I progressi dell’innovazione tecnologica stanno ridefinendo le figure dell’impiego secondo termini umano-digitali sino a poco fa incomprensibili, e sono molti i profili lavorativi destinati a scomparire per effetto dell’automatizzazione in corso. Come già avvenuto in passato, stiamo attraversando una fase di trasformazione; per meglio comprenderla (e per non farsi prendere dal panico), ecco una selezione di libri sul fascino dei mestieri perduti, che vi suggeriamo di leggere sin da oggi e per il domani; affinché tutto il lavoro già svolto non venga alfine disperso, ma funga piuttosto da stimolo ogniqualvolta la realtà è in cambiamento (anche quella virtuale)

Che fine ha fatto l’ombrellaio? Davvero all’accoglienza c’è un robot? Senza dubbio uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni, l’innovazione tecnologica, sta ridefinendo le figure dell’impiego secondo termini umano-digitali sino a poco fa del tutto incomprensibili (e che spesso gettano nel panico).

Machine-learning, algoritmi predittivi e intelligenza artificiale sono solo alcuni dei progressi tecnologici che maggiormente impattano sul settore produttivo; addetti alle vendite, tecnici di laboratorio e personale di sala i profili destinati a scomparire per effetto dell’automatizzazione in corso.

Stiamo probabilmente assistendo a un vero e proprio passaggio di consegne (che sia un bene o un male, questo non è dato sapere); e se nel medio periodo numerose professioni rischiano di venire sostituite e/o integrate da competenze alternative (così come tipico delle rivoluzioni industriali), è proprio sulla scia dei mestieri di un tempo che molti autori e molte autrici pubblicano veri successi letterari, e ciò non soltanto per le atmosfere nostalgiche (che, tra l’altro, molto piacciono agli utenti di Tiktok), ma soprattutto per quel senso di immedesimazione che sempre ci trasmettono i protagonisti delle opere a sfondo storico (comunque nostri predecessori nell’affrontare le sfide del futuro).

Come in questa selezione di romanzi sul tema che vi suggeriamo di leggere sin da oggi e per il domani; affinché tutto il lavoro già svolto non venga alfine disperso, ma funga piuttosto da stimolo ogniqualvolta la realtà è in cambiamento (anche quella virtuale).

Bartleby, lo scrivano di Herman Melville

La copertina di Bertleby, lo scrivano di Herman Melville

Non solo romanzieri; nei secoli passati (quando ancora lo si faceva a mano) l’arte di saper scrivere comprendeva altresì la figura degli scrivani, figure specializzate nella stesura o nella copiatura di atti e documenti compilati da altri. Tra i più famosi, Bartleby, lo scrivano di Herman Melville (Garzanti, traduzione di Gianni Lonza) merita certo una menzione d’onore; capolavoro indiscusso della letteratura breve (un centinaio di pagine circa), lo zelante compilatore al soldo di un legale di Wall Street ci racconta il mondo del lavoro in una delle sua accezioni più virtuose: quella dell’autodeterminazione. Già, perché a fronte di un approccio contemporaneo in cui lo sforzo dell’individuo è considerato mero capitale fungibile (e pertanto dimenticabile) il rifiuto del giovane amanuense di conformarsi alle regole di mercato ci ricorda il valore umano dietro a ogni professione: libero, emozionale, e comunque da preservare, a prescindere da ogni convenienza.

La portalettere di Francesca Giannone

L'immagine di copertina de La portalettere di Francesca Giannone

Romanzo più letto del 2023, nonché vincitore del prestigioso premio Bancarella, La portalettere di Francesca Giannone (Nord) è un successo d’esordio che non si può dimenticare. Così come il mestiere di Anna Allavena: prima portalettere donna del paese (Lizzanello, nel Salento degli anni trenta), la “forestiera” proveniente dal Nord trasporterà in bicicletta non soltanto le missive (che consegnerà persino al fronte, come si faceva in tempo di guerra) ma con esse un’alternativa che sa tanto di rivoluzione. Per suo tramite, infatti, l’intera comunità verrà illuminata; e nel mentre la protagonista si troverà divisa nell’amore fra due fratelli (il maggiore Antonio e suo marito Carlo), saranno le donne del paese a incontrarsi nella casa di accoglienza da lei fondata per quivi impratichirsi sui linguaggi del femminismo (dalla violenza domestica alla discriminazione sul lavoro, dai problemi di famiglia alle questioni di salute). “Anna uscì di casa di buon mattino. Indossava la divisa blu col colletto rosso lunga fino alle caviglie, il berretto con lo stemma intarsiato delle Regie Poste e ai piedi le décolleté nere senza tacco. Infilò la bolgetta di cuoio a tracolla e s’incamminò”.

Chiamate la levatrice di Jennifer Worth

Chiamate la levatrice di Jennifer Worth, questa è la copertina

Ancor oggi attuale poiché opera di riflessione sul diritto all’aborto e sui limiti della legge 194, Chiamate la levatrice di Jennifer Worth (Sellerio, traduzione di Carla De Caro) ci trasporta in una dimensione narrativa ove l’assistenza al parto – e a tutte le tematiche legate alla maternità – veniva vissuta più come un vincolo solidale che come una semplice questione sanitaria. Sì, perché nelle storie della Nonnatus House – un’associazione di ostetriche chiamate a supportare le puerpere nei quartieri popolari della Londra anni cinquanta – c’è tutto il know-how che non andrebbe mai dimenticato; dapprima quello dell’autrice/levatrice (il romanzo è anche il racconto autobiografico della sua vita da infermiera), e così quello di tutte le altre donne che, in reciproco appoggio le une delle altre, hanno reso l’opera un chiaro modello di manifesto femminista (dalla simpatica Chummy, che porta il buonumore anche nelle situazioni più disperate a Sorella Evangelina, una delle laboriose suore che gestiscono il convento).

La fabbrica dei destini invisibili di Cècile Baudin

Le sirene delle seterie: la fabbrica dei destini invisibili di Cècile Baudin, ecco l'immagine di copertina

A seguito di una rivoluzione industriale (o digitale che sia) non tutti gli operai godono delle medesime condizioni di tutela: esiste infatti una fase di passaggio in cui la legislazione sul lavoro viene vieppiù applicata in maniera incerta, sicché un controllo “sindacale” risulta uno strumento necessario per garantire i diritti del lavoratore. Proprio quello che spinge la coraggiosa Claude Tardy a divenire prima ispettrice sul lavoro presso La fabbrica dei destini invisibili di Cècile Baudin (Nord, traduzione di Giuseppe Maugeri); con indosso abiti maschili – ma solo per garantirsi quel minimo di rispetto che le sarebbe altrimenti mancato in una fabbrica di fine ottocento – la giovane protagonista perlustra gli spazi della seteria Perrin al fine di verificare che nessuna lavoratrice venga sfruttata come invece accadeva prima dell’introduzione delle macchine, quando ancora la seta si filava a mano. E che la porta altresì a indagare circa i numerosi episodi che hanno visto alcuni abitanti della sua regione scomparire a seguito di circostanze misteriose (e comunque legate a un antico convento che ospita le operaie in età di matrimonio).

Mary Poppins di P. L. Travers

La copertina delle storie complete di Mary Poppins, di P. L. Travers

Meno centrale che nel film e ciò nonostante ben impresso nel cuore di tutti noi, nella favolosa saga di P. L. Travers (Rizzoli, traduzione di Simona Mambrini, Anna Rusconi e Marta Barone) lo spazzacamino Bert è il miglior amico (?) di Mary Poppins. Uomo di fiducia della famiglia Banks e “badante” di zio Albert, oltre a occuparsi di fuliggine e di canne fumarie il simpatico abitante del Viale dei Ciliegi svolge altresì il lavoro di fiammiferaio (nei giorni di pioggia) e di artista di strada (in quelli di sole). Ma non è l’unico del suo mestiere ad apparire nella serie; assieme al famosissimo Bert è infatti personaggio dei libri un ulteriore spazzacamino, che non esiteremmo a definire “il beniamino dell’intero vicinato”: ogniqualvolta qualcuno lo incontri è ormai d’uso stringergli la mano, quale gesto di portafortuna. Una figura a tratti leggendaria, insomma, così come le faccende che svolge. Anche nell’interpretazione hollywoodiana di Dick Van Dyke.

La rilegatrice dei libri proibiti di Belinda Starling

Il romanzo La rilegatrice dei libri proibiti di Belinda Starling, questa è la sua copertina

Argomento che appassiona tutti noi che viviamo per leggere, La rilegatrice dei libri proibiti di Belinda Starling (Beat, traduzione di Massimo Ortelio) ci confronta sul libro quale strumento di rivoluzione, in grado di cambiare la Storia – come pure tutte le storie – di coloro che lo sfogliano. Proprio quello che ci insegna la protagonista dell’opera Dora Damage; costretta a lavorare dopoché il marito si è ammalato a causa di un’artrite reumatoide alle mani, per amor proibito di romanzo l’impavida eroina rischierà tanto la galera (siamo nella Londra di fine ottocento e l’antico mestiere della rilegatura era ancora vietato alle donne) quanto di compromettere per sempre la propria reputazione (specie quando salva quei volumi destinati al rogo, dal Decamerone di Boccaccio al Satyricon di Petronio). Senonché per la donna la salvezza dei libri è altrettanto un sinonimo di emancipazione; e mentre si specializza nel riparare libri (con tecniche, le più seducenti dell’epoca vittoriana), impara altresì da esse cosa significhi, in fondo, la parola libertà.

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Il sentiero delle formichelle di Alessia Castellini

Il sentiero delle formichelle di Alessia Castellini, la copertina

Collegati da un’antica strada pedonale che si snoda lungo le scogliere della costiera amalfitana, i destini delle indivisibili Rachele e Nannina tornano a intrecciarsi attraverso Il sentiero delle formichelle (Piemme); saga di ambientazione rurale sullo sfondo degli anni quaranta, il romanzo di Alessia Castellini ci tramanda di un mestiere perduto (quello delle “formichelle”, per l’appunto) che vedeva le donne di Tramonti affrontare ore di cammino pur di trasportare le ceste di limoni fino a Maiori, dall’altra parte della montagna. Ed è sulla medesima tratta che a ottant’anni da quel momento le sorelle Ninfa e Alelì riscopriranno la storia delle antiche compaesane; sino allora convinte si trattasse di un’invenzione della nonna scrittrice, le due ragazze ne ripercorreranno le vicissitudini con una conclusione del tutto inaspettata: che i veri legami, come proprio le radici, sono proprio impossibili da estirpare (e da dimenticare). Per chi volesse, il sentiero delle formichelle è ancor oggi percorribile.

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La Mennulara di Simonetta Agnello Hornby 

La copertina del classico La Mennulara, di Simonetta Agnello Hornby 

In dialetto siciliano soprannominata La Mennulara (in quanto da ragazza raccoglieva mandorle per professione), dal giorno in cui Maria Rosaria Inzerillo muore (è il 27 settembre 1963) a Roccapalumba non si fa altro che parlare di lei. Ma chi è la protagonista del romanzo di Simonetta Agnello Hornby (Feltrinelli)? Su tutto, una donna che ha vissuto il pregiudizio (da parte della Sicilia conservatrice): nata in un contesto umile e poi divenuta la fidata domestica della famiglia Alfallipe, quando per inaspettata bravura nell’economato alla stessa verrà affidata la gestione patrimoniale dell’intera casata, su di lei non tarderanno a diffondersi i sospetti di una compartecipazione criminosa. Di contro, è proprio attraverso i chiacchiericci della sua gente che la Mennulara si rivelerà per quella che è davvero: una persona onesta e di buon cuore, in grado di risorgere dal fango anche quando le pressioni (della mafia o del suo stesso paese) la vorrebbero invece affossare. Come farebbe un germoglio di mandorlo, alfine.

Gli aghi d’oro di Michael McDowell

La bellissima immagine di copertina de Gli aghi d'oro di Michael Mcdowell

A onor del vero, non tutti i mestieri di un tempo sembrano suscitare un sentimento di rimpianto; nel romanzo Gli aghi d’oro (di Michael McDowell, Neri Pozza, traduzione di Elena Cantoni), neanche a dirlo, i cattivissimi Shanks svolgono professioni a dir poco deprecabili: dalla mammana Lena – che gestisce una numerosità di traffici illeciti, dagli aborti clandestini alla trafugazione delle salme – alle bische plebee del quartiere – ove si giocano le scommesse fra la Pugilistica Saffica e l’Indomabile Annie Leech – l’intero romanzo è un tripudio di lavori da dimenticare, ma che tuttavia rendono lo stesso un indiscutibile esempio (forse il primo) di gotico americano. E questo fin dalle battute iniziali: siamo ancora sconcertati dal “Prologo di mezzanotte” quando l’autore ci introduce allo yen hock (o ago d’oro) una sorta di bacchetta metallica con cui i trafficanti d’oppio iniziavano alla droga i nuovi incauti (e presto affezionati) avventori…

I signori delle mappe di John Noble Wilford

La copertina del saggio I signori delle mappe di John Noble Wilford

Esplorare il globo terraqueo al fine di rappresentarne per la prima volta l’estensione, questa è un’emozione che riusciamo solo in parte a immaginare; l’altra parte (quella di riscoprire un mestiere ormai perduto) possiamo invece affidarla alla lettura de I signori delle mappe. La storia avventurosa dell’invenzione della cartografia di John Noble Wilford (Garzanti, traduzione di Gianni Lonza). E che non ce ne vogliano le app di navigazione, ma le stampe d’autore sono tutta un’altra cosa; tracciate a mano e sapientemente illustrate sin dalla notte dei tempi, le cartine geo-astronomiche provenienti da tutto il mondo vengono qui dispiegate nella loro ricercatezza artistica come pure artigianale, tracciando un percorso di lettura che va dalle prime tavolette di argilla (tipo la Mappa Mundi babilonese) fino pure alle immagini satellitari (nella loro massima risoluzione). Una valida bussola per mantenere sempre la direzione anche quando il progresso tecnologico sembra far di tutto per disorientarci. Giusto per concludere.

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