Di recente hanno fatto molto discutere le bocciature al pre-test per l’esame del professor Roberto Burioni. Come ricorda nel suo intervento su ilLibraio.it lo scrittore e insegnante Enrico Galiano, sono in tanti, anche tra i commentatori e gli editorialisti, a sostenere che che una “scuola che non boccia” non è seria, che una “scuola buonista” che non fa bene agli studenti… Peccato che gli studi scientifici dicano altro. Per Galiano “bocciare non è la soluzione. È solo la risposta più facile. La meno coraggiosa. La più coraggiosa? Ammettere che quando tanti studenti arrivano non preparati il problema è a monte, perché le disparità si evidenziano già fra l’infanzia e la primaria. Ammettere che è stata la scuola a non prepararli, a non metterli in condizione di farcela…” – La riflessione

Questa storia torna fuori da anni: si boccia troppo poco! La nostra scuola va a rotoli perché vige la regola del tutti promossi!

È uno dei cavalli di battaglia di molti esimi commentatori ed editorialisti: una scuola che non boccia non è seria, dicono. È una scuola buonista che non fa bene agli studenti, assicurano.

Adesso poi ha fatto discutere un recente esame (un “pre-test”, qui i dettagli sul caso, ndr) del Prof. Burioni, con 10 promossi su 408 candidati, e il conseguente profluvio di plausi e lodi sperticate: “Finalmente si fa vera selezione!”, “Così evitiamo di dare il camice a degli incompetenti!”.

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Partiamo proprio da quest’ultimo fatto recente, perché mi sembra un ottimo case-study. E mettiamo subito in chiaro una cosa semplice semplice, oserei dire lapalissiana: se arrivi all’università e non sei preparato, è giusto essere bocciati.

Però, però.

Qui la domanda sorge spontanea, e dovrebbe invero essere la domanda che il professor Burioni dovrebbe farsi – o chi ha preparato in vece sua gli studenti per quell’esame – e cioè: non è che forse forse questi studenti sono stati preparati male?

Insegnando da anni ho individuato una soglia, spannometricamente da stabilire fra metà e un terzo degli studenti insufficienti, oltre la quale so che chi ha fatto male non sono stati loro, ma io.

I motivi? Possono essere mille: magari li ho messi davanti alla prova troppo presto, oppure non mi sono sincerato che avessero davvero compreso gli argomenti. Fatto sta che se la metà di loro è andata male, sono io che sono andato male.

La morale di questa storia è abbastanza semplice: se ci sono troppi studenti impreparati, non è bocciare la soluzione. La soluzione è prepararli meglio. Offrire loro motivazione e stimolo. È il famoso principio del dentifricio: prevenire è meglio che curare.

Essere fan della bocciatura come soluzione è un po’ come credere che, per aver meno carie e denti più puliti in giro, il segreto sia darci sotto con trapani e dentisti.

Ma io la conosco l’obiezione: il trapano non deve essere usato, solo sventolato davanti al mangiatore seriale di caramelle. Fuor di metafora: sventolare la minaccia della bocciatura dovrebbe servire, nella mente di molti, a stimolare il pigrone a darsi da fare.

Certo, come no.

Chiederei a chiunque la pensi così di citarmi delle fonti di testi di pedagogia scritti dopo il 1990 che sostengano questa tesi. Mi basta anche un articoletto, eh? Uno solo. Tanti auguri.

Sarebbe bene far sapere un paio di cose, a Paolo Crepet e a tutti i paladini della bocciatura, a tutti coloro persuasi che una scuola che boccia di più è per forza di cose una scuola migliore.

Prima cosa da far sapere: i paesi con le scuole migliori al mondo coincidono anche con i paesi in cui le bocciature sono praticamente azzerate. Che strano eh?

Seconda cosa da far sapere: i principali studi sul tema negli ultimi trent’anni sono concordi nel dire che solo in pochi casi la bocciatura serve da stimolo; solo entro certi limiti sprona gli studenti a far meglio. Per il resto, ogni bocciatura (specie in età più fragili come primaria e medie) crea danni a lungo termine, demoralizzazione e perdita di autostima, stigma e isolamento sociale. E infatti incide in maniera pesante sulla dispersione scolastica.

(a scanso di equivoci, vi cito le mie fonti in fondo)

No: bocciare non è la soluzione. È solo la risposta più facile. La meno coraggiosa.
La più coraggiosa?

Ammettere che quando tanti studenti arrivano non preparati il problema è a monte, perché le disparità si evidenziano già fra l’infanzia e la primaria. Ammettere che è stata la scuola a non prepararli, a non metterli in condizione di farcela. Ammettere che bisogna rimboccarsi tutti le maniche e offrire loro una scuola diversa, più stimolante, migliore, non bastonarli perché dentro una scuola che tira a campare coi quattro soldi che ha, che cade letteralmente a pezzi, senza riscaldamento, in classi con 30 studenti, non trovano le motivazione per studiare. Eddai.

Vogliamo denti più puliti in giro? Laviamoci i denti con loro con entusiasmo e investiamo in dentifrici e spazzolini, non in trapani.

ALCUNE FONTI:

Grade repetition: A comparative study of academic and non-academic consequences by Miyako Ikeda and Emma García* (2014)

Studio di Hanushek & Rivkin (2006)

Ricerca di Ladd & Fiske (2003)

L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi (tutti pubblicati da Garzanti)  Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoiFelici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazziLa società segreta dei salvaparole, un inno d’amore alle parole e alla lingua. Ed è poi uscito per Garzanti il suo secondo saggio Scuola di felicità per eterni ripetenti. Il suo ultimo romanzo è Geografia di un dolore perfetto (Garzanti).

Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.

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