In questi giorni, al Salone del libro di Torino, si parla di una “grande stanchezza” che serpeggia tra gli intellettuali italiani. Su ilLibraio.it la riflessione di Enrico Galiano, insegnante e scrittore: “Credo che molte delle disillusioni che oggi attraversano chi scrive e pensa siano nate anche da un allontanamento silenzioso ma costante: quello dai giovani. Dalla loro fame, dal loro disordine, dalla loro luce che a volte acceca e a volte confonde. Troppi hanno smesso di parlare con loro, e soprattutto di ascoltarli…”
In questi giorni si parla molto di una “grande stanchezza” che serpeggia tra gli intellettuali italiani, specialmente tra quelli che popolano gli stand e i palchi del Salone del Libro. Una stanchezza culturale, dicono. Una specie di esaurimento emotivo e mentale, una perdita di fiducia nel potere trasformativo delle parole.
Lo ha scritto molto bene Andrea Colamedici in un articolo che ho letto (sul sito di Tlon, ndr), guarda caso, proprio mentre ero qui, seduto su uno scalino dei padiglioni del Salone, tra una presentazione e l’altra. E mentre lo leggevo, intorno a me c’era un’energia che mi sembrava dire il contrario: ragazzi in fila per un autografo, insegnanti con le borse stracolme di libri, bambini che disegnavano copertine immaginarie. Non lo so, magari sono io. Ma quella stanchezza lì, almeno quella, faccio fatica a sentirla.

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La stanchezza che conosco io è un’altra. È quella bellissima che ti spacca in due e ti rimette insieme. È la stanchezza di quando, finita una presentazione, ti si avvicina una ragazza di tredici anni – Martina – che ti porge una lettera scritta a mano, sette pagine fitte di vita vera. Dentro ci sono notti insonni, l’ansia che stringe la gola, e poi quella pagina che, a detta sua, l’ha aiutata a non mollare.
O Samuele, diciassette anni, che aspetta in silenzio fuori da un teatro con un foglio in tasca. Sopra, una frase sola: “Quel libro mi ha fatto fare pace con mio padre”. Ti guarda, ti chiede se può abbracciarti. Lo fa. E se ne va, senza aggiungere altro.
O ancora Giulia, che ti si stringe addosso piangendo e ti sussurra: “Mi sono sentita capita per la prima volta. E avevo bisogno che qualcuno mi dicesse che non ero sbagliata”.
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Poi c’è quel bambino di dieci anni che fa un’ora di fila solo per consegnarti un disegno ispirato a una tua pagina. Ti guarda come se avessi fatto qualcosa di enorme, e invece tu avevi solo scritto. Ma per lui non è stato solo. È stato quel momento lì, quello che arriva esattamente quando ne hai più bisogno, e cambia l’aria attorno.
Ecco, non puoi – in nessun universo possibile – sentirti disilluso, se ti capita tutto questo.
Credo che molte delle disillusioni che oggi attraversano chi scrive e pensa siano nate anche da un allontanamento silenzioso ma costante: quello dai giovani. Dalla loro fame, dal loro disordine, dalla loro luce che a volte acceca e a volte confonde. Troppi hanno smesso di parlare con loro, e soprattutto di ascoltarli.
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Eppure, ogni volta che lo fai, ogni volta che ti sposti un po’ più in là da te stesso e ti lasci toccare da una voce nuova, da uno sguardo fresco, da una domanda vera, qualcosa succede. Una scintilla si riaccende. E scrivere torna ad avere un senso.
Perché sì, è vero che in Italia si legge meno. Ed è vero che a volte sembra che i libri non spostino più nulla. Ma forse è anche perché chi li scrive ha smesso di spostarsi. Di uscire dal proprio cerchio. Di correre il rischio più grande: farsi toccare.
Per fortuna, ogni tanto incontri voci che quella fame non l’hanno persa. Qualche sera fa ero a cena con una scrittrice vincitrice del Premio Campiello. La cosa più bella? Non parlava di sé. Non perché volesse nascondersi, ma perché era molto più interessata a lasciarsi sfiorare dalle storie che venivano da fuori. Voleva sapere dei ragazzi, delle scuole, di cosa succede là fuori, davvero. Era tutta rivolta verso il mondo, e io pensavo: ecco, vedi, è da qui che si riparte.
Non dalla nostalgia. Non dal disincanto. Ma dalla possibilità di lasciarsi ancora stupire.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti usciti per Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita nn basta, e ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore. Dal 13 maggio, anche per Garzanti, il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.
Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche con dei video per Instagram e TikTok).
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