Un’esultanza liberatoria, la sciarpa dell’ex squadra, la rabbia per un tradimento, le lacrime per un trionfo macchiato da un infortunio e il ginocchio martoriato alla fine di mille battaglie. In occasione dell’uscita del libro “Roberto Baggio. Il divin codino” (e dell’atteso film Netflix), su ilLibraio.it Claudio Moretti racconta la carriera del calciatore in cinque immagini iconiche

Un’esultanza liberatoria, la sciarpa della ex squadra, la rabbia per un tradimento, le lacrime per un trionfo macchiato da un infortunio e il ginocchio martoriato alla fine di mille battaglie.

Ecco la carriera di Roberto Baggio racchiusa in cinque immagini iconiche. 

L’ESULTANZA, Roma, 19 giugno 1990

«Grandissimo gol di Baggio, grandissima impresa di Baggio!», urlò il telecronista della Rai Bruno Pizzul.

Subito dopo il gol contro la Cecoslovacchia, Baggio iniziò a correre verso la tribuna Monte Mario. Si sentì attraversato da una scarica di adrenalina. In un impeto di gioia incontrollabile buttò fuori tutto: il passaggio alla Juventus, i viola, i tifosi, le proteste, gli scontri a Firenze. 

Questo gol sembrò proiettarlo verso un’altra dimensione. Si sentì volare. E poi libero, finalmente in pace, si gettò a terra a pancia in su. Come svenuto, in una specie di auto-sindrome di Stendhal. Quasi trasfigurato da quello che stava vivendo, si coprì il viso con le mani, per la vergogna che tutti potessero vedere la sua anima.

LA SCIARPA VIOLA, Firenze, 6 aprile 1991

Dopo aver deciso di non tirare un calcio di rigore contro la sua ex squadra, la Fiorentina, Roberto Baggio trascorse tredici minuti di pura agonia. 

Il giocatore che calciò il rigore al suo posto, Luigi De Agostini, l’aveva fallito e questo dettaglio rese ancor più drammatica la decisione di Baggio, come l’eroe di una tragedia alle prese con il fantasma del suo passato.

Poi il mister Gigi Maifredi, in un atto di estrema pietà, staccò la spina e lo cambiò. Dentro Angelo Alessio e fuori Baggio.

Roberto indossò il giaccone della Juve e camminò fuori dal campo lungo la tribuna. Qualcuno lanciò una sciarpa viola della Fiorentina. Baggio si chinò senza fermarsi e la raccolse. La strinse in mano mentre uscì dal campo e salutò la curva Fiesole.

I fischi che l’avevano accompagnato dal primo minuto si trasformarono in applausi.

«QUESTO È IMPAZZITO!?», New York 23 giugno 1994

Gianluca Pagliuca uscì alla disperata oltre il limite dell’area di rigore e fermò con un braccio il tiro dell’attaccante norvegese.

L’arbitro Hellmut Krug non ebbe il minimo dubbio: cartellino rosso. 

Sacchi restò di sasso, in piedi davanti alla panchina. Aveva solo pochi istanti per decidere chi togliere per lasciare il posto al secondo portiere Luca Marchegiani.

Il cartello luminoso indicò il numero dieci: Baggio. Roberto lo guardò. Convinto si trattasse di un errore, indicò sé stesso, come a dire: Mah, io?

E poi, quando glielo confermarono, aggiunse: «Questo è impazzito?!».

Si sentì tradito da Sacchi. Non era stato forse il CT in persona a dirglielo: «Tu per questa squadra sei insostituibile, come Maradona per l’Argentina»?

Baggio pensò che Maradona non l’avrebbero mai sostituito in una situazione del genere. Anche se l’arbitro avesse espulso 10 argentini lui sarebbe rimasto da solo in campo, come portiere volante, come si faceva al campetto da ragazzini.

LE LACRIME, New York, 13 luglio 1994

La partita di Roberto Baggio era stata immensa, perfetta. Con una meravigliosa doppietta aveva portato in scena la migliore prestazione individuale nella Coppa del Mondo da Maradona a Messico ‘86.

A venti minuti dalla fine iniziò a trotterellare in campo. Poi si fermò toccandosi la gamba destra. Il volto fin lì tirato e perfetto s’increspò in una profonda smorfia di dolore.

Uscì dal prato del Giants Stadium tra gli applausi, con gli occhi di tutti addosso. Pianse, abbracciato a Gigi Riva.

Le sue erano lacrime di gioia per la finale raggiunta e allo stesso tempo di paura di non poterla disputare a causa dell’infortunio. Impossibile distinguere le une dalle altre e capire quali fossero più numerose. Non potevano essere due sentimenti sommati, era un unico impasto che conteneva tutto quanto. E tanto altro ancora.

IL GINOCCHIO MARTORIATO, Milano 16 maggio 2004

Aprì gli occhi nel cuore della notte. Di colpo. Si guardò il ginocchio. Stare troppe ore fermo era una tortura per lui. Come una vecchia macchina che rimane troppo in garage e poi non parte più. Ecco, per avere l’idea, sostituite “macchina” con “ginocchio” e “garage” con “notte”.

L’indomani avrebbe disputato la sua quattrocentocinquantaduesima partita. L’ultima di Baggio.

Poche ore più tardi si trovò nel tunnel dello spogliatoio di San Siro, in attesa di entrare in campo per il riscaldamento. Si appoggiò al muro per un po’ di stretching.

«Vieni a vedere come sto giocando…», Roberto chiamò il cameraman e gli fece segno di avvicinarsi.

«Guarda qua, si vede bene? Fai vedere il liquido che c’è qua, eh?». 

Con le dita spinse la rotula del ginocchio destro per mettere in evidenza il rigonfiamento sottopelle verso il lato opposto.

«Guarda? Si vede?».

Il cameraman fece segno di sì con la testa. Baggio sorrise, con un tocco di amara soddisfazione che era tutto suo.

Copertina del libro Roberto Baggio. Il divin Codino

L’AUTORE E IL LIBRO – Claudio Moretti è stato autore per dieci anni del programma televisivo Sfide. Ha scritto documentari di sport, tra i quali Vola Luna Rossa!, Tutto Pantani e Zaytsev, la mia storia sulla mia pelle. È sposato e ha due figli. Con Newton Compton ha pubblicato libri sul calcio e lo sport, tra cui Il grande libro dei quiz sul calcio italiano e il volume illustrato Storie di grandi campioni per ragazze e ragazzi di talento.

Ora torna in libreria con Roberto Baggio. Il divin codino (Newton Compton, mentre è in uscita su su Netflix l’atteso film Il Divin Codino), dedicato, come annuncia il sottotitolo, alla storia di un campione dentro e fuori dal campo. Fantasia e genio, sfortuna e dolore, rinascita e record, vittorie impossibili e sconfitte imprevedibili, gol impensabili e rigori sbagliati: Roberto Baggio, fra i migliori calciatori italiani della storia, ha lasciato un segno nella vita dei tifosi di tutto il mondo.

Questo libro racconta la sua carriera mai banale, costellata di colpi di bravura assoluti, consacrata da scudetti, coppe, e dal Pallone d’Oro nel 1993. Tre volte con gli azzurri ai Mondiali, tre volte eliminato ai calci di rigore. Gol impossibili da dimenticare, dribbling che rimarranno sempre nella storia dello sport e la beffa del rigore sbagliato quel giorno di luglio del ‘94 nella finale contro il Brasile. “Quando vado a dormire, ci penso ancora”, racconta lui stesso. Un percorso umano, sportivo, personale, spirituale che ha portato il Divin Codino a cadere e risorgere tante volte durante la sua vita sui campi di calcio.

Soprannominato dall’Avvocato Agnelli prima “Coniglio bagnato” e poi “Raffaello” per il suo calcio pittorico, per lui sembra essere stato tutto facile, ma anche tutto in salita. Esordì infatti nel campionato di serie C1 a soli 16 anni, prima di un tremendo infortunio che sembrò mettere fine alla sua carriera. A 19 anni la prima volta in A con la maglia della Fiorentina, per poi diventare il fantasista di Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Fino al 16 maggio del 2004, quando concluse la sua sfolgorante e luminosa carriera. “Da quando Baggio non gioca più… non è più domenica“, cantava Cesare Cremonini e, a distanza di tanti anni, sono ancora in molti a trovarsi d’accordo.

Fotografia header: GettyEditorial 18-05-2021

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