“Ho scelto la novella di Lisabetta da Messina perché mi ha sempre affascinata, dalla prima volta che me la sono sentita raccontare”: su ilLibraio.it un ampio estratto dal racconto di Ilaria Gaspari contenuto nell’antologia “Nuovo Decameron”, che vede protagonisti, tra gli altri, autrici e autori come Jhumpa Lahiri e Michele Mari. Non è la sola operazione di questo tipo: con la pandemia il capolavoro di Boccaccio ha infatti ispirato numerosi scrittori. Lo testimoniano altre antologie, come “Decameron Project” (con Margaret Atwood) e “L’allegra brigata” (con Emanuele Trevi e molti altri)

Ho scelto la novella di Lisabetta da Messina perché mi ha sempre affascinata, dalla prima volta che me la sono sentita raccontare. Riscriverla mi pareva un’impresa improba; quindi, dopo un primo tentativo in cui mi ero ingabbiata nella sintassi originale di Boccaccio, ho deciso di cimentarmi in un’interpretazione affettuosa ma libera, quasi spericolata, umoristica e un po’ sboccata: Boccaccio non aveva paura del buffo né dell’osceno. Mi sono concentrata sugli elementi che più mi colpivano della novella originale: il dolore profondo, come un diritto rivendicato malgrado l’amore di Lisabetta e Lorenzo sia un amore irregolare; il pragmatismo dei fratelli di lei, che ho trasformato in sorelle, ma sempre rapaci e insensibili. Il pianto che si trasforma in un’abitudine consolatoria, quasi un piacere; e, naturalmente, il basilico, la presenza più magnetica e perturbante dell’intera novella. Nel mio racconto ho portato il basilico al centro dell’azione, gli ho dato tutto lo spazio che potevo; l’ispirazione per la storia che ho inventato mi è venuta da un’antica credenza, attestata in fonti latine, in base alla quale per far crescere bene il basilico sia consigliabile piantarlo imprecando. Il dolore di Lisabetta, allora, è diventato un dolore rabbioso, ma non meno sincero… Un dolore che è anche una forma di ribellione, un urlo al cielo – che fa crescere, rigoglioso, il basilico.

Ilaria Gaspari

Giornata IV, novella V

I fratelli di Lisabetta uccidon l’amante di lei: egli l’apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato; ella occultamente dissotterra la testa e mettela in un testo di bassilico, e quivi su piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele tolgono ed ella se ne muore di dolore poco appresso.

Tre ricchi fratelli messinesi hanno per garzone un bellissimo ragazzo pisano, chiamato Lorenzo. Lui si innamora, ricambiato, della loro sorella, Lisabetta, e inizia una relazione segreta con lei. I fratelli lo scoprono, e uccidono il giovane. Lorenzo così appare in sogno a Lisabetta e le rivela il luogo dove è stato sotterrato. La ragazza si reca lì, trova il corpo e, non potendo portarlo via tutto, ne recide la testa. Tornata a casa la mette in un grande vaso, la ricopre di terra e vi pianta sopra un basilico salernitano. Ogni giorno piange per molto tempo accanto al vaso, innaffiando la terra con le sue lacrime. I fratelli lo scoprono e fanno portare via il vaso. Ma senza Lorenzo e senza la sua testa, Lisabetta muore di dolore.

[N.d.E.]

Attraversammo i campi di basilico all’imbrunire. Non avevo mai immaginato che il basilico potesse crescere in distese così vaste; lo pensavo addomesticato in piccoli vasi di terracotta al sole dei balconi, sotto tende striate di giallo che rimbalzano la canicola; persiane semichiuse, testi profumati nella pace della controra. Una volta avevo provato a farne una talea, non attecchì; rimasi delusa, mi piaceva l’idea di piantarlo in una di quelle vecchie maioliche siciliane a forma di testa di moro, e già pensavo al basilico che avrebbe fatto corona, come una massa gagliarda di capelli, allo stupore arcaico del viso di ceramica. Aveva occhi grandi, labbra spesse, sopracciglia disegnate. «Somiglia a me» mi disse Lorenzo. Lui era biondo; ma in effetti, se quella testa avesse avuto capelli, capelli del verde brillante del basilico, sarebbero sembrati fratelli.

[…]

Non crebbe niente. Sul mio balcone esposto a nord il testo diventò un posacenere. Lorenzo fumava come un turco e mi attaccò il vizio. Nelle sere fresche e lunghe, seduti fianco a fianco con la schiena contro il parapetto, fumavamo Gauloises e ciccavamo dentro la gran testa immobile […]. Qualcuno mi aveva detto che la cenere è un fertilizzante straordinario; chissà che succederebbe se lo ripiantassi adesso, mi dicevo, quel cazzo di basilico che non è voluto crescere per talea. E il bello è che io non dico mai parolacce. Non sapevo, allora – me lo disse proprio Lorenzo – che i greci, o forse i romani, comunque certi antichi, sostenevano che per far crescere bene il basilico bisogna piantarlo urlando al cielo. «Urlando cosa?» chiesi io. «Imprecazioni» disse, e rise.

A cosa servirà poi, tutto questo basilico? «Come credi che lo facciano, il pesto?»

Le sue ultime parole: e pensare che il pesto non gli era mai piaciuto.

[…]

Piangevo sul mio vaso – sopra i mozziconi delle sigarette che aveva fumato lui.

Una notte lo sognai. Stava nel campo di basilico, solo; fumava una sigaretta e inveiva contro non so chi. Io gli dicevo […]: «Non si dicono queste parole», lui rideva e mi rispondeva che era colpa delle mie sorelle, che lo facevano lavorare troppo. E poi, il basilico così cresce meglio.

[…]

Mi siedo sul balcone, la camicia da notte sottile sulle mattonelle, ho freddo, non mi muovo. Devo guardare il prodigio.

Nella testa di moro piena di cicche di Gauloises, le cicche che imprigionano il respiro di Lorenzo e le mie lacrime di questi giorni lunghi, è spuntato un germoglio. Non c’è terra, solo un letto di filtri mezzi scoloriti, eppure sta nascendo qualcosa. E a ogni lacrima che tocca quel letto di cicche disgustose, nasce una piantina nuova.

[…]

La mattina il basilico sta crescendo a dismisura. Negli interstizi fra le piastrelle, come un piccolo prato profumato, come se volesse ricoprire ogni millimetro del balcone. Mi fanno male le ossa, ho pianto tanto.

Le mie sorelle bussano alla porta. Ora basta, dicono, vogliono cacciarmi a forza nella vasca.

«Non hai il diritto di fare la vedova!» strillano. Io mi divincolo. «Cazzo, lasciatemi stare!» E dal telefono della doccia esce un germoglio. Non se ne sono accorte – sorrido. «Non hai nessun diritto di comportarti così! Cosa dovrebbe fare sua moglie, allora?» sentenziano. E poi, dicono, dall’ospedale arrivano buone notizie. Sanno sempre tutto loro.

«Lorenzo potrebbe risvegliarsi – tornare» dicono, come niente fosse. «Tu non puoi lasciarti andare così. Non è nemmeno morto!»

[…]

«Che succede se lui torna e ti vede così?» dicono. Ma so che pensano: se lui torna sarà difettoso, dopo un mese di coma, dovrai aiutarci tu. Cioè io. Lavorare, fare i conti per loro. Io.

Non ho il diritto, e non ci si comporta così, e. Cazzo-cazzo-cazzo-cazzo-cazzo!
Sono dentro la vasca, e l’acqua è tutta verde. Sta crescendo il basilico anche qui. Ma loro sono preoccupate per me, sono uscite a tramare. Sento che dicono che bisogna chiamare qualcuno. Sostengono che mi comporto in modo strano.

Io però sto benissimo. Cantileno le parole che non ho detto mai. Mai ai miei cognati, che vogliono vendere la casa in cui abito. Mai alle mie sorelle, che pensano solo ai soldi. Mai a Lorenzo, che diceva che sua moglie non la sopportava più, che si stavano lasciando, e invece non era vero niente, allora; lui che piagnucolava e poi lasciava in giro tazzine sporche di caffè. E mi doveva pure dire cosa fare, cosa no. A me.

Cazzo!

Le mie sorelle cercano di aprire la porta del bagno. Ma è spuntato un germoglio nella serratura, niente da fare.

© 2021 HarperCollins Italia
© 2021 Ilaria Gaspari. Pubblicato in accordo con The Italian Literary Agency, Milano

nuovo decameron

L’AUTRICE E IL LIBRO – Ilaria Gaspari, scrittrice e filosofa, da anni collabora con ilLibraio.it. È nata a Milano, ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno) e Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi).

L’estratto del suo racconto che vi abbiamo proposto è tratto da Nuovo Decameron (HarperCollins Italia), una raccolta di racconti di dieci scrittrici e scrittori contemporanei, che hanno riscritto a modo loro il Decameron reinventando così un classico della storia della letteratura.

In Nuovo Decameron sono sette scrittrici e tre scrittori europei dei nostri giorni (Barbara Alberti, Chiara Barzini, Jonathan Bazzi, Ilaria Gaspari, Jhumpa Lahiri, Antonella Lattanzi, Michele Mari, Michela Marzano, Stefano Massini, Chiara Valerio) a fare le veci dei dieci protagonisti dell’opera di Boccaccio, scrivendo ciascuno un racconto che prende le mosse dal Decameron con la massima libertà. Il risultato è una raccolta di storie che gioca con l’originale, tra fedeltà e tradimenti, stravolgendone la trama o variandone minimi dettagli.

IL CAPOLAVORO DI BOCCACCIO

Alla metà del quattordicesimo secolo, infatti, Giovanni Boccaccio immaginò che, per sfuggire alla peste che nel 1348 stava decimando Firenze, sette giovani donne e tre giovani uomini si fossero ritirati in campagna, ingannando il tempo bevendo, mangiando, danzando e, soprattutto, raccontandosi storie. Nacque così il Decameron, una raccolta di cento straordinari racconti, uno dei testi fondamentali della nascente letteratura italiana ed europea.

LE ANTOLOGIE CONTEMPORANEE ISPIRATE DAL DECAMERON

Oggi, in un periodo tristemente segnato dall’emergenza pandemica e dall’obbligo del confinamento, la struttura a cornice delle novelle boccaccesche è stata ripresa in diversi tentativi corali di sottrarsi alla cupa realtà dcercando rifugio virtuale nella forza della narrazione.

Ne è un esempio L’allegra brigata (Neri Pozza, 2020), antologia che ha visto protagonisti scrittrici e scrittori come Sandra Petrignani, Novita Amadei, Wanda Marasco, Francesca Diotallevi, Piera Ventre, Olivier Guez, Antonella Ossorio, Eleonora Marangoni, Giuseppe Munforte, Roberto Cotroneo ed Emanuele Trevi. In questa sorta di Decamerone 2.0, lo schermo si trasforma nel locus amoenus davanti al quale riescono ad allontanarsi, per un breve momento, da quell’orrore che Dante aveva collocato all’inferno e che Boccaccio aveva riposizionato sulla terra.

Decameron Project NN Editore

Dall’altra parte della pianeta, anche gli editor del New York Times Magazine nei mesi del primo lockdown hanno raccolto questa eredità e lanciato il Decameron Project, un progetto grazie a cui autori come Margaret Atwood, Edwidge Danticat, Charles Yu, Paolo Giordano, Liz Moore e Yiyun Li hanno mandato le loro parole oltre i confini delle loro case. Trasposta in italiano da 17 traduttori e traduttrici per NN, la raccolta non parla della pandemia, eppure ne è intrisa, narrando di un tempo che è stato raccontato, si è fatto memoria e sogno, e ha ripreso a scorrere.

Fotografia header: Isabella e il vaso di basilico (Isabella and the Pot of Basil) è un dipinto a olio su tela (187×116 cm) del pittore preraffaellita William Holman Hunt

Libri consigliati

Abbiamo parlato di...