrico Galiano torna in libreria per Garzanti con Geografia di un dolore perfetto, un romanzo che indaga le complessità del rapporto tra un figlio e il proprio genitore. Quello dell’autore di opere come Eppure cadiamo felici e Scuola di felicità per eterni ripetenti (per citarne solo alcune) è un libro che pone una domanda che va dritta al cuore: quando si smette di essere figli? C’è un giorno, un momento, una linea che si supera e poi non si è più figlio di qualcuno, ma solo un uomo o una donna?
Quella narrata da Galiano, autore molto attivo sui social e che da anni collabora con ilLibraio.it, è una storia toccante e coinvolgente, e ha per protagonista Pietro, abbandonato da suo padre quando era ancora un ragazzino.
Eppure, quando sei bambino tuo padre è una specie di supereroe. Nessuno ti spiega che anche i supereroi possono cadere e farsi male, e soprattutto farti male: e allora perdonarli può essere impossibile. Tutto questo il protagonista del romanzo lo sa bene.
L’unica cosa che il padre gli ha lasciato è quella che lui chiama la spezzanza, la sensazione di essere spezzati da qualche parte; quella di vivere sempre a metà. Eppure ora Pietro è un professore universitario e ha una moglie e un figlio che ama. Nulla può scolpire questa facciata di vita perfetta.
Fino a quando non riceve una telefonata che cambia tutto. Deve andare a Tenerife a ogni costo, arrivare lì prima che sia troppo tardi: c’è un segreto che cela nel cuore da troppo tempo, ed è arrivato il momento di confidarlo. Un viaggio in aereo e un mare lo dividono dall’attimo più importante della sua vita. Pietro corre, e più corre più si rende conto che sta andando incontro al vero sé stesso. Ed è allora che il passato torna. È allora che dopo trent’anni Pietro si trova davanti ai suoi fantasmi. Sono loro a ricordargli che può succedere di essere all’improvviso lontanissimi da sé stessi, così tanto che nemmeno si sa più chi si è: come quei punti che i geografi chiamano i poli dell’inaccessibilità, i punti della terra più lontani e irraggiungibili.
Quando succede, sono proprio i geografi a dirti cosa fare, per salvarti: guardare su. Cercare una stella. E poi andare dritti dove ti dice lei. Può avere i contorni di un amore, o anche quelli di un dolore. Di un desiderio come di una paura. Perché a volte non siamo nel posto sbagliato, stiamo solo cambiando. A volte abbiamo solo dentro una fame nuova a cui non sappiamo dare un nome. A volte arriva il momento di fare pace con tutte le ferite di quando si era bambini.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
La scena in cui tutto comincia è questa.
È importante visualizzarla bene, anche nei minimi dettagli.
Dunque. È sera, dopo cena.
Isola croata, villaggio vacanze per famiglie. Di quelli strapieni di bambini da tutte le parti, giocattoli sparsi nei corridoi e nella hall, tu sei lì che cammini e inciampi su un peluche. O direttamente su un bambino.
Quelli lì.
Quelli che i genitori ci vanno perché c’è il servizio di babysitting totale: consegni il pargolo a un gruppo di ragazzi che lo fa giocare, correre, fare il bagno e intanto tu spegni il cervello per quattro ore sotto il sole, quattro benedette ore senza figli, due al mattino e due al pomeriggio. Il sogno inconfessato di ogni genitore in vacanza, l’unico modo perché essa si possa definire davvero vacanza, tanto che rischi addirittura di riuscire a leggere un libro, fare un vero bagno in mare, iniziare una conversazione e finirla.
Quelli lì.
Quelli che poi dopo cena gli animatori partono con la baby dance, e stormi di cinquenni impazziti saltano e urlano ripetendo i movimenti dei ballerini, mentre attendono trepidanti l’arrivo della mascotte dell’albergo, Pino, che si chiama così perché è un pino umano con il corpo da tronco e la testona a forma di chioma di abete, dentro la quale di solito c’è un diciottenne sottopagato che soffre temperature tropicali e suda più di un ippopotamo.
Quelli lì.
Quelli che, a fine serata, ci vai tu ad abbracciare Pino con affetto, perché ha sfinito tuo figlio mentre sereno ti ammazzavi di sangria e così, quando alle dieci si torna in stanza e il bimbo sviene dopo un minuto, c’è perfino la possibilità che si realizzi un evento rarissimo: tu e tua moglie che fate sesso.
Quelli lì.
E lo dovete visualizzare bene, questo albergo in Croazia: dovete vedere Pino che dà il cinque ai bambini e si fa fare le foto, sentire le canzoni tipo Mira Sofia e tutte quelle hit spagnoleggianti; dovete respirare l’odore della menta dei mojito che volano a fiumi fra i tavoli dei genitori abbronzati e finalmente con la pelle distesa, farvi abbagliare dai flash delle foto dei nuovi arrivati pronti a immortalare con un sorriso ebete ogni istante di vita della prole.
Tutto questo, dovete vedere.
Perché poi, in mezzo alla folla dei genitori in piedi intorno alla pista, proprio lì, ce n’è uno che non c’entra proprio niente con gli altri.
Non sta facendo foto, non sta bevendo sangria, non sta applaudendo.
Sta piangendo.
E non sono lacrime di commozione. Quelle cose tipo: Oh che gioia, mio figlio sa ballare così bene!
Niente di tutto questo.
Davanti a suo figlio di cinque anni in estasi perché Pino gli ha appena dato il cinque, di fianco alla sua bellissima moglie di dieci anni più giovane, lui, sta piangendo a dirotto: senza freni, senza vergogna.
Piange perché oggi ha ricevuto una videochiamata. Piange perché sullo schermo c’era una persona che lui non vedeva da undici anni.
E quella persona, con una maschera per l’ossigeno sul volto, gli ha detto: «Sto morendo! Vieni qui, prima che sia troppo tardi!».
Si chiama Pietro, quel tipo che piange sulla spalla della moglie nel villaggio vacanze.
E quello lì, Pietro, sono io.
© 2023, Garzanti S.r.l., Milano
(continua in libreria…)
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