Vera, la protagonista di “Quel posto che chiami casa”, il nuovo libro di Enrico Galiano (di cui pubblichiamo un estratto), è accompagnata ovunque dalla voce del fratello, morto quando lei aveva quattro anni. Lo scrittore e insegnante torna con un viaggio nei segreti che ci portiamo dentro, nella voce che ci spinge a diventare chi siamo davvero…
Quel posto che chiami casa (Garzanti) segna il ritorno in libreria di Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, protagonista anche a teatro, oltre che su Facebook, Instagram e TikTok, e assiduo collaboratore del nostro sito e delle nostre pagine social.
Il nuovo libro di Galiano è un romanzo capace di parlare alle ragazze e ai ragazzi, ma anche agli adulti, ed è un viaggio nei segreti che ci portiamo dentro, nella voce che ci spinge a diventare chi siamo davvero. Perché solo così possiamo trovare, finalmente, il posto che chiamiamo casa, si spiega nella presentazione…
LA TRAMA DEL NUOVO ROMANZO
Vera, la protagonista di Quel posto che chiami casa, non è mai stata sola. Da quando è bambina, una voce l’accompagna ovunque: la sveglia di notte, la incalza, la consola. È la voce di suo fratello Cè, morto quando lei aveva quattro anni. È una voce ironica e tagliente, capace di regalarle pensieri stravaganti come: “Non esiste un sinonimo di sinonimo” o “la neve è la prova che non hai bisogno di urlare per farti vedere”.
Ma è anche un giudice severo, che la mette alle strette con una semplice domanda: “Sei davvero Vera?“.

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Ma chi era Cè? Per i genitori è stato il figlio perfetto, e Vera ha vissuto ogni giorno nella sua ombra. Ogni scelta è un confronto impossibile, persino quella di studiare giurisprudenza: Vera lo fa per sé stessa o per inseguire un fantasma? Per fortuna con lei c’è Gin, la sua migliore amica, che trova sempre il modo per farla ridere e sentire meno strana. Poi accade qualcosa di inspiegabile. Vera sa che non dovrebbe dare ascolto alla voce di Cè. Eppure, un giorno, decide di mandare tutto all’aria e di inseguire una coccinella dietro i cancelli di una clinica. Qui incontra Francesco: un ragazzo che sembra conoscerla più di chiunque altro. Forse è lui l’unico che può aiutarla a scoprire il segreto che la sua famiglia tiene nascosto da anni. Perché Francesco le insegna una cosa semplice, ma difficilissima da accettare: Vera non è pazza. È soltanto viva. Ed essere vivi, a volte, non è poi così diverso dall’essere pazzi.
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I LIBRI DI ENRICO GALIANO
Dopo il successo di romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande.
Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti.
Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, lo scrittore è tornato in libreria con Una vita non basta… E ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore. Ora un nuovo romanzo.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
Oggi ho visto il dottor Sergio.
È un simpatico signore pelato di mezz’età con gli occhiali dalla montatura spessa e colorata, ogni giorno ne porta una diversa. Oggi era arancione. La montatura, non il dottore. Dice che devo parlarti.
«Vedrai, vedrai che bene che fa!»
Come se non avessi fatto altro, in tutti questi anni. Gli ho chiesto cosa avrei dovuto dirti e lui mi ha detto di raccontarti cos’è successo in tutto questo tempo.
«Scrivigli, anzi! Prendi carta e penna e digli tutto quello che senti, tutto quello che vuoi!»
Mentre lo diceva, io mi domandavo se il dottor Sergio fosse sempre stato tipo da occhiali stravaganti o se magari da giovane era un tipo super regolare e preciso e poi a un certo punto della sua vita è successo qualcosa che lo ha trasformato.
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Mi faccio di continuo domande come questa. La gente mi parla e io mi chiedo come mai portano i capelli in un certo modo, cosa vuol dire quel tatuaggio, perché se lo sono fatti, cose così. Di continuo, davvero.
«Non aver paura! Tutto quel che ti passa per la testa! Raccontagli la tua vita come fosse un romanzo!»
Sapesse quante volte l’ho fatto. Trascrivevo su un blocchetto per gli appunti quello che la tua voce mi diceva nella testa. Ma quello non gliel’ho fatto vedere: ho già troppa gente che mi dà della pazza.
Lui dice che devo usare il passato remoto, proprio come nei romanzi.
«Aumenta la sensazione di distacco. Fa parte del processo di individuazione!» ha detto.
D’accordo, dottore. Da dove comincio, allora?
Boh, nel modo che mi viene più naturale.
Caro Cè.
Qui la tua sorellina, Vera. Hai presente? Certo che hai presente, che domande.
Ho appena compiuto vent’anni, ma questo lo sai. Non credo di essere poi così cambiata, da quando dormivamo nella stessa stanza. Ho ancora gli stessi occhi castani, però se un po’ di sole li sfiora diventano quasi verdi, come lo erano i tuoi; gli stessi capelli color caramello, come i tuoi, e anch’io come te invece da piccola ero biondissima. L’unica cosa che non hai anche tu è questa piccola cicatrice vicino al sopracciglio destro, vedi? Me la sono fatta da piccola cadendo dalle scale. È strana, però, perché è a forma di mezzaluna. Se ci metto un po’ di matita sopra sembra tatuata.
Anche il resto è più o meno uguale. Ancora non mangio cioccolata, e ho sempre paura degli specchi, come te. Flippo, il nostro cane zoppo, è ancora vivo, sai? Saltella ancora al posto di camminare, anche se adesso con molta meno forza.
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Studio giurisprudenza, guarda un po’: proprio come avresti voluto fare tu. Ho un ragazzo che mi ama e una migliore amica di nome Gin. Tutto va come deve andare. O meglio: andava.
Sì, per quasi tutta la vita sono stata la ragazza perfetta, quella che non sbaglia un colpo. Poi ho cominciato a sbagliarli tutti.
Quando parlo con gli adulti, mi dicono sempre che vent’anni sono pochi. Dicono che devo ancora cominciare a vivere, ma non sanno che vent’anni possono essere già una vita. A volte, anche due.
Sì, Cè: c’è stata una vita prima di te, e una vita dopo di te. E nella lista che ho fatto manca un dettaglio: ho un cane, un ragazzo, una migliore amica, ma anche un fratello. Tu, Cè.
Forse ti chiederai perché ti chiamo ancora così. Devi sapere che a casa nostra è letteralmente vietato fare il tuo nome per intero, per cui mi sono abituata a chiamarti come facevo quando ero piccola e, per fare prima, ti chiamavo solo: Cè. Ti ricordi?
Fa strano, lo so. Chiamare Cè qualcuno che non c’è. Lo considero anche questo uno dei tanti segni che il destino, o chi per lui, ha deciso di buttare lì per farmi tornare da te, come i sassolini di Pollicino disseminati nel bosco scuro e spaventoso in cui mi sono persa. Il bosco è la clinica dove siamo adesso e, come in ogni fiaba che si rispetti, anche nella nostra c’è un orco. Un orco cattivo, famelico e senza cuore che ti ha portato via per tanto, troppo tempo.
Lo so, hai ragione, non sono bravissima a raccontare le cose: non ci si sta capendo niente. Ma tutto sarà chiaro, vedrai, quando lo racconterò dall’inizio. E se devo trovare un punto in cui tutto è cominciato, non ho alcun dubbio su dove cercarlo.
Fra le righe di quel tema.
(continua in libreria…)
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