“Il motivo romantico della donna che sviene su perigliosi sentieri per essere salvata dal giovanotto di turno, viene rovesciato, e la contrabbandiera salva i compagni, giocando d’astuzia, o si salva da sé, traendo forza dagli stessi pregiudizi maschili che la escluderebbero a priori da contesti diversi da quelli domestici, famigliari e rassicuranti” – In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “I bambini del bosco”, su ilLibraio.it la riflessione dell’autrice, Romina Casagrande, sulle imprese di montagna di molte donne negli ultimi due secoli

Hanno nomi suggestivi, le montagne. Sono legati alla terra in cui affondano radici ancestrali e a volte la descrivono, come Nanga Parbat, la Montagna nuda. O Madre del cielo, appellativo con cui il popolo degli sherpa si rivolgeva con rispettosa, sacra, cautela alla regina degli Ottomila prima che Andrew Waugh, topografo inglese di stanza in India, le desse il nome dello stimato predecessore, Sir George Everest, che mai ci salì.

Custodi del selvaggio, che sfugge e non vuole essere addomesticato, portano nelle loro definizioni toponomastiche una lunga storia di scalate e tentativi di conquista, banco su cui rendere prova non soltanto di forza fisica e coraggio, ma di rinuncia e rapidità di decisione, razionalità, calcolo.

Tanto bastava perché di fronte alle impressionanti ascese di Mary Varale, scalatrice italiana allieva di Tita Piaz e protagonista di centinaia di salite sulle pareti più impegnative delle Dolomiti, il giornalista Severino Casara scrivesse che “una simile donna doveva essere quasi della medesima tempra dell’uomo, per sopportare rischi e difficoltà estreme”. Sarà la stessa Mary, delusa da un mondo che le donne le prendeva poco sul serio e che non le aveva mai perdonato di essere brava davvero, a portare in superficie la questione.

Con una lettera al vetriolo spezza il sodalizio che l’aveva a lungo legata al Cai, “compagnia di ipocriti e di buffoni” – scriverà – rei di non aver concesso la medaglia ad Alvise Andrich perché aveva voluto con sé lei, una donna così diversa dall’ideale fascista di angelo del focolare, nell’impresa di Cimon de la Pala. Se il mondo agonistico e associazionistico degli anni ’30 non era ancora disposto a riconoscere i successi e il valore delle pioniere dell’alpinismo, con tutt’altro spirito la prendevano le molte donne per le quali scarponi e rocce erano questione di sopravvivenza.

I sentieri della regione gardenese sono stati percorsi in lungo e in largo fin oltre il confine, in tutto l’Ottocento, da generazioni di venditrici ambulanti che attraversavano le montagne armate di gerla e bastone per vendere oggetti intagliati nel legno, lenti per occhiali, pizzi, stoffa e articoli di uso quotidiano. Con l’arrivo di scalatori e turisti alcune di loro, lasciate sole dai mariti in cerca di lavoro all’estero, accompagneranno in ascesa i nuovi arrivati dalla città.

La loro condizione di madri sole, con mariti a lungo assenti, era oggetto di riprovazione e maldicenze, ma l’emancipazione non si nutre soltanto di scaltrezza e coraggio, e passa anche, là dove la fame morde, attraverso il denaro. Ben lo sapevano le contrabbandiere che nei quadri di Mathias Schmid non soltanto salgono con gli uomini, li proteggono e li coprono dalla polizia di confine, ma, a volte sole o in compagnie femminili, sfuggono ai confini domestici, per di più durante la notte, e si avventurano fra le rocce.

La loro scaltrezza le farà amare dalla gente e se la storia sembra averne dimenticato i nomi, sono le memorie orali e popolari a rendere loro omaggio, vagheggiando ad esempio le imprese di Romana Kehrer, contrabbandiera molto attiva nel dopoguerra sul confine austriaco, che più volte sfuggirà a fermi e controlli di frontiera. Il motivo romantico della donna che sviene su perigliosi sentieri per essere salvata dal giovanotto di turno, viene rovesciato, e la contrabbandiera salva i compagni, giocando d’astuzia, o si salva da sé, traendo forza dagli stessi pregiudizi maschili che la escluderebbero a priori da contesti diversi da quelli domestici, famigliari e rassicuranti.

E se la gente di montagna sa che non si sale senza un vero motivo e che arrivare primi o più in alto non è la lezione impartita dalla montagna, sono le donne a consegnare alla memoria le pagine più interessanti sul parallelismo tra ascesa e formazione. Costrette, lungo la salita, a riflettere sul loro ruolo e sulla solitudine delle scelte anche quando queste sono condivise dai compagni, come testimonia il sodalizio che unisce Hettie Heymann e il geologo Günter Dyrenfurth, suo marito e partner di scalata nella prima impresa himalayana internazionale cui parteciperà una donna.

L’intraprendenza della giovane Hettie mette in imbarazzo la famiglia alto borghese da cui proviene, ma consegnerà alla storia il diario della sua esperienza, Memsahb* im Himalaja, che raccoglie le sue annotazioni e le lettere ai figli. Nel suo ruolo di madre, Hettie si sente di dover giustificare la partecipazione all’impresa.

Sono gli anni Trenta e nello stesso arco di tempo in cui Mary Varale interrompe i contatti con il mondo dell’associazionismo e prosegue da sola la sua strada, Hettie sarà costretta ad abbandonare l’Europa per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Comincia una nuova vita in America, divorzia dal marito. Ma sarà la passione per la montagna a rimettere il figlio sui passi della madre per condurre, nel 1963, la prima spedizione che portò un americano sulla cima del Monte Everest.

A Hettie, nel 1936, sarà concessa la medaglia olimpica per l’alpinismo, e il riconoscimento che era stato negato a Mary Varale. “Credo che ciò non sia del tutto inutile, se non altro per dimostrare e ricordare a chi finge di non saperlo, che noi donne non siamo poi quegli esseri pavidi e debolucci che i signori uomini vogliono far credere” (Mary Varale).

* “Memsahb” – annoterà Hettie – “così i nativi dell’India chiamano la donna bianca”.

Casagrande - I bambini del bosco

L’AUTRICE E IL LIBRO – Romina Casagrande vive e insegna a Merano, in provincia di Bolzano. Laureata in lettere classiche e appassionata di storia, ha collaborato con alcuni musei, realizzando percorsi didattici interdisciplinari. Ama la natura, la montagna e condivide la sua casa con tre pappagalli, due cani e un marito. Con Garzanti ha pubblicato I bambini di Svevia (2020).

Ora torna in libreria con I bambini del bosco (Garzanti), un romanzo che parla di libertà, di coraggio, di riscatto. Il sentiero ripido e impervio si snoda tra rocce e crepacci fino alla Cima delle Anime. Unisce due terre di confine, e a tracciarlo sono stati i passi di chi notte dopo notte lo percorre cercando un varco sui crinali. Da sempre protegge il cammino delle contrabbandiere che di nascosto lo solcano quando le primule e gli anemoni richiudono le loro corolle alla luna. Donne per le quali una scelta così difficile è l’unica possibilità di indipendenza. Anche se è pericolosa. Molto pericolosa.

Quando Luce scopre la loro esistenza, i suoi desideri prendono finalmente corpo. Suo padre e suo fratello le hanno insegnato che quelle montagne non sono adatte a una ragazza. Che il suo compito è aspettare a casa il loro ritorno. Ma ora è pronta a sfidare quel divieto. A darle forza è Thomas, un ragazzo senza un passato né un luogo a cui tornare, che ha imparato sulla propria pelle che la natura può elargire doni inaspettati, crudele quanto accogliente.

Luce sente che con lui esiste un legame speciale, profondo come le radici di un albero. Quello che però non può sapere è che Thomas custodisce un segreto che proietta un’ombra cupa sulla sua vita. Un segreto che appartiene al passato ma che anni dopo, su quello stesso misterioso sentiero, intreccerà la vicenda di Luce e Thomas con quella di un bambino scomparso e di un uomo pronto a tutto per ritrovarlo. In una ricerca nella quale ogni passo, ogni pendio superato è un viaggio dentro sé stessi alla scoperta delle proprie origini e della propria identità.

Con questa storia Romina Casagrande torna a fare luce su una pagina della nostra storia rimasta nell’ombra. E lo fa dando voce a donne di cui si è perduto persino il nome e alle loro conquiste. Il suo racconto prende per mano chi legge e ci fa immerge nella magia delle montagne, che sono maestre di vita generose ma esigenti, che possono dare molto ma molto chiedono in cambio.

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