Milo, già protagonista della favola “Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare”, si è trasferito con la sua mamma umana vicino al mare, dove un giorno incontra un cucciolo di pinguino imperatore strappato al Polo Sud da contrabbandieri senza scrupoli. Milo si commuove e decide di aiutarlo… – Su ilLibraio.it, un estratto dal nuovo libro di Costanza Rizzacasa d’Orsogna dedicato alle sue avventure, “Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud”

Che cos’è il coraggio? Che cos’è la libertà? Lo racconta ai lettori e alle lettrici più giovani la giornalista, saggista e scrittrice Costanza Rizzacasa D’Orsogna, che torna in libreria con Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud (Guanda), seguito della favola, pubblicata sempre da Guanda, Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare.

Sono passati tre anni e Milo e la sua mamma umana si sono infatti trasferiti in una casetta vicino al mare. Anche se non ha mai imparato del tutto a saltare e a camminare diritto, il gattino, sempre più sicuro di sé, si spinge a fare lunghe passeggiate fino alla spiaggia, dove un giorno incontra un cucciolo di pinguino imperatore, strappato al Polo Sud da contrabbandieri senza scrupoli. Milo si commuove, decide di aiutarlo.

Ma come faranno un gatto disabile, una ragazza e un pinguino ad affrontare un viaggio così lungo? Da Roma a Buenos Aires e poi giù fino alla Terra del Fuoco e finalmente in Antartide, scopriranno un mondo sempre più minacciato dall’uomo.

Un viaggio ai confini delle nostre paure, durante il quale Milo incontrerà animali solo all’apparenza feroci, che hanno una storia da raccontare e tanto bisogno di amicizia. Il nostro gattino dal cuore grande non si tirerà indietro e scoprirà che, se ci crediamo davvero, non c’è nulla di impossibile…

Copertina del libro Storia di Milo il gatto che andò al Polo Sud

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:

Un nuovo amico per Milo

Ah, com’era bella l’aria aperta, l’aria che gli accarezzava il muso, che sollievo. E com’era azzurro il cielo. Non lo vedeva da così tanto tempo che l’aveva dimenticato. Una brezza leggera gli sfiorava la pelliccetta, il pinguino
respiro` a pieni polmoni e poi s’incamminò.

Camminò e camminò, il pinguino Hielito. Con quella sua andatura dondolante e goffa sembrava un uovo con le zampe. Un uovo fuori misura, certo, e un po’ peloso. Iniziava a far caldo, la povera bestiola cercava frescura. A un
certo punto, in lontananza, vide due uomini. Fu tentato di avvicinarsi, poi li sentı` urlare, li vide venire alle mani. « Che avranno mai, gli uomini » si chiese « per essere sempre così arrabbiati? » E passò oltre, meglio non rischiare.

La strada, però, sembrava non finire mai. Il pinguino, che non era abituato a camminare, era stanchissimo. « Forse ho sbagliato » si disse. « Come ho potuto pensare che così piccolo e ignaro del mondo avrei potuto essere d’aiuto. » Stava per perdersi d’animo, poi sentì una vocina dentro di sé. « Non c’è tempo per fermarsi a piangere. Cerca di farti forza, piccino mio. » Chissà se era papà Sale che gli parlava. Chissà cosa stavano facendo i suoi genitori in
quel momento. « Si ricorderanno ancora di me? » pensò. «Mi avranno dimenticato? » Il desiderio di rivederli fu più forte della stanchezza, e il pinguino riprese il suo cammino.

All’improvviso, dall’altro lato della strada, vide un supermercato. Ovviamente il pinguino non sapeva cosa fosse un supermercato, ma fu attirato dalle foto di pesce sui manifesti delle offerte. Così, spinto più dalla fame che dalla certezza di trovare aiuto, attraversò. «Mamma mia, quante cose strane! » esclamò. « E quante cose buone. Ma dove saranno i pescetti? » Il pinguino ripensò a quando i suoi genitori, a turno, andavano a pescare nell’oceano, a centinaia e centinaia di chilometri, e poi, tornati, gli davano da mangiare il pesce, opportunamente masticato, che per tutto il viaggio avevano tenuto in bocca per il loro piccolino.

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Mentre girava per il supermercato, il pinguino fu attirato da un settore dove faceva più freddo. C’era un freezer: qualcuno, inavvertitamente, l’aveva lasciato aperto. C’era anche uno sgabello. Il pinguino si arrampicò, cadde dentro il freezer e ahhhh, che meraviglia, che bel fresco. Come si stava bene, lì dentro. Se solo ci fosse stato anche un pescetto. Poteva sentirne l’odore – fiori di merluzzo, filetto di salmone, cuori di nasello – ma non sapeva come aprire le scatole.

Mentre il pinguino pensava tutte queste cose, arrivò un addetto con altri surgelati per rifornire il freezer. « Ahi, ahi » gemette il pinguino, quando le confezioni di pesce surgelato iniziarono a cadergli sulla testa: « mi fai male ». Quello che accadde dopo fu rocambolesco, a dire poco. Il garzone cacciò un urlo, fece un balzo all’indietro. Il pinguino, approfittando del momento di confusione, saltò fuori dal freezer e corse verso l’uscita. Il garzone chiamò aiuto, lo inseguì con una scopa; dietro di lui un collega.

Il pinguino sapeva che non avrebbe potuto correre più veloce di loro. Si nascose dietro i bidoni della spazzatura all’uscita dal supermarket e aspettò. I due si separarono per cercarlo; poi, non trovandolo, rientrarono.

« Macché. Ci ha seminati » disse uno di loro, ansimando.

« Hai visto anche tu quello che ho visto io? Un pinguino??? » disse l’altro.

« Ahahah. Ma figurati. Sarà stato un ragazzino travestito. La solita bravata. »

« Era un pinguino, ti dico. L’ho visto benissimo. »

« Un bel costume di Carnevale, nient’altro. Non lo sai che i pinguini stanno al Polo Nord? Dai, rientriamo, sennò il capo ci mette una nota. »

Hielito avrebbe voluto correggerli, spiegargli che i pinguini stanno al Polo Sud, non al Polo Nord. Ma capì che non era proprio il caso. Aspettò che i due rientrassero, poi uscì dal nascondiglio e alla svelta si allontanò. « Ohi
ohi, me la sono vista proprio brutta » pianse. « E non ho mangiato neanche un pescetto. » Era stanco, e chissà quanta strada ancora lo aspettava.

Il pinguino riprese a camminare. All’improvviso, in lontananza, riconobbe qualcosa, sentì un profumo antico e familiare. «Ma… Ma… Ma quello è il mare! Il mareeee… »

Corse verso la spiaggia, si gettò subito in acqua. Ah, che frescura, che sollievo. Prese a girarsi e rigirarsi, emozionato e incredulo, schizzando e saltellando finché tutto inzuppato non rischiò di andare a fondo. « Aiuto, glu, glu, glu… » Ma non c’era pericolo, l’acqua non era alta. Hielito era felice.

Era proprio una bella giornata, pensò Milo, sgattaiolando fuori casa. La mamma stava lavorando e non poteva accompagnarlo, ma lui doveva, doveva andare in spiaggia a trovare i suoi amici gabbiani. Così decise di andare da
solo. Non era difficile, bastava uscire dal cancelletto sul retro e attraversare la strada.

« Miao, miao, miao » fece il gattino, correndo e incespicando, e rotolando sulla sabbia. « Eccomiiii. »

Passò qualche minuto a giocare coi gabbiani. Era così bella la spiaggia in quell’inizio di primavera. C’erano un paguro con la sua casetta, una stella marina, un altro riccio – nero questa volta.

Poi Milo fu attirato da qualcosa in lontananza. E poiché, com’è noto, ai gatti la curiosità non fa difetto, volle andare a vedere. Nel mare c’era una palla, una specie di palla di peluche. Una palla che rideva. Si avvicinò. Non era una palla. Era uno strano essere tutto pelo.

« E tu chi sei? » chiese il gattino.

Il pinguino, perso nella ritrovata felicità, quasi non si accorse del nuovo venuto, bevve, e un po’ d’acqua gli andò di traverso.

« Ahahah » fece Milo.

Il pinguino, sputacchiando, tornò a riva.

«Ma cosa ridi? »

« Hai ragione, scusa » rispose il gattino. «È che non avevo mai visto un animale come te. Piacere, io mi chiamo Milo, sono un gatto. »

« E io mi chiamo Hielito. Sono un pinguino imperatore. »

Milo non aveva mai sentito parlare dei pinguini, né tantomeno di pinguini imperatore. Lo osservò per bene: il pinguino non aveva zampe, solo piedi attaccati al corpo, e poi delle ali che non erano ali.

«Ma perché cammini dondolando? » gli chiese.

« E tu perché cammini tutto storto? » ribatté quello.

Scoppiarono a ridere insieme, e Milo gli raccontò della sindrome di cui soffriva dalla nascita, e di come prima lo zio, poi la sua mamma umana l’avessero salvato.

« … Ed ecco perché sono un gatto speciale » concluse.

«Ma senti » gli chiese poi, « tu come sei arrivato qui? »

Il pinguino, travolto dalla propria situazione, immediatamente si intristì.

« Dai, non piangere » lo consolò Milo. « Che succede, raccontami. »

Cosı` Hielito racconto` a Milo le sue vicissitudini: come dei loschi figuri l’avessero strappato ai genitori per consegnarlo ad altrettanti tipacci decisi a rivendere lui e i suoi compagni di sventura a umani senza cuore, disposti a spendere migliaia di euro per assicurarsi un esemplare a rischio d’estinzione, incuranti non solo di infrangere la legge ma anche di mettere a rischio la sopravvivenza degli animali stessi, sradicandoli dal proprio habitat. Raccontò, il pinguino, dei compagni abbandonati nel capannone in attesa che qualcuno si ricordasse di loro, e di quanto soffrissero e desiderassero tornare al proprio Paese, dalla propria famiglia.

« Io qui sto male. Ho bisogno di un clima freddo, di tornare al Polo Sud » pianse il pinguino.

Milo era commosso. « Non piangere, Hielito, non piangere. Ti aiuterò io » disse risoluto. « Adesso intanto ti porto a casa con me, così la mia mamma umana ti preparerà da mangiare tante cose buone. E poi vedrai, lei è proprio in
gamba, saprà certamente cosa fare. »

(continua in libreria…)

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