Pur trattandosi di un termine eccessivamente generico (non tiene conto delle singole culture che ne costituiscono l’insieme) l’Asian-fantasy – o quello che ha per protagonista un personaggio nato in Asia e/o ambientato in uno dei tanti territori che appartengono al Continente – è in realtà un genere letterario rivolto a tutti, un modello di integrazione virtuosa che invita a guardarci da vicino anche quando ci osserviamo da lontano: abitanti di un Mondo solo, ma con mille e una Storie da raccontare. Come quelle dei libri che qui vi raccontiamo (e suggeriamo)…

Pur trattandosi di un termine eccessivamente generico (in quanto non tiene conto delle singole culture che ne costituiscono l’insieme) l’asian-fantasy – o quello che ha per protagonista un personaggio nato in Asia e/o ambientato in uno dei tanti territori che appartengono al Continente – è comunque un concetto utile per parlare di multietnicità, ma da un punto di vista particolare: quello della contaminazione letteraria.

Già, perché al di là delle possibili critiche circa il problema dell’appropriazione culturale – specie quando si tratta di romanzi scritti da autori e autrici occidentali, come sottolinea Rebecca F. Luang nel suo recente Yellowface – il successo di opere appartenenti a tradizioni diverse fornisce la misura esatta di quanto le nuove generazioni siano ormai abituate alla miscellanea dei confini, lo stesso che peraltro avviene nella musica k-pop o con i cosiddetti meisaku (i capolavori della letteratura occidentale poi trasformati in anime).

È d’altronde, l’Asian-fantasy, figlio di una tradizione orientale sempre più inserita anche nella contemporaneità nostrana; arrivato fin qui per il tramite della narrativa Young Adult (si veda il retelling shakesperiano Queste gioie violente di Chloe Gong o la rivisitazione dei Fratelli Grimm Sei gru cremisi di Elizabeth Lim), il linguaggio panasiatico si è affiancato a fumetti e light novels per raccontare all’Occidente ciò che altrimenti – e questo è motivo di integrazione – sarebbe difficilissimo da tradurre.

asian fantasy

E non ci riferiamo, per inciso, alle sole problematiche inerenti alla pronuncia (si provi con il termine wuxia/xianxia, il cappa e spada cinese che narra le imprese di un eroe di arti marziali) ma, soprattutto, ai vari livelli di interpretazione che rendono il sotto-genere asiatico comunque peculiare rispetto a quello di epoca bretone o carolingia (o magari sono più simili del previsto?).

Come nel caso del rapporto con il soprannaturale; se nei fantasy di matrice medievale, ad esempio, si racconta di un reame fatato destinato a scomparire per effetto dell’avanzata cristiana, nell’immaginario vietnamita la popolazione spiritica è talmente densa da renderne pressoché inevitabile la convivenza con gli esseri umani (in Costruisci la tua casa intorno al mio corpo di Violet Kupersmith, edito da NN, ad esempio).

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Medesimo discorso per certe figure archetipiche: mentre ne Il Signore degli anelli i draghi sono sempre creature maligne oltreché dotate di leggendaria furbizia – in quanto associati alla figura del demonio – nel dānměi cinese essi vengono considerati custodi della “coltivazione”, ovverosia quel complesso di conoscenze attraverso cui il guerriero può raggiungere l’espansione del proprio qi (si legga, a tal proposito, Il gran maestro della scuola demoniaca. Rinascita di Mong Xiang Tong Xiu, edito da Mondadori).

Insomma, anche se di primo acchito può apparire un fenomeno destinato a una nicchia di pubblico – noi compresi, soprattutto per i titoli che di seguito vi proponiamo – il filone Asian-fantasy è in realtà un genere letterario rivolto a tutti, un modello di inclusività virtuosa che invita a guardarci da vicino anche quando ci osserviamo da lontano: abitanti di un Mondo solo, ma con mille e una Storia da raccontare.

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Lo Scimmiotto di Ch’eng-en Wu, Adelphi

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Leggendario in madrepatria – la Cina – come pure in tutto il mondo (poiché ha ispirato uno dei personaggi manga più iconici di sempre, il Son Goku di Dragon ball), Lo Scimmiotto di Wu Ch’êng-ên – Adelphi, traduzione di Adriana Motti – sta al fantasy asiatico come Re Artù a quello di stampo europeo. E non solo in quanto anch’egli ha un lignaggio che si perde nella notte dei tempi (nasce da un uovo di pietra ed è per questo proclamato il signore delle scimmie), ma soprattutto perché nel suo lungo viaggio a bordo di una nuvola, Sun Wukong si farà accompagnare da un gruppetto di guerrieri che nulla hanno da invidiare ai fedelissimi della Tavola Rotonda (Sabbioso e Porcellino in particolare).

Non aspettatevi, però, le solite battaglie tra cavalieri in cotta di maglia; dotato di un’agilità sovrumana, come pure di un bastone con cui opera magie, il simpatico piteco si recherà in India per ottenere l’immortalità assieme al Monaco Tripitaka e quindi, divenuto bodhisattva, riportare in madrepatria i testi sacri del buddhismo Mahayana (la corrente del Grande Veicolo). 

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Capostipite fantastico del filone isekai – quel sottogenere letterario che vede un esterrefatto protagonista piombare in un universo parallelo a seguito di un qualche evento scatenante – il romanzo breve di Ryunosuke Akutagawa ci trasporta nel paese dei Kappa (SE, traduzione di Mario Teti) per raccontarci gli usi e costumi delle creature acquatiche, le più diffuse nell’ambito della mitologia giapponese.

Incuriosito dalla vista di un esemplare che fugace si precipita nel terreno, il paziente psichiatrico 23 finisce per trascorrere con loro un periodo limitato della propria vita; tornato infine in superficie, ne parlerà ai dottori come di una comunità di grande spessore, incline alle arti e parecchio critica nei confronti della società giapponese dell’epoca. Il testo – un capolavoro satirico che ancor oggi stupisce per modernità e sperimentazione – interpreta altresì la vicenda autobiografica dell’autore, affetto da schizofrenia e poi morto suicida nel 1927, anno di pubblicazione dell’opera.

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“Donna. Guerriera. Arma. Dea”, ne La guerra dei papaveri – di R. F. Kuang, Mondadori, traduzione di Sofi Hakobyan – la protagonista Fang Rurin ci racconta di un evento storico (realmente accaduto, il secondo conflitto sino-giapponese), ma come se fosse ambientato in un romanzo di fantasia. È difatti, ella, una leader femminista a tutti gli effetti (il suo personaggio è ispirato all’ex presidente della Repubblica popolare cinese Mao Tse-Tung): risvegliati i suoi poteri di sciamana per effetto dell’addestramento militare, la giovane orfana (poi allevata da una coppia di commercianti d’oppio) verrà dunque arruolata nell’esercito del Nikan per combattere contro i Federati di Mugen, uno Stato incline alla violenza e già macchiatosi di genocidio durante la precedente guerra dei papaveri.

Divenuta infine Dea, riuscirà l’allora Guerriera a controllare la sua nuova Arma – il fuoco che promana dalla Fenice – o si lascerà, invece, accecare dai fumi dell’oppio (oltreché dal suo orgoglio di Donna)? Di sicuro, è uno degli Asian-fantasy più chiacchierati su TikTok.

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Sospesi nel rapporto tra modernità e tradizione, uno degli argomenti che più ricorre nelle narrazioni orientali è quello metaforico sullo scorrere del tempo; di base ambientati in metropoli che non si fermano mai (Seoul, Tokyo, Taiwan, solo per citarne alcune) i romanzi Asian-fantasy confondono passato e futuro in un eterno presente che sa comunque di anti-utopia.

Come ci conferma la raccolta coreana L’origine delle specie di Kim Bo-Yung (traduzione di Federica Amodeo, Add); anticipati da una copertina coloratissima – che è proprio nello stile dell’editore – i racconti visionari circa l’evoluzione del genere umano affrontano scenari predittivi (tipo il predominio dei robot o gli sviluppi dell’emergenza climatica) che guardano alla società contemporanea come contaminata dalla fantascienza classica (vedi la presenza di draghi o il ritorno di una nuova glaciazione). Il risultato complessivo è un approccio alla Phillip K. Dick, insomma, ma con uno stile inusuale che ribalta tutti i piani; anche quelli temporali circa il principio – e la fine – della nostra stessa specie.

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Un destino – questo duplice – che forte si riverbera anche sulla trama del suo primo romanzo (e/o, traduzione di Tiziana Lo Porto); venuta a conoscenza di un tentativo di furto ai danni del proprio patrigno Wang, Lady Jing farà il possibile per individuare chi si nasconde dietro le trame del progetto criminale. A supportarla nella complicata indagine – che si svolgerà fra la Shanghai anni Trenta e la sua versione immortale, una “Parigi d’Oriente, New York d’Occidente” – il misterioso Tony Lee, un impavido umano disceso agli Inferi per costruirne la Banca centrale; ma quando il sodalizio fra i due si trasformerà in un principio di sentimento, chissà che la piccola Jing non scelga di acquietarsi piuttosto che arrischiare la sopravvivenza del suo amato. In un tripudio di divinità cinesi (pixiu, hulijing e yaojing compresi), il primo volume di una futura trilogia. 

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A concludere sul tema, Kōkun – La dea dei profumi di Uehashi Naoko (Ne/On, traduzione di Luca Capponcelli) è un Asian-fantasy, tutto al femminile, che ha per oggetto una delle tematiche che più interessano i lettori anche nelle denunce della climate-fiction: quello dell’ecoansia e del destino ambientale del pianeta. A raccontarcelo, due protagoniste con una medesima voce (che narra dell’uomo e di come abbia perso il contatto con la Natura): da una parte Aisha, una ragazza di origine occidentale in grado di parlare con le piante ma senza alcuno che la capisca all’interno dell’impero in cui vive; e dall’altra Orie, una ragazza che dovrebbe incarnare la dea dei profumi ma che, di fatto, nessun potere sviluppa a tal proposito. Ebbene, entrambe inascoltate se non anche ammutolite nel loro appello che ci parla di crisi ambientale “Sì, adesso quella ragazza vive una solitudine terribile che è diametralmente opposta alla tua”, le due (attiviste) uniranno le forze per debellare la piaga che ha devastato le spighe di grano oare e salvare così il futuro dei rispettivi regni.

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