Dopo “Maid – Donna delle pulizie”, diventata una serie Netflix con Margaret Qualley, ora “Class”: Stephanie Land torna con un romanzo-memoir che parla di soldi (e nello specifico della loro mancanza). E riflette sulle difficoltà che incontra una madre single, che si ritrova a gestire da sola il carico della genitorialità. Descrive minuziosamente i sussidi statali e la complessa, e spesso contraddittoria, burocrazia per ottenerla: nel farlo, denuncia gli atteggiamenti perbenisti della società. Ma non dimentica la sua passione per la scrittura…
Sesso, soldi. I due argomenti di cui è meglio non parlare in pubblico. Potremmo dire che oggi molte indicibili verità sono state finalmente dette: che viviamo in un periodo storico in cui siamo in genere molto più consapevoli delle battaglie che si portano avanti per ogni gruppo marginalizzato e oppresso. Ma sesso e soldi continuano, in qualche misura a metterci a disagio.
Stephanie Land invece, del parlare dei soldi e nello specifico della loro mancanza, ci ha fatto una carriera: prima con Maid – Donna delle pulizie, poi diventata serie Netflix con Margaret Qualley, e ora con Class, uscito per Astoria nella traduzione di Chiara Libero.
Può interessarti anche
Land, giornalista e scrittrice, è stata madre single per buona parte dei suoi trent’anni. Uscita da una relazione abusiva, si è ritrovata sola con una bambina di 10 mesi, il sogno di frequentare un prestigioso corso di scrittura e 200 dollari sul conto.
La sua famiglia di origine è pressoché inaffidabile: il padre assente, la madre addirittura ha una nuova vita in Europa.
In Maid racconta delle case in cui andava a pulire per mantenersi a Port Townsend. In Class, Stephanie Land narra cosa succede un pochino dopo: un anno che ha definito forse il più difficile, in cui si è trasferita in Montana per l’università, la figlia ha iniziato le elementari e, mentre si stava avvicinando alla laurea, ha preso un’altra decisione di quelle che rendono una vita sotto la soglia della povertà ancora più difficile: è rimasta incinta un’altra volta, e ha deciso di proseguire la gravidanza (già: dei due argomenti tabù parla anche, a suo modo, di sesso).
Nel suo memoir, Land non gira intorno alle cose. Parla esplicitamente delle difficoltà di una madre single: gestire da sola il carico della genitorialità, e, peggio ancora, gli sbalzi d’umore della piccola dopo essere stata con il padre, un uomo manipolatore che utilizza la figlia come arma contro Land. Ma anche del ritagliarsi del tempo libero che non sia lavoro – quasi impossibile quando deve lavorare in ogni momento che non è dedicato allo studio – o coltivare amicizie e relazioni sentimentali.
Per non parlare dell’unico, vero obiettivo di Land: diventare una scrittrice. Dimostrare a sua figlia che la sua testardaggine – che, assicura, è genetica – la porterà a ottenere quello che vogliono, a dispetto delle circostanze.
Può interessarti anche
Le pagine scorrono veloci nel ritmo asfissiante delle sue giornate, tra le acrobazie per far girare i conti, gli imprevisti come una macchina che ormai si rompe troppo spesso, il cibo che non basta mai e soprattutto non è sano né nutriente per una bambina di sei anni e una donna di 35. Stephanie Land descrive minuziosamente i sussidi statali e la complessa, e spesso contraddittoria, burocrazia per ottenerla: nel farlo, denuncia gli atteggiamenti perbenisti della società.
Smonta il concetto di resilienza, per cui le persone povere hanno l’unica possibilità di resistere, mai un moto di ribellione, ma uno scatto di rabbia, per non rischiare di finire dalla parte del torto, la parte designata per chiunque provi a reagire a una situazione insostenibile. Dal momento che è iscritta all’università, Land ritorna più volte sul paradosso per cui per ottenere un buon lavoro l’unica possibilità è indebitarsi fino al collo per avere nemmeno la cultura necessaria, ma le conoscenze, i contatti giusti, per inserirsi nel giro.
Land non ha paura di risultare sgradevole, di beccare il lettore in fallo mentre la giudica per le sue scelte di vita: chiama in causa l’ipocrisia di chi vorrebbe i poveri “buoni”, che non commettono mai errori, che dicono sempre la cosa giusta, che si meritano insomma di essere aiutati dallo Stato e dalla collettività.
Può interessarti anche
E quindi, la Stephanie di carta ha 35 anni, ma si trova meglio con i suoi compagni di corso, con undici anni in meno, che con i coetanei; ha un approccio a dir poco creativo con la contraccezione, perché costa troppo (però, nell’analizzare il problema dell’accesso ai preservativi, ragiona soprattutto in termini di gravidanze evitate, tralasciando l’altrettanto importante tema delle malattie sessualmente trasmissibili); frequenta uomini discutibili, e si prende tutti i diritti di (sbagliare, essere antipatica, fare di testa di propria) che le sarebbero negati dalla concezione pubblica della povertà.
Allo stesso tempo, sapendo che queste pagine le scrive la Land che è diventata effettivamente, come desiderava, una scrittrice di successo, come possiamo raccontare le storie di rivalsa, sapendo che sono una goccia nel mare?
Può interessarti anche
Consapevole di avere, almeno, il privilegio di essere bianca, Land allarga quando riesce lo sguardo sulla situazione generale: il welfare che non funziona, un sistema giudiziario che gestisce il caso della custodia e degli alimenti della figlia applicando parametri impossibili, un sistema che non permette a nessuno di alzare la testa.
Salvo che lei ce l’ha fatta. Spesso a spese del tempo da passare con la figlia, e delle amicizie: le persone della sua vita sono per lo più le persone che la possono aiutare. Nel momento in cui per qualche motivo alcune delle sue persone non possono essere presenti (o provano a mettere in discussione alcune delle sue decisioni, non in tono paternalistico, ma come si fa in un rapporto paritario di amicizia), questi rapporti, che giudica superficiali perché non è nella condizione di dare niente in cambio in termini di tempo e attenzioni, vengono immediatamente interrotti.
Può interessarti anche
La Stephanie Land di oggi non si sofferma su queste sue reazioni del passato, in qualche modo è come se si mantenesse in quello stesso stato mentale. E quindi, si può parlare di una storia di successo, se non c’è una crescita? Sappiamo che c’è stata materialmente, da tutto ciò che è esterno dal libro – il resto della sua storia, i suoi profili social. Ma dalle pagine, la sensazione è quella di rimanere bloccati in un loop infinito, dove i traumi non vengono mai elaborati, e il mondo si divide in cattivi e buoni.
Lo Stato fallisce nell’offrire opportunità ai cittadini, e non crea le condizioni per cui sia possibile anche formare quei legami che curano. La promessa del successo tangibile, dietro cui si nasconde il sogno americano, non guarisce nessuna ferita: in un libro che dice sfacciatamente la verità su tutto quello che riteniamo sgradevole, questa ulteriore realizzazione è una botta fortissima.
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

Fotografia header: credits: Nicol Biesek