Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara lo ha ribadito: dal nuovo anno scolastico, l’uso degli smartphone a scuola è vietato, anche alle superiori. Su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore e insegnante Enrico Galiano, che ricorda alcune esperienze all’estero e fa notare: “Mentre noi giochiamo a rincorrere i telefoni tra i banchi, fuori da scuola il problema cresce e morde davvero. Perché se a 15 anni lo smartphone può distrarre, a due o tre può ipotecare un’infanzia. Basta guardarsi attorno: nei ristoranti, in treno, al parco, i bambini vengono sempre più spesso ‘babysitterati’ da un cellulare. È lì che si formano ansia, difficoltà di concentrazione, dipendenze precoci…”. E indica la “vera sfida”…
Ma non ce l’avete anche voi una sensazione di deja-vù?
Credo che Aldo Giovanni e Giacomo la racconterebbero così: ogni mattina, come sorge il sole, in Italia un Ministro dell’Istruzione si sveglia e sa che dovrà vietare i cellulari a scuola.
Sono anni che ricordo crociate sbandierate ai quattro venti: se non sbaglio il primo era stato addirittura il giurassico Fioroni, anno del signore 2007 – per far capire di quanto indietro nel tempo stiamo parlando: l’Italia partecipava ancora alle fasi finali dei mondiali di calcio, ed era pure campione in carica.
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E da allora, ogni tot anni, il rito si ripete: il ministro di turno si mette l’elmetto, annuncia la sua guerra santa contro lo smartphone. E le scuole, che già da tempo hanno i loro sistemi di regolamentazione, si ritrovano a dire: “Ok, ma… non lo stavamo già facendo?”
Solo che mentre noi giochiamo a rincorrere i telefoni tra i banchi, fuori da scuola il problema cresce e morde davvero.
Perché se a quindici anni lo smartphone può distrarre, a due o tre può ipotecare un’infanzia. Basta guardarsi attorno: nei ristoranti, in treno, al parco, i bambini vengono sempre più spesso “babysitterati” da un cellulare. È lì che si formano ansia, difficoltà di concentrazione, dipendenze precoci.

Letture originali da proporre in classe, approfondimenti, news e percorsi ragionati rivolti ad adolescenti.

Lo psicologo sociale Jonathan Haidt, nel suo The Anxious Generation (2024), porta numeri e grafici difficili da ignorare: l’impennata di ansia e depressione adolescenziale parte dal 2012, l’anno in cui lo smartphone diventa davvero ubiquo. Certo, il dibattito è aperto sul nesso causale ma, nel dubbio: daresti mai a tuo figlio un cibo che potrebbe fargli male?
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La sua proposta sembra radicale, ma è chiarissima: no smartphone prima dei 14 anni, no social prima dei 16.
Per fortuna, non siamo nemmeno i primi a parlarne.
In Danimarca il governo ha fatto propria una raccomandazione forte: sotto i 13 anni lo smartphone non andrebbe proprio dato; intanto la legge renderà phone-free scuola e doposcuola. È un messaggio chiaro alle famiglie: “lasciate che i vostri figli siano bambini, non piccoli scrollatori seriali”.
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In Australia hanno spostato il tiro: non vietano il telefono ma i social network, se hai meno di 16 anni.
In Svezia, invece, la battaglia è su un altro fronte: le autorità sanitarie consigliano zero schermi sotto i 2 anni, massimo un’ora fino a 5 anni… e il messaggio, pur non essendo legge, vuole almeno sensibilizzare le famiglie sul problema.
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E poi c’è l’Inghilterra, dove è nato il movimento Smartphone Free Childhood: genitori che si sono messi insieme per dire basta, e hanno raccolto più di 100.000 firme. Non è (ancora) una legge, ma è già una presa di coscienza collettiva.
Insomma, qualcuno sta iniziando a capire che il problema non è solo “vietare a scuola”, ma ritardare l’età del primo smartphone.
La vera sfida allora è fuori: è ridare ai bambini il diritto di annoiarsi, di guardare fuori dal finestrino, di inventarsi giochi dal niente. Salvarli dal pericolo che gli anni in cui il loro cervello si sta formando vengano compromessi da uno strumento di cui ancora sappiamo troppo poco — e quel poco che sappiamo fa, oggettivamente, paura.
E forse Aldo Giovanni e Giacomo potrebbero dirla così: non è più il ministro dell’Istruzione che si deve svegliare, ma quello della salute, e insieme a lui ogni madre e ogni padre che tiene davvero alla salute dei propri figli.
Perché ogni mattina, non importa se sei un politico o un genitore, la prima cosa che dovresti fare è questa: levar loro di mano quel cellulare.
L’AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe ’77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti usciti per Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta, e ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L’incredibile avventura di un super-errore.
Da metà maggio 2025, per Garzanti, è in libreria il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.
Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche con dei video per Instagram e TikTok).
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