“Circostanze attenuanti” di Joyce Carol Oates (nota autrice americana nata nel 1938) non è una semplice raccolta di storie brevi, ma un prezioso compendio di racconti (anche inediti) scritti nel corso di molti anni, in cui lo scavo nella violenza e nelle contraddizioni della società statunitense divide la scena con una dimensione più surreale, guidata da un’oscura ironia della sorte… – L’approfondimento

Joyce Carol Oates, prolifica e pluripremiata autrice americana classe 1938, è un’intellettuale che a prima vista sembra avere due anime letterarie, pronte a emergere rispettivamente nella dimensione del romanzo e in quella più immediata della novella.

Con la conseguenza che, dopo essere entrati in confidenza con la sua testa ed esserci fatti una certa idea del suo immaginario, del modo che ha di stare al mondo, della sua lingua, potremmo trovarci poi fra le mani delle storie in grado di spiazzarci e farci ricredere, rimettendo tutto in discussione.

La sua scrittura, nella forma lunga del romanzo, è infatti pulita e feroce.

Una lingua di denuncia, quasi scientifica. E che intanto sa evocare orrori, angosce e scenari noir, come accade con Una famiglia americana, ma pure con Ho fatto la spia, Pericoli di un viaggio nel tempo e con Babysitter.

Eppure, basta sfogliare le prime pagine di alcune sue raccolte di racconti, come Il collezionista di bambole o L’altra te, per sentirci trasportati in una dimensione in cui lo sgomento si trasforma in una visionaria farse macabre. In cui riconosciamo a stento gli echi de I ricchi o de Il giardino delle delizie, ritrovandoci spesso al limite del surreale o del fantascientifico, come guidati da un’oscura ironia della sorte.

L’impressione è che quindi Carol Oates abbia anche un secondo volto, possa essere a sua volta un’altra sé, in una duplicità che ce la fa risultare imprevedibile, difficile da riconoscere, fuori dagli schemi che lei stessa ha creato. Eppure, lo diceva già Agatha Christie, un indizio è un indizio e due indizi sono una coincidenza, mentre sono tre indizi a fare una prova.

Ed eccolo, allora, un terzo libro di racconti firmato da Oates con cui confrontarci per capire se le cose siano effettivamente come appaiono: si intitola Circostanze attenuanti ed è arrivato in libreria per La Tartaruga (il marchio de La Nave di Teseo fondato nel 1975 da Laura Lepetit, e ora curato dalla scrittrice Claudia Durastanti), nella traduzione di Alberto Pezzotta, Veronica La Peccerella e Chiara Spaziani.

La copertina del libro Circostanze attenuanti di Joyce Carol Oates

Non una semplice raccolta di storie brevi, ma un prezioso compendio di racconti (anche inediti) scritti nel corso di molti anni, un complesso sistema di scatole cinesi che ci sfuggono dalle mani e prendono a camminare sulle loro gambe, come indemoniate, o spinte da un movente delizioso e invisibile.

Qui la violenza e le contraddizioni della società statunitense ci sono tutte, l’accenno agli scandali, lo sguardo alle tragedie private, ma si tratta di un’attenzione ibridata, rarefatta (attenuata, diremmo), che deve dividere la scena con altre istanze, altri input, altre suggestioni.

Ecco perché immergersi nelle oltre 500 pagine di questo volume è interessante: perché chi pensa di conoscere Joyce Carol Oates può lasciarsi sorprendere da una forza propulsiva insolita, e chi invece non ha grande familiarità con la sua scrittura può scoprirla da una prospettiva laterale, quasi spiandola, come sembra sempre fare chi osserva i quadri delle ballerine di Degas.

Il quadro "La scuola di danza" di Degas

La scuola di danza di Edgar Degas (olio su tela, 1873-76, Museo d’Orsay di Parigi)

Anche i 24 racconti in questione hanno una loro perturbante maniera di piroettare, di girare in tondo, tenendo al centro dei leitmotiv tematici che ritornano a mo’ di ossessione. La fragilità del tessuto familiare, l’inconsistenza dei valori borghesi, le ingiustizie di classe, etniche e di genere a cui ci espone la vita quotidiana.

Ed è qui che ci accorgiamo di come le differenze fra i romanzi e le novelle dell’autrice siano in realtà solo apparenti. Evidenziate da un certo cambio di passo e dal respiro diverso delle storie in questione, riguardano sì lo stile, l’atmosfera generale e a tratti perfino il contenuto, ma senza intaccare mai il senso profondo della sua poetica.

Nel lungo excursus narrativo proposto da Circostanze attenuanti, infatti, la matrice di ogni racconto pare essere l’assurdo (è il caso de Il pupazzo), l’imprevedibile (come in Yarrow), a volte perfino il surreale (impressionante ne Il collezionista di cuori). Ciò che – insomma – nella vita oscilla fra il satiresco e l’immondo, non sempre con una certa propensione per il secondo, ma che a ben vedere è sempre e comunque la conseguenza del contesto sbilenco in cui viviamo.

Con uno stile quasi singhiozzato, che richiama – questo sì – più Shirley Jackson che Truman Capote, più Angela Carter che John Steinbeck, l’autrice sfrutta dunque la lente della politica per concentrarsi su una dimensione più esistenziale del gotico americano (come in Lungo il fiume), esasperando le nostre paure (vd. La bambola) e i nostri eccessi (La famiglia), ma anche l’aspetto più ridicolo e banale delle nostre isterie (pensiamo a La vendetta del piede), senza perdere di vista la convinzione che sia pur sempre il sonno della società a generare questi mostri.

In linea con la teoria di Hippolyte Taine su race, milieu e moment – qui interpretata in un’ottica più USA-centrica e legata alla vita quotidiana anziché alla creazione artistica, ma non per questo meno disincantata –, l’opera risulta pertanto composita e affascinante.

La maturità di Oates (evidente nei racconti degli anni Ottanta e Novanta, come Dadì e Signore e signori:) si infrange inoltre a più riprese sugli scogli dei suoi primi esperimenti letterari, turbolenti e in più occasioni fulminanti, tra i quali spiccano La morte della signora Sheer e Nel deposito, e in cui è spesso il caso il vero nemico dell’uomo, o al contrario il fattore che riesce a risparmiargli sul più bello una catastrofe.

Ed è così che Circostanze attenuanti diventa un lungo viaggio sentimentale e umano, un inquieto mosaico tardonovecentesco – per dirla con Manzoni – “che atterra e suscita, / che affanna e che consola”, e al tempo stesso pronto a ricordarci che “in ogni equazione c’è sempre un fattore x, e in ogni fattore x c’è la possibilità, se non la probabilità, di un tragico malinteso” (da San Valentino).

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