“L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” è un “saggio” dalla sensibilità sempre attuale, tornato in classifica dopo più di trentacinque anni dalla prima edizione anche grazie alla spinta di TikTok. Ormai diventato un classico, Oliver Sacks è stato in grado di mettere a nudo i più bizzarri e rilevanti casi clinici incontrati durante la sua carriera facendo emergere paure, desideri e storture della natura umana nelle loro forme più sconvolgenti ed estreme

Pubblicato per la prima volta in Italia da Adelphi nel 1986 (un anno dopo l’uscita negli Stati Uniti) e da allora diventato un caposaldo del catalogo adelphiano degli ultimi decenni, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (traduzione di Clara Morena) di Oliver Sacks è tornato da alcuni mesi alla ribalta delle classifiche grazie anche alla spinta di TikTok.

Hashtag di tendenza e video recensioni dei booktoker hanno infatti permesso di rispolverare o, in alcuni casi, di definire interamente il successo di titoli che anche molti anni dopo la pubblicazione sono tornati in auge fra i lettori e i social. È quanto avvenuto, ad esempio, per titoli molto diversi tra loro come Follia (Adelphi, traduzione di Matteo Codignola) di Patrick McGrath, La canzone di Achille (Marsilio, traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini) di Madeline Miller, Una vita come tante (Sellerio, traduzione di Luca Briasco) di Hanya Yanagihara e Dio di illusioni (Rizzoli, traduzione di Idolina Landolfi) di Donna Tartt.

E torniamo al caso de L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello: le ragioni della (ri)scoperta di questo titolo da parte dei lettori più giovani, appartenenti alla generazione Z, sono molteplici e attengono sia alla qualità stessa del testo, da sempre ritenuto caposaldo di quella letteratura di confine fra romanzo e saggistica pura, sia a un carattere della società contemporanea, sempre più curiosa nei confronti delle neuroscienze e di tutto ciò che circonda quel labile confine fra scienze umane e scienze naturali, fra psicologia e filosofia da un lato e psichiatria e neurologia dall’altro.

L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello è un testo sui generis: formalmente un saggio, di fatto un libro-mondo, con un marcato taglio narrativo e aneddotico e con il fine ultimo non tanto di sciorinare casi clinici, quanto di mettere a nudo paure, desideri, storture della natura umana nelle loro forme più sconvolgenti ed estreme, procurando in chi legge un vertiginoso effetto ora di rassicurazione, ora di malinconia.

Sacks prende in esame alcuni dei malati incontrati durante la sua carriera di neurologo e li suddivide in quattro gruppi, a seconda della natura delle lesioni encefaliche del paziente: perdite, eccessi, acute reminiscenze, insufficienze mentali.

Il campionario umano preso in esame è vasto ed eterogeneo: ventiquattro “casi” in tutto, trattati in testi di lunghezza variabile, mettono in scena una rappresentazione quasi enciclopedica degli estremi dell’assurdo cui la natura umana può giungere. In apertura si incontra il caso del dottor P., da cui deriva il nome dell’opera: questi, a causa di un’acuta forma di agnosia visiva, non è più in grado di distinguere i singoli oggetti e di visualizzare la realtà in una dimensione critica organica; da qui l’episodio, avvenuto sotto gli occhi del dottor Sacks, del paziente che ha scambiato la testa della propria moglie per il proprio copricapo.

Seguono pazienti coi i più disparati disturbi, dai quelli maggiormente diffusi e conosciuti, come alcune forme di autismo ad alta funzionalità (per le quali chi ne è affetto può avere una spiccata sensibilità verso l’arte figurativa o la matematica), la sindrome di Tourette e quella dell’arto fantasma, ad altri meno noti e catalogabili, sempre legati alla percezione di sé stessi all’interno del mondo, dello spazio e del tempo della propria esistenza.

In questa congerie di esistenze strappate alla realtà e spesso anche alla percezione del proprio corpo e del proprio pensiero, è l’io narrante e autoriale, il motore unificante dello scrittore – che prima ancora di essere tale è medico e personaggio interno alle vicende narrate – ciò che fa da collante e conferisce profondità umana e valore letterario a questi scritti.

Sacks non si limita a realizzare un report freddo e asettico di casi clinici, né ad osservare i pazienti con un approccio puramente clinico-biologico, naturalistico, ma prende parte attivamente al dramma di uomini e donne imprigionati dentro i cortocircuiti della propria mente, prova a studiarne e a comprenderne le differenti categorie di funzionamento a partire dal contatto umano, empatico.

Oliver Sacks

Oliver Wolf Sacks (1933 –2015) – foto di Leonardo Cendamo per Getty Images

Come dichiara lo stesso autore fin dalla prefazione, un approccio meramente scientifico e nozionistico non solo rischia di mortificare la complessità insondabile e inafferrabile della natura umana e dunque anche della patologia, ma soprattutto rappresenta già di per sé un ostacolo alla comprensione e allo studio di mali che coinvolgono l’anima quanto il corpo.

Alla qualità di un testo che si presta a essere letto per piacere, curiosità o anche studio specialistico contribuisce senz’altro la voce di un autore, come Oliver Sacks, che, lungi dall’essere un tradizionale letterato impregnato di poesia e romanzi d’invenzione, si pone al contempo con piena partecipazione emotiva sia in direzione dei propri pazienti descritti nel testo sia, di conseguenza, verso la pagina stessa, la scrittura e dunque anche verso il lettore, il quale, conclusa la lettura, sentirà un legame diretto e quasi intimistico con il famoso neurologo americano.

Negli anni L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello ha rappresentato per molti lettori non avvezzi alla lettura di saggi il felice compromesso fra saggistica pura e narrativa, un invito alla riflessione letteraria di taglio psicologico in direzione della tematica medica, cambiando così non solo l’approccio verso il testo scientifico, ma l’intera percezione del mondo e del modo in cui la natura umana può essere studiata e infine raccontata.

La medicina, ci insegna Sacks con la sua opera, non attiene solo al medico e, allo stesso tempo, non è medico solo colui che pratica la medicina in senso stretto: lo studio dell’umano, del corpo e della mente congiuntamente, appartengono a chiunque, così come è proprio della scrittura a tutto tondo, in quanto forma di osservazione ed esplorazione dell’uomo: non c’è cura senza scrittura, non c’è scrittura senza cura. E questo libro ne è la più plastica ed evidente dimostrazione.

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