“I Malavoglia” è considerato un classico della letteratura italiana del tardo Ottocento. Se non l’avete ancora letto, se volete (ri)scoprirne la trama o anche solo qualche curiosità, ecco un articolo dedicato agli elementi chiave di questo importante romanzo verista, scritto dal grande autore siciliano Giovanni Verga…
Data alle stampe nel 1881, I Malavoglia (Garzanti, a cura di Nicola Merola) di Giovanni Verga (1840-1922) è una delle opere più conosciute e studiate della letteratura italiana di fine Ottocento, ambientata nel borgo di Aci Trezza (in provincia di Catania) tra il 1863 e il 1878.
Suddiviso in quindici capitoli e fortemente innovativo a livello stilistico, tematico e del sistema dei personaggi, il volume ci presenta una famiglia che, pur condividendo le stesse origini e la stessa mentalità, vedrà i suoi membri prendere decisioni in netto contrasto fra di loro, nel tentativo di raggiungere una felicità probabilmente impossibile da compiersi pienamente.
Se non l’avete ancora letto, se volete (ri)scoprirne la trama o anche solo qualche curiosità, in questo articolo ripercorriamo gli elementi chiave di uno dei più celebri romanzi appartenenti alla corrente del Verismo:
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I Malavoglia: di cosa parla, in breve
I Malavoglia racconta la drammatica parabola della famiglia di pescatori Toscano, soprannominata appunto i Malavoglia (in maniera antitetica rispetto alla loro grande propensione al lavoro e al sacrificio), che vivono nel già citato paesino siciliano di Aci Trezza.
Il capofamiglia è Padron ‘Ntoni, un uomo saggio e legato alle tradizioni, che vive con il figlio Bastianazzo, sua moglie Maruzza, detta “la Longa”, e i loro cinque figli: ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. La famiglia possiede una barca, la Provvidenza, e vive modestamente vendendo pesce.
Per cercare di migliorare la situazione economica in cui versano, Padron ‘Ntoni decide di investire in un carico di lupini da cui spera di ricavare un certo guadagno. Durante il trasporto, però, la Provvidenza naufraga e Bastianazzo muore: un evento inaspettato e cruciale, da cui prendono piede una serie di sventure che porteranno la famiglia alla rovina.
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Pur di saldare il debito contratto per l’acquisto dei lupini, infatti, i Malavoglia sono costretti a vendere la propria dimora, la Casa del Nespolo, che nel testo è simbolo di stabilità e tradizione. Nel frattempo ‘Ntoni, il figlio maggiore, viene arruolato nell’esercito, e al suo ritorno si mostra insofferente alla dura vita dei pescatori: la sua aspirazione è ora quella di potersi permettere una vita più agiata, a cui cerca di arrivare attraverso dei traffici illeciti, a causa dei quali finisce tuttavia in prigione.
Anche gli altri membri della famiglia, nel frattempo, subiscono il peso della sfortuna: Luca muore in battaglia, Maruzza viene uccisa dal colera e Lia, disonorata dalle dicerie del paese, fugge lontano, probabilmente facendo la prostituta in città. Mena, invece, innamorata dell’umile carrettiere Alfio Mosca, rinuncia al matrimonio per rispettare le convenzioni sociali.
Alla fine, l’unico a mantenere la dignità della famiglia è Alessi, il più giovane, che riesce a ricomprare la Casa del Nespolo e a ricostruire almeno in parte il nucleo familiare, sposandosi e tornando alla vita di pescatore. Padron ‘Ntoni, dal canto suo, è ormai vecchio e stanco, e muore senza riuscire a rivedere il proprio nido domestico.
La vicenda si conclude quindi con un forte senso di fatalismo: chi cerca di sfuggire al proprio destino di miseria, sembra suggerire il testo, viene inevitabilmente punito – mentre solo chi accetta la propria condizione con umiltà può sperare di trovare una qualche forma di equilibrio.
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Qualche curiosità su I Malavoglia
I Malavoglia appartiene al cosiddetto Ciclo dei Vinti, una serie di opere concepite da Giovanni Verga per parlare di personaggi che, pur lottando per migliorare la propria quotidianità, sono condannati all’immobilismo dalla sorte e dalla rigidità della società, a prescindere dalla loro provenienza.
Il termine “vinti”, pertanto, si riferisce qui a chi deve rinunciare giocoforza alle proprie speranze (come accade anche in Mastro don Gesualdo e come avremmo visto ripetersi anche ne La Duchessa di Leyra, L’Onorevole Scipioni e L’uomo di lusso, che tuttavia non vennero mai portati a compimento), e ha l’obiettivo di accendere una luce sul contesto siciliano postunitario, nonché di criticare la visione ottimistica del progresso che all’epoca era sempre più diffusa.
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Una delle tematiche fondamentali del testo, non a caso, è il contrasto tra la “fiumana del progresso” e la tradizione: secondo lo scrittore, la modernità e le trasformazioni collettive sono inevitabili, sì, ma al tempo stesso spazzano via le vecchie strutture familiari e culturali, senza riuscire a portare con sé una vera emancipazione per i più deboli, che spesso vengono travolti da nuove forme di disuguaglianza e di sofferenze.
Per evidenziare quanto lo stile del romanzo fosse legato a doppio filo con i temi trattati, Verga optò oltretutto per una forma che fosse “inerente al soggetto”. In altre parole, si servì di un registro sobrio e asciutto, rispecchiando con verosimiglianza la durezza della storia dei protagonisti e dando vita a un’opera corale, nella quale ricorse spesso alla tecnica dell’impersonalità e del narratore popolare.
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Sviluppato riprendendo in parte due novelle precedenti dell’autore, Padron ‘Ntoni e Fantasticheria, rispettivamente del 1875 e del 1880, I Malavoglia ha ispirato anche due film ben noti e significativi: La terra trema (1948) di Luchino Visconti, che pone l’accento sulla lotta per la sopravvivenza dei pescatori siciliani; e Malavoglia (2010) di Pasquale Scimeca, che colloca l’intreccio in un periodo più recente, mostrando fino a che punto certe problematiche sociopolitiche siano ancora attuali.
Non tutti sanno, invece, che il volume ha portato in seguito a individuare ad Aci Trezza la potenziale Casa del Nespolo descritta fra le sue pagine: si tratta di una vecchia abitazione del centro storico, accanto alla chiesa di San Giovanni, e permette oggi a chi la visita di entrare in contatto con la realtà rurale descritta da Verga, anche grazie all’aiuto delle associazioni e degli enti locali che accompagnano nell’esplorazione tanto dell’edificio quanto del borgo a cui appartiene.
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La citazione più memorabile
Fra le numerose massime pronunciate da padron ‘Ntoni ne I Malavoglia, ce n’è una che riassume in poche sillabe l’intero senso del romanzo, richiamando un proverbio ancora oggi molto utilizzato:
Una frase che esprime la profonda diffidenza del personaggio nei confronti del futuro, fungendo quasi da monito contro l’illusione di chi crede troppo nell’evoluzione, ma che parallelamente non deve portarci a pensare a Verga come a un nostalgico conservatore.
Lo scrittore, infatti, intendeva offrirci uno strumento critico e letterario da cui prendere spunto per capire come porci nei confronti del cambiamento, tenendo però in considerazione anche le storture del presente a cui bisognava porre rimedio, e proponendoci una testimonianza storica e politica di grande valore – tanto per la “questione meridionale” quanto per le dinamiche familiari, comunitarie e di potere che coinvolgevano già allora l’Italia intera.
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L’autore

Lo scrittore Giovanni Verga (WikiCommons)
Giovanni Verga nacque il 2 settembre 1840 a Catania, in una famiglia di buone condizioni sociali. Dopo aver frequentato la scuola del patriota repubblicano don Antonino Abate, studiò Legge all’Università, anche se il suo interesse era già indirizzato alle lettere e alla scrittura.
Cominciò dunque a coltivare la propria passione scrivendo racconti e novelle, per poi dare alla luce il romanzo Amore e patria nel 1864 e la toccante Storia di una capinera nel 1871, entrambi riflesso della sua iniziale propensione verso le istanze del Romanticismo e del realismo europeo, rappresentato in particolare da Gustave Flaubert (1821-1880) e da Honoré de Balzac (1799-1850).
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Nel 1869 si trasferì poi a Milano, entrando in contatto con la poetica di Émile Zola (1840-1902) e con il movimento del naturalismo, che rifiutava ogni idealizzazione e puntava a rappresentare la realtà sociale in modo oggettivo. Da questo prese spunto per lavorare a un’opera più complessa e innovativa, I Malavoglia, pubblicata nel 1881 e che segnò la nascita del Verismo italiano, a cui lo stesso Verga contribuì a dare una definizione più sistematica.
Nel 1883 uscirono poi le Novelle rusticane (Garzanti, a cura di Nicola Merola), seguite nel 1889 da Mastro don Gesualdo (Garzanti, a cura di Nicola Merola), l’ultima sua grande prova narrativa: negli anni successivi, infatti, Verga si ritirò sempre di più nella sua terra natale, rifiutando inviti e riconoscimenti di sorta.
Morì infine il 27 gennaio 1922, non senza lasciare un’impronta indelebile nella letteratura italiana del Novecento, che avrebbe ispirato scrittori del calibro di Luigi Pirandello (1867-1936) e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957): entrambi condivisero con lui una visione dell’esistenza disincantata e a tratti amara, insieme all’acuta capacità di descrivere la condizione umana senza concedere sconti, e parlandoci dell’eterno conflitto fra il mondo di ieri e quello di oggi.

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